MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

mercoledì 26 dicembre 2012

Santo Stefano, protomartire

 
Primo martire cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste e morì lapidato. In lui si realizza in modo esemplare la figura del martire come imitatore di Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne proclama la divinità, gli affida il suo spirito, perdona ai suoi uccisori. Saulo testimone della sua lapidazione ne raccoglierà l'eredità spirituale diventando Apostolo delle genti.
 

venerdì 14 dicembre 2012

San Giovanni della Croce


Juan de Yepes Alvarez nasce a Fontiveros, nella provincia di Avila (Spagna) nel 1542. E' insieme a Santa Teresa d'Avila il riformatore dell'Ordine Carmelitano. Per tale ragione patì numerose sofferenze e fatiche. Muore a 49 anni nella mezzanotte fra il 13 e il 14 dicembre del 1591 a Ubeda. Viene canonizzato da Papa Benedetto XIII nel 1726 e dichiarato Dottore della Chiesa per la sua grande sapienza, da Papa Pio XI nel 1926. Ci lascia trattati mistici e poetici di grande valore artistico e spirituale.
Navigando ho trovato questo bel sito dei Carmelitani . Traduco le ultime righe che hanno dedicato alla figura di San Giovanni della Croce, che gli rendono merito e onore: 'Egli è un uomo straordinario. Il più grande poeta tra i santi ed il più santo tra i poeti. E' conoscitore dell'anima umana. E'la guida nella notte spirituale. Il teologo, il mistico. Sensibile alla bellezza ed alla sofferenza. Innamorato di Dio. E' il pellegrino nel cammino dello spirito. Figlio di Teresa di Gesù(Teresa è la fondatrice dei Carmelitani Scalzi), Padre di Santa Teresa (ella gli affidava la sua anima). Le parole di San Giovanni della Croce sono parole piene di luce e di amore'. San Giovanni della Croce ci insegna che, per amare Dio, con tutto il cuore, l'anima e le forze, bisogna essere uomini liberi, innamorati di Dio e cercatori instancabili dell'impronta di Dio nell'umanità'.

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¡Oh llama de amor viva
que tiernamente hieres
de mi alma en el más profundo centro!
Pues ya no eres esquiva
acaba ya si quieres,
¡rompe la tela de este dulce encuentro!

¡Oh cauterio suave!
¡Oh regalada llaga!
¡Oh mano blanda! ¡Oh toque delicado
que a vida eterna sabe
y toda deuda paga!
Matando, muerte en vida la has trocado.

¡Oh lámparas de fuego
en cuyos resplandores
las profundas cavernas del sentido,
que estaba oscuro y ciego,
con extraños primores
calor y luz dan junto a su querido!

¡Cuán manso y amoroso
recuerdas en mi seno
donde secretamente solo moras,
y en tu aspirar sabroso
de bien y gloria lleno,
cuán delicadamente me enamoras!

giovedì 13 dicembre 2012

Santa Lucia, vergine e martire



Lucia nasce da genitori cristiani a Siracusa intorno al III sec.d.C. Muore martire sotto la persecuzione di Diocleziano, intorno all'anno 304. Esistono gli atti del martirio di Lucia di Siracusa che sono stati rinvenuti in due antiche e diverse redazioni: l’una in lingua greca il cui testo più antico risale al sec. V; l’altra, in quella latina, riconducibile alla fine del sec. V o agli inizi del sec. VI. Da essi si attesta l’esistenza ed il culto di Lucia di Siracusa, che rappresenta così una persona storicamente esistita, morta nel giorno più corto dell'anno e che riflette altresì il modello femminile di una giovane donna cristiana, chiamata da Dio alla verginità, alla povertà e al martirio, che tenacemente affronta tra efferati supplizi.  Il martirio incomincia con la visita di Lucia assieme alla madre Eutichia, al sepolcro di Agata a Catania, per impetrare la guarigione dalla malattia da cui era affetta la madre: un inarrestabile flusso di sangue dal quale non era riuscita a guarire neppure con le dispendiose cure mediche, alle quali si era sottoposta. Lucia ed Eutichia partecipano alla celebrazione eucaristica durante la quale ascoltano proprio la lettura evangelica sulla guarigione di un’emorroissa. Lucia, quindi, incita la madre ad avvicinarsi al sepolcro di Agata e a toccarlo con assoluta fede e cieca fiducia nella guarigione miracolosa per intercessione della potente forza dispensatrice della vergine martire. Lucia, a questo punto, è presa da un profondo sonno che la conduce ad una visione onirica nel corso della quale le appare Agata che, mentre la informa dell’avvenuta guarigione della madre le predice pure il suo futuro martirio, che sarà la gloria di Siracusa così come quello di Agata era stato la gloria di Catania. Al ritorno dal pellegrinaggio, proprio sulla via che le riconduce a Siracusa, Lucia comunica alla madre la sua decisione vocazionale: consacrarsi a Cristo! A tale fine le chiede pure di potere disporre del proprio patrimonio per devolverlo in beneficenza. Lucia è promessa sposa ad un uomo che, forse esacerbato dai continui rinvii del matrimonio, decide di denunciarne al governatore Pascasio la scelta cristiana. Così ella viene condotta al suo cospetto e sottoposta al processo e al conseguente interrogatorio, dopo il quale il governatore le infligge la pena del postrìbolo. Ma ella mossa dalla forza di Cristo, reagisce con risposte provocatorie, che incitano Pascasio ad attuare subito il suo tristo proponimento. Lucia, infatti, gli dice che, dal momento che la sua mente non cederà alla concupiscenza della carne, quale che sia la violenza che potrà subire il suo corpo contro la sua volontà, ella resterà comunque casta, pura e incontaminata nello spirito e nella mente. A questo punto si assiste ad un prodigioso evento: ella diventa inamovibile e salda sicché, nessun tentativo riesce a trasportarla al lupanare, nemmeno i maghi appositamente convocati dallo spietato Pascasio. Esasperato da tale straordinario evento, il cruento governatore ordina che sia bruciata e, dato che neanche il fuoco riesce a scalfirla, egli la farà decapitare. Sicché, piegate le ginocchia, la vergine attende il colpo di grazia e, dopo avere profetizzato la caduta di Diocleziano e Massimiano, è decapitata.

A Siracusa un’inveterata tradizione popolare vuole che, dopo avere esalato l’ultimo respiro, il corpo di Lucia sia stato devotamente tumulato nello stesso luogo del martirio. Infatti, secondo la pia devozione dei suoi concittadini, il corpo della santa fu riposto in un arcosolio, cioè in una nicchia ad arco scavata nel tufo delle catacombe e usata come sepolcro. Fu così che le catacombe di Siracusa, che ricevettero le sacre spoglie di Lucia presero da lei anche il nome e ben presto attorno al suo sepolcro si sviluppò una serie numerosa di altre tombe, perché tutti i cristiani volevano essere tumulati accanto all’amatissima Lucia. Ma, nell'878 Siracusa fu invasa dai Saraceni per cui i cittadini tolsero il suo corpo da lì e lo nascosero in un luogo segreto per sottrarlo alla furia degli invasori. In seguito venne traslato da Siracusa a Costantinopoli e da Costantinopoli a Venezia. Durante la crociata del 1204 i Veneziani lo trasportarono nel monastero di San Giorgio a Venezia ed elessero santa Lucia compatrona della città. Le sante spoglie di Lucia vennero deposte in una chiesa a lei dedicata fino al 1863, anno in cui questa chiesa fu demolita per la costruzione della stazione ferroviaria (che per questo si chiama Santa Lucia), per essere nuovamente traslate nella chiesa dei SS. Geremia e Lucia, dove sono conservate tutt’oggi. 



sabato 8 dicembre 2012

Immacolata concezione di Maria

 

Il Cielo si inonda di luce: Dio Padre ha pronunciato la sua preziosa parola, un nome, che serbava nella mente e nel cuore sin dall'eternità. Un nome che sa di candore, di verginale purezza, di divina freschezza. Un nome che contiene i colori della tavolozza dove Dio intinge il pennello per colorare di vita nuova la faccia della terra ferita dal peccato. Un nome che contiene i semi più preziosi che Dio semina sull' umanità per far rifiorire i cuori induriti dal peccato. Un nome che contiene le sorgenti più pure e cristalline, dove Dio attinge per rinvigorire i deserti più aridi e far germogliare la nuova creazione. MARIA è la creatura più bella e preziosa che Dio potesse donarci. E' il tesoro, la perla, il fiore più profumato dei giardini del Cielo. E' la 'donna forte' della Sacra Scrittura. E' la stella più luminosa nel firmamento della santità. E' la donna che col suo 'Sì' ha cambiato il corso della storia tra Dio e gli uomini. Il suo grembo verginale ha accolto il Soffio Divino della vita e ha donato al mondo la Vita. Di Maria non si è detto nè mai si dirà abbastanza, 'numquam satis'; la Sacra Scrittura è la fonte che ci rivela il mistero di Maria, Ella è strettamente legata al Figlio suo, Gesù Cristo e come tale non poteva non essere Immacolata e Pura, Vergine e Madre.

giovedì 6 dicembre 2012

San Nicola, vescovo


Nasce a Pàtara, Asia Minore (attuale Turchia),nel 250 d.C circa. Sulla sua vita le notizie certe sono pochissime. Proveniva da una famiglia nobile. Fu eletto vescovo di Mira per le sue doti di pietà e di carità molto esplicite fin da bambino. Fu considerato santo anche da vivo per i miracoli e i prodigi che compiva. Durante la persecuzione di Diocleziano, pare sia stato imprigionato fino all’epoca dell’Editto di Costantino. Nicola muore a Mira il 6 dicembre forse nell'anno 326. I pellegrinaggi alla sua tomba, posta fuori dell’abitato di Mira, cominciano subito dopo la sua morte, numerosi e non solo del circondario. Oltre sette secoli dopo la sua morte, quando in Puglia è subentrato il dominio normanno, “Nicola di Mira” diventa “Nicola di Bari”. Sessantadue marinai baresi, sbarcati nell’Asia Minore già soggetta ai Turchi, arrivano al sepolcro di Nicola e s’impadroniscono dei suoi resti, che il 9 maggio 1087 giungono a Bari accolti in trionfo: ora la città ha un suo patrono. Il 29 settembre 1089 esse trovano sistemazione definitiva nella cripta, già pronta, della basilica che si sta innalzando in suo onore. E’ il Papa in persona, Urbano II, a deporle sotto l’altare. Nel 1098 lo stesso Urbano II presiede nella basilica un concilio di vescovi, tra i quali alcuni “greci” dell’Italia settentrionale: c’è già stato lo scisma d’Oriente.
Alla fine del XX secolo la basilica, affidata da Pio XII ai domenicani, è luogo d’incontro tra le Chiese d’Oriente e
d’Occidente.
                
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mercoledì 5 dicembre 2012

Niccolò Stenone (Niels Stensen)


Niels Stensen nasce a Copenaghen (Danimarca) l'11 gennaio 1638 in una famiglia ricca e di fede luterana. Studia presso l'università di Copenaghen lingue, matematica, anatomia e medicina, con grande profitto. Importanti sono gli studi sull'anatomia umana, a lui si deve la scoperta del dotto salivare chiamato appunto di Stenone. Sono ondamentali anche i suoi studi di geologia e cristallografia. Stenone diventa un luminare, ormai, accolto da sovrani e accademie di tutta Europa. Ma l’ansia di conoscenza si estende anche ai problemi della fede, specialmente da quando si reca spesso a Firenze.  Qui, in terra cattolica, segue i riti, studia i princìpi dialogando con dotti religiosi, con la gentildonna lucchese Lavinia Arnolfini, con la clarissa Maria Flavia del Nero; a Livorno lo commuove la processione del Corpus Domini nel giugno 1667. E nel novembre successivo lo accoglie con i suoi sacramenti la Chiesa di Roma.   "Firenze fu infatti come una seconda patria per il beato Stenone, le cui spoglie sono custodite nella Basilica di san Lorenzo. Nella vostra città egli maturò quelle decisioni fondamentali di carattere religioso che dovevano dare un indirizzo nuovo a tutto il resto della sua vita, arricchendo la sua personalità, già tanto dotata sul piano culturale, con l’apporto di una nuova e più alta professione di vita, quella del ministro di Cristo, che allarga il cuore di un uomo ad orizzonti ben più vasti e profondi di quelli che possa assicurare la semplice scienza umana, per quanto nobile essa sia" (DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI FEDELI FIORENTINI GIUNTI A ROMA PER LA BEATIFICAZIONE DI NIELS STENSEN
Domenica, 23 ottobre 1988).

Otto anni dopo (1675)la sua conversione, nel giorno di Pasqua, riceve l'ordinazione sacerdotale nel duomo di Firenze, dove inizia il suo ministero come Curato. Nel 1677 viene consacrato Vescovo e nominato Vicario Apostolico dell'intera Germania nord-occidentale e della Danimarca - Norvegia, con sede ad Hannover e poi ad Amburgo dove visse povero ed umile fino alla morte per grave malattia il 5 dicembre 1628.
"L’esempio che ci offre il Vescovo Stenone è importante, in particolare, per tutti i pastori della Chiesa: in lui rifulgeva un generoso spirito di servizio che lo rendeva sempre pronto ad andare là dov’era chiamato, anche se l’incarico era difficile ed impegnativo. In ogni occasione egli seppe dar prova di zelo fervente e di instancabile spirito apostolico, conducendo una vita mortificata e povera" (Giovanni Paolo II)

martedì 4 dicembre 2012

San Giovanni Calabria

 
GIOVANNI CALABRIA nacque a Verona l'8 ottobre 1873, settimo e ultimo figlio di Luigi, ciabattino, e di Angela Foschio, serva di signori e donna di grande fede, educata dal Servo di Dio don Nicola Mazza nel suo Istituto per ragazze povere.
La povertà gli fu maestra di vita fin dalla nascita. Alla morte del babbo, dovette interrompere la IV elementare per cercarsi un lavoro come garzone. Accortosi delle virtù del ragazzo, il Rettore di San Lorenzo don Pietro Scapini, lo preparò privatamente agli esami di ammissione al liceo presso il Seminario. Superata la prova, vi fu ammesso e frequentò il liceo come esterno. Ma dovette interromperlo al 13° anno per il servizio militare.
 
La carità fu la caratteristica di tutta la sua vita
E qui il giovane si distinse soprattutto per la sua grande carità. Si mise infatti al servizio di tutti, prestandosi agli uffici più umilianti e rischiosi. Si conquistò l'animo dei suoi commilitoni e dei suoi superiori, portandone parecchi alla conversione e alla pratica della fede.
Terminato il servizio militare, riprese nuovamente gli studi. In una fredda nottata di novembre del 1897 - frequentava il 1 ° anno di teologia - tornando da una visita agli infermi dell'ospedale, trovò accovacciato sull'uscio di casa un bambino fuggito dagli zingari. Lo raccolse, lo portò in casa, lo tenne con sé e condivise con lui la sua cameretta. Fu l'inizio delle sue opere in favore degli orfani e degli abbandonati.
Pochi mesi dopo, fondò la "Pia Unione per l'assistenza agli ammalati poveri ", riunendo attorno a sé un folto gruppo di chierici e di laici.
Questi sono solo gli inizi di una vita caratterizzata tutta dalla carità. "Ogni istante della sua vita fu la personificazione del meraviglioso cantico di San Paolo sulla Carità" scriverà in una sua lettera postulatoria a Paolo VI una dottoressa ebrea da don Calabria salvata dalla persecuzione nazifascista, nascondendola, vestita da suora, tra le religiose del suo Istituto.
 
Sacerdote e Fondatore di due Congregazioni
Ordinato sacerdote l'11 agosto 1901, fu nominato Vicario Cooperatore nella parrocchia di S. Stefano e confessore nel Seminario. Si dedicò con particolare zelo alle confessioni e all'esercizio della carità privilegiando soprattutto i più poveri e gli emarginati.
Nel 1907, nominato Vicario della Rettoria di San Benedetto al Monte, intraprese anche l'accoglienza e la cura spirituale dei soldati. Il 26 novembre di quell'anno, in Vicolo Case Rotte, diede ufficiale inizio all'Istituto "Casa Buoni Fanciulli", che trovò l'anno seguente la sistemazione definitiva in Via San Zeno in Monte, attuale Casa Madre.
Con i ragazzi, il Signore gli mandò anche dei laici desiderosi di condividere con lui la propria donazione al Signore. Con questo manipolo di uomini donati totalmente al Signore nel servizio dei poveri con una vita radicalmente evangelica, fece rivivere alla Chiesa di Verona il clima della Chiesa Apostolica. E quel primo nucleo di uomini fu la base della " Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza " che verrà approvata dal Vescovo di Verona l' 11 febbraio 1932 e otterrà l'Approvazione Pontificia il 25 aprile 1949.
Subito dopo l'approvazione diocesana, la Congregazione si diffuse in varie parti d'Italia, sempre al servizio dei poveri, degli abbandonati e degli emarginati. Allargò la sua azione anche agli anziani e agli ammalati dando vita per essi alla " Cittadella della carità ". Il cuore apostolico di don Calabria pensò anche ai Paria dell'India, mandando nel 1934 quattro Fratelli a Vijayavada.
Nel 1910 fondò anche il ramo femminile, le "Sorelle", che diventeranno Congregazione di diritto diocesano il 25 marzo 1952 col nome di " Povere Serve della Divina Provvidenza " e il 25 dicembre 1981 otterranno l'Approvazione Pontificia.
Profeta della paternità di Dio e della ricerca del suo Regno
Alle sue due Congregazioni don Calabria affidò la stessa missione ispiratagli dal Signore fin da giovane sacerdote: " Mostrare al mondo che la divina Provvidenza esiste, che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi, a patto che noi pensiamo a lui e facciamo la nostra parte, che è quella di cercare in primo luogo il santo Regno di Dio e la sua giustizia " (cfr. Mt 6, 25-34).
E per testimoniare tutto questo, accolse gratuitamente nelle sue case ragazzi materialmente e moralmente bisognosi, creò ospedali e case di accoglienza per assistere nel corpo e nello spirito ammalati e anziani. Aprì le sue case di formazione ai giovani e anche agli adulti poveri, per aiutarli a raggiungere la propria vocazione sacerdotale o religiosa, assistendoli gratuitamente fino alla teologia o alla definitiva decisione per la vita religiosa, lasciandoli poi liberi di scegliere quella Diocesi o Congregazione che il Signore avesse loro ispirato. Stabilì che i suoi religiosi esercitassero l'apostolato nelle zone più povere, " dove nulla c'è umanamente da ripromettersi ".
 
"Rifulse quale faro luminoso nella Chiesa di Dio"
Sono proprio queste le parole che il Beato Card. Schuster fece scolpire sulla sua tomba.
A cominciare infatti dal 1939-40 fino alla morte, in contrasto col suo innato desiderio di nascondimento, allargò i suoi orizzonti fino a raggiungere le frontiere della Chiesa, " gridando " a tutti che il mondo si può salvare solo ritornando a Cristo e al suo Vangelo.
Fu così che divenne una voce profetica, un punto di riferimento. Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici videro in lui la guida sicura per loro stessi e per le loro iniziative. Per questo i Vescovi della Conferenza Episcopale del Triveneto, nella loro lettera postulatoria al Papa Giovanni Paolo II, poterono scrivere: " Don Calabria, proprio per preparare la Chiesa del Duemila - espressione a lui familiare -, fece della sua vita tutto un sofferto e accorato appello alla conversione, al rinnovamento, all'ora di Gesù con accenti impressionanti di incalzante urgenza... Ci pare che la vita di don Calabria e la sua stessa persona costituisca una "profezia" del vostro appassionato grido a tutto il mondo: Aperite portas Christo Redemptori!".
Capì che in questo radicale e profondo rinnovamento spirituale del mondo dovevano essere coinvolti anche i laici. Per questo, nel 1944 fondò la " Famiglia dei Fratelli Esterni ", composta appunto da laici.
Pregò, scrisse, agì e soffrì anche per l'unità dei cristiani. Per questo intrattenne fraterni rapporti con protestanti, ortodossi ed ebrei: scrisse, parlò, amò, mai discusse. Conquistò con l'amore. Lo stesso Pastore luterano Sune Wiman di Eskilstuna (Svezia) che ebbe con lui un copioso scambio epistolare, rivolse il 6 marzo 1964 una lettera postulatoria al Santo Padre Paolo VI per domandargli la glorificazione del suo venerato amico.
E questo fu anche il periodo più misteriosamente doloroso della sua vita. Sembrava che il Cristo l'avesse associato all'agonia del Getsemani e del Calvario, accettando la sua offerta di "vittima" per la santificazione della Chiesa e per la salvezza del mondo. Il Beato card. Schuster lo paragonò al Servo di Jahvé.
Morì il 4 dicembre 1954. Alla vigilia però, fece il suo ultimo gesto di carità offrendo la sua vita al Signore per il papa Pio XII, agonizzante. Il Signore aveva accettato la sua offerta e, mentre lui moriva, il Papa, misteriosamente e improvvisamente, ricuperava la salute vivendo in piena efficienza per altri quattro anni.
Lo stesso Pontefice, ignaro dell'ultimo gesto di offerta di don Calabria, ma conoscitore profondo di tutta la sua vita, alla notizia della sua morte, in un telegramma di condoglianze alla Congregazione, l'aveva definito "campione di evangelica carità".
Don Giovanni Calabria è stato beatificato dal Papa Giovanni Paolo II il 17 aprile 1988.
tratto da www.vatican.va



lunedì 3 dicembre 2012

San Francesco Saverio


Francisco nasce  da nobili genitori il 7 aprile 1506 nel castello di Xavier, nella Navarra (Spagna). Francesco non sarebbe diventato un giurista e un amministratore come suo padre, né un guerriero come i suoi fratelli maggiori, ma un ecclesiastico come un qualunque cadetto del tempo. Per questo nel 1525 si reca ad addottorarsi all'università di Parigi  dove incontra  Ignazio di Loyola. Infatti, assegnato, nel collegio di Santa Barbara, alla medesima stanza del Saverio, il fondatore della Compagnia di Gesù aveva visto a fondo nell'anima di lui, gli si era affezionato e più volte gli aveva detto: "Che giova all'uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde l 'anima? (Mc. 8, 36). Più tardi Ignazio confiderà che Francesco fu "il più duro pezzo di pasta che avesse mai avuto da impastare" e il Saverio, nel fare quaranta giorni di ritiro sotto la direzione d'Ignazio prima d'iniziare lo studio della teologia, pregherà: "Ti ringrazio, o Signore, per la provvidenza di avermi dato un compagno come questo Ignazio, dapprima così poco simpatico".Il 15 agosto del 1534 Francesco e Ignazio, nella chiesetta di Santa Maria di Montmartre fa voto di castità e di povertà e di pellegrinare in Palestina o, in caso d'impossibilità, di andare a Roma per mettersi a disposizione del papa. All'inizio del 1537, si trova con gli altri primi sei compagni all'appuntamento fissato a Venezia, ma la guerra scoppiata tra la Turchia e la Repubblica Veneta impedisce loro di mandare ad effetto il voto fatto. Ignazio e i suoi discepoli si dedicarono allora all'assistenza dei malati nell'ospedale degl'Incurabili fondato da S. Gaetano da Thiene e, dopo essere stati ordinati sacerdoti, alla predicazione per le piazze in uno strano miscuglio di lingue neo-latine. A Bologna specialmente il Saverio si acquistò fama di predicatore e di consolatore dei malati e dei carcerati, ma in sei mesi si rovinò la salute dandosi ad austerissime penitenze. S. Ignazio lo chiama  a Roma come suo segretario. Nella primavera del 1539  prende parte alla fondazione della Compagnia di Gesù e, l'anno dopo, viene mandato al posto di Nicolò Bobadilla nelle Indie Orientali in qualità di legato papale per tutte le terre situate ad oriente del capo di Buona Speranza. Durante il penoso viaggio a vela, protrattosi per tredici mesi, Francesco dona assistenza spirituale ai 300 passeggeri, nonostante che per due mesi avesse sofferto il mal di mare. Stabilitosi nel collegio di San Paolo a Goa, comincia il suo apostolato (1542) tra gli abitanti della colonia portoghese. Poi estende il suo ministero ai malati, ai prigionieri e agli schiavi con tanta premura da meritare il titolo di "Santo Padre" e "Grande Padre". Aveva l'abitudine di raccogliere, suonando un campanello per le strade,  i fanciulli e ad essi insegnava il catechismo e cantici spirituali. Così passò di villaggio in villaggio, a piedi o su disagevoli imbarcazioni di cabotaggio, esposto a mille pericoli, fondando chiese e scuole, facendosi a tutti maestro, medico, giudice nelle liti, difensore contro le esazioni dei portoghesi, salutato ovunque quale Santo e taumaturgo. "Talmente grande è la moltitudine dei convertiti - scriveva egli - che sovente le braccia mi dolgono tanto hanno battezzato e non ho più voce e forza di ripetere il Credo e i comandamenti nella loro lingua". In un mese arrivò a battezzare 10.000 pescatori della casta dei Macua, nel Travancore. Mentre era intento ad amministrare il sacramento, ricevette la triste notizia che 600 cristiani di Manaar avevano preferito lasciarsi uccidere anziché tornare al paganesimo. Ne provò un momento di sconforto: "Sono così stanco di vivere - scrisse - che la migliore cosa per me sarebbe morire per la nostra Santa fede". Lo rattristava il vedere commettere tanti peccati e non poterci fare nulla. Benché continuamente a disposizione del prossimo, il Santo fu sempre trattato male da ufficiali e mercanti portoghesi, decisi a non permettere che la sua caccia alle anime intralciasse loro la ricerca di piaceri e di ricchezze. Noncurante degli uomini, negli anni successivi (1545-1547) egli apre nuovi campi all'apostolato. Predica per quattro mesi nell'importante centro commerciale di Malacca; visita l'arcipelago delle Molucche; nell'isola di Amboina, presso la Nuova Guinea, riusce ad avvicinare la popolazione impaurita di un villaggio stando seduto e cantando tutti gli inni che sapeva; si spinge fino all'isola di Ternate, estrema fortezza dei portoghesi, e più oltre ancora, fino alle isole del Moro, al nord delle Molucche, abitate da cacciatori di teste. "Queste isole - scriverà il 20-1-1548 - sono fatte e disposte a meraviglia perché vi ci si perda la vista in pochi anni per l'abbondanza delle lacrime di consolazione... Io circolavo abitualmente nelle isole circondate da nemici e popolate da amici poco sicuri, attraverso terre sprovviste di qualsiasi rimedio per le malattie e prive di qualsiasi soccorso per conservare la vita". Ciononostante egli pregava: "Non allontanarmi, o Signore, da queste tribolazioni se non hai da mandarmi dove io possa soffrire ancora di più per amore tuo". Dopo tre mesi di fatiche, torna a Ternate. Il sultano regnante fa buona accoglienza al missionario, ma alla fede cristiana preferì le sue cento mogli e le numerose concubine. Raggiunta Malacca nel dicembre 1547, la Provvidenza fa incontrare al Saverio un fuggiasco giapponese, Anjiro, desideroso di farsi cristiano per liberarsi dal rimorso cagionatogli da un delitto commesso in patria. Il Santo rimane talmente affascinato dalle notizie da lui avute sul Giappone e i suoi abitanti che concepisce un estremo desiderio di andarli ad evangelizzare. Dopo aver provveduto per il governo del Collegio di San Paolo a Goa e l'invio di missionari nelle località visitate, parte per il Giappone in compagnia di Anjiro, suo collaboratore. Sbarca a Kagoshima, nell'isola di Kiu-Sciu, il 15-8-1548. Il principe Shimazu Takahisa lo accoglie gentilmente, e mentre egli studia la lingua del paese, Anjíro converte al cattolicesimo oltre un centinaio di parenti e amici. "I Giapponesi - scrisse - sono il migliore dei popoli".  In breve tempo egli riesce a creare una fiorente cristianità che formò 1e delizie della sua anima" e ad estenderla nel vicino regno di Bungo.
Nell'inverno del 1551, Francesco viene richiamato da urgenti affari, in Giappone lascia oltre 1.000 cristiani. Il 17-4-1552 approda nell'isola di Sanciano con un servo cinese convertito, Antonio di Santa Fe. Ad un amico il Santo scrisse: "Pregate molto per noi, perché corriamo grande pericolo di essere imprigionati. Tuttavia, già ci consoliamo anticipatamente al pensiero che è meglio essere prigionieri per puro amor di Dio, che essere liberi per avere voluto fuggire il tormento e la pena della croce". Le fatiche avevano imbiancato i suoi capelli. Quante volte, sempre immerso nella preghiera, aveva dovuto camminare a piedi nudi e sanguinanti o passare a guado fiumi gelati! Quante volte, affamato e intirizzito, era stato cacciato dalle locande a sassate! Sovente cadde esausto sul ciglio delle strade. Per poter proseguire il suo viaggio talora dovette occuparsi come stalliere presso viaggiatori più fortunati. 
Nel rigido inverno, Francesco si ammala di polmonite, e privo com'era di ogni cura muore in una capanna il 3-12-1552 dopo avere più volte ripetuto: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!". Il suo corpo viene seppellito dal servo nella parte settentrionale dell'isola, in una cassa ripiena di calce. Due anni dopo fu trasportato, integro e intatto, prima a Malacca e poi a Goa, dove si venera nella chiesa del Buon Gesù.
Viene beatificato da Papa Paolo V  il 21-10-1619 e Papa Gregorio XV lo canonizza il 12-3-1622. Si calcola che il Santo missionario abbia conferito il battesimo a circa 30.000 pagani.

Liberamente tratto da www.santiebeati.it



sabato 1 dicembre 2012

Beato Charles de Foucauld


Nasce il 15 settembre 1858 a Strasburgo (Francia). Visse una giovinezza scapestrata, «senza niente negare e senza niente credere», impegnandosi solo nella ricerca del proprio piacere. Nel 1876 entra nella scuola militare di Saint-Cyr per seguire le orme del nonno, con il quale è cresciuto insieme alla sorella Marie, dopo essere rimasto orfano all'età di sei anni. Tenente dell'esercito francese di stanza in Algeria, nel 1885 viene esonerato dal servizio,  congedato con disonore per maldisciplina aggravata da sregolatezza di vita.
Si dedica allora a viaggiare esplorando una zona sconosciuta del Marocco. In occasione della rivolta di Orano, chiede di poter essere reintegrato e, terminata la campagna militare, si dimette dall'esercito, dedicandosi a ricerche geografiche e di esplorazione. Affascinato dall'Africa settentrionale, dalla rudezza dei suoi abitanti e dall'ambiente quasi soprannaturale, dedica una parte della sua vita a carpirne le tradizioni e i costumi e, da esploratore delle cose del mondo, diventa uomo alla ricerca di Dio. "Per dodici anni, ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi pareva sufficientemente provato. L'identica fede con cui venivano seguite religioni tanto diverse mi appariva come la condanna di ogni fede [...]. Per dodici anni rimasi senza nulla negare e nulla credere, disperando ormai della verità, e non credendo più nemmeno in Dio, sembrandomi ogni prova oltremodo poco evidente".

Nel 1886 ritorna in Francia e fissa la sua dimora a Parigi. Torna in patria scosso dalla fede totalitaria di alcuni musulmani conosciuti in Africa. Si riavvicina al cristianesimo e si converte radicalmente, accettando di accostarsi per la prima volta al sacramento della confessione. Deciso a «vivere solo per Dio», entra dapprima tra i monaci trappisti, ma ne esce, dopo alcuni anni, per recarsi in Terra Santa e abitarvi come Gesù, in povertà e nascondimento. Ordinato sacerdote a 43 anni nel 1901, con l’intento di poter celebrare e adorare l’Eucaristia nella più sperduta zona del mondo, torna in Africa, si stabilisce vicino un’oasi del profondo Sahara algerino, indossando una semplice tunica bianca, sulla quale aveva cucito un cuore rosso di stoffa, sormontato da una croce.  Nel 1905 nel territorio di Tamanrasset costruisce un piccolo romitorio e successivamente nel 1910 un eremo nell'Aschrem, cima centrale dell'Haggar. Dall'arrivo a Bénis-Abbès, inizia la nuova vita religiosa di fratel Charles de Foucauld.
A cristiani, musulmani, ebrei e idolatri, che passavano per la sua oasi, si presentava come «fratello universale» e offriva a tutti ospitalità. In seguito si addentrò ancora di più nel deserto, raggiungendo il villaggio tuareg di Tamanrasset.Vi trascorse tredici anni occupandosi nella preghiera (a cui dedicava undici ore al giorno) e nel comporre un enorme dizionario di
lingua francese-tuareg (usato ancor oggi), utile alla futura evangelizzazione.
La sera del primo dicembre 1916, la sua abitazione – sempre aperta a ogni incontro – fu saccheggiata da predoni. Il cadavere fu ritrovato presso l’ostensorio che conteneva l’ostia, quasi per un’ultima adorazione.
E' stato beatificato in San Pietro il 13 novembre 2005 sotto il pontificato di Benedetto XVI.
www.charlesdefoucauld.org/it

venerdì 30 novembre 2012

Sant'Andrea, apostolo

 
Nasce a Bethsaida di Galilea - muore a Patrasso (Grecia), ca. 60 dopo Cristo
All’apostolo Andrea spetta il titolo di 'Primo chiamato'. Ed è commovente il fatto che, nel Vangelo, sia perfino annotata l’ora («le quattro del pomeriggio») del suo primo incontro e primo appuntamento con Gesù. Fu poi Andrea a comunicare al fratello Pietro la scoperta del Messia e a condurlo in fretta da Lui.
La sua presenza è sottolineata in modo particolare nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Sappiamo inoltre che, proprio ad Andrea, si rivolsero dei greci che volevano conoscere Gesù, ed egli li condusse al Divino Maestro. Su di lui non abbiamo altre notizie certe, anche se, nei secoli successivi, vennero divulgati degli Atti che lo riguardano, ma che hanno scarsa attendibilità. Secondo gli antichi scrittori cristiani, l’apostolo
Andrea avrebbe evangelizzato l’Asia minore e le regioni lungo il mar Nero, giungendo fino al Volga. È perciò onorato come patrono in Romania, Ucraina e Russia.
Commovente è la 'passione' – anch’essa tardiva – che racconta la morte dell’apostolo, che sarebbe avvenuta a Patrasso, in Acaia: condannato al supplizio della croce, egli stesso avrebbe chiesto d’essere appeso a una croce particolare fatta ad X (croce che da allora porta il suo nome) e che evoca, nella sua stessa forma, l’iniziale greca del nome di Cristo. La Legenda aurea riferisce che Andrea andò incontro alla sua croce con questa splendida invocazione sulle labbra: «Salve Croce, santificata dal corpo di Gesù e impreziosita dalle gemme del suo sangue… Vengo
a te pieno di sicurezza e di gioia, affinché tu riceva il discepolo di Colui che su di te è morto. Croce buona, a lungo desiderata, che le membra del Signore hanno rivestito di tanta bellezza! Da sempre io ti ho amata e ho desiderato di abbracciarti… Accoglimi e portami dal mio Maestro». (tratto da www.santiebeati.it)
 
Dalle "Omelie sul vangelo di Giovanni" di San Giovanni Crisostomo, vescovo

Andrea, dopo essere stato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sè il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: ' Abbiamo trovato il Messia' (Gv 1,41). Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e dall'altra rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento.

Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia.

Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo, mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale. (....)

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Mi piace sottolineare le parole di San Giovanni Crisostomo circa l'attesa di Andrea e la premura di andare a chiamare suo fratello, Pietro. Ben si colloca il suo giorno di festa all'inizio dell'avvento, proprio per ricordarci che anche noi dobbiamo restare col cuore attento, in attesa del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo. Un' attesa colma di gioia, perchè Dio desidera venire in mezzo a noi per redimerci e santificarci. Andrea dopo aver incontrato Gesù corre a chiamare suo fratello Pietro, per partecipargli la sua stessa gioia, il suo stesso incontro. San Giovanni Crisostomo parla di 'tesoro', di 'ricchezza'. Quale accostamento più illuminante!Gesù è IL TESORO, LA PERLA della Sacra Scrittura. Gesù è IL TESORO più prezioso del Padre, è IL TESORO di tutto il Cielo! Dio Padre ed il Cielo si sono privati di questo tesoro per donarlo a noi! Gesù è il dono più prezioso che Dio Creatore potesse elargire all'intera umanità! Gesù è un dono che va donato! Va accolto a braccia spalancate e a piene mani.

giovedì 22 novembre 2012

Santa Cecilia


Riguardo a Cecilia, venerata come martire e onorata come patrona dei musicisti, è difficile reperire dati storici completi ma a sostenerne l'importanza è la certezza storica dell'antichità del suo culto. Due i fatti accertati: il «titolo» basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all'anno 313, cioè all'età di Costantino; la festa della santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell'anno 545. Sembra inoltre che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d'onore, accanto alla cosiddetta «Cripta dei Papi», trasferita poi da Pasquale I nella cripta della basilica trasteverina. La famosa «Passio», un testo più letterario che storico, attribuisce a Cecilia una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa. (Avvenire). Alla fine del '500, il sarcofago venne aperto, e il corpo della Santa apparve in eccezionale stato di conservazione, avvolto in un abito di seta e d'oro. Il Maderna scolpì allora la celebre statua in marmo, a fedele riproduzione - così si disse - dell'aspetto e della posizione del corpo dell'antica Martire.

 

mercoledì 21 novembre 2012

Presentazione della Beata Vergine Maria

La Vergine Maria, nel suo candore di bambina, si consacra al suo Signore, si dona a Lui. Oggi la Chiesa Cattolica ricorda quest'offerta. Nessun libro sacro ne parla espressamente, ma la Divina Parola ne contiene tutti i simboli. Maria è il giardino fiorito dove tutti i fiori del Paradiso sono contenuti. Maria è la culla santa dove il Creatore ha dormito i suoi sonni di neonato.
Oggi è la giornata detta anche 'PRO ORANTIBUS ( ne parlo qui)

Oggi l'Arma dei Carabinieri festeggia la sua patrona la Vergine Maria chiamata con il titolo di 'Virgo Fidelis'.

sabato 17 novembre 2012

Santa Elisabetta d'Ungheria

 


Elisabetta nasce a Bratislava ( Capitale del Regno d'Ungheria ) nel 1207. E' figlia di Andrea II Re d'Ungheria e di Gertrude. A 14 anni va in sposa a Ludovico IV dei Duchi di Turingia di anni 20. Il loro è un matrimonio felice, allietato dalla nascita di tre figli, Ermanno, Sofia e Gertrude, che nasce già orfana, perchè il Duca Ludovico muore a 27 anni l' 11 settembre 1227 ad Otranto durante la sesta Crociata. Elisabetta rimane vedova a soli 20 anni, i cognati le tolgono i figli, la allontanano dal Castello di Wartburg, così si trasferisce a Marburg ( Germania) , entra nel Terz' Ordine Francescano, si riduce volontariamente in povertà, costruendo, con i suoi beni, un ospedale, dove ella stessa si dedica alla cura degli ammalati. Muore a soli 24 anni il 17 novembre 1231. Viene proclamata santa da Papa Gregorio IX nel 1235. E' una della mie sante preferite. Magnifico esempio di sposa e madre.


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 20 ottobre 2010





Santa Elisabetta d’Ungheria

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di una delle donne del Medioevo che ha suscitato maggiore ammirazione; si tratta di santa Elisabetta d’Ungheria, chiamata anche Elisabetta di Turingia.

Nacque nel 1207; gli storici discutono sul luogo. Suo padre era Andrea II, ricco e potente re di Ungheria, il quale, per rafforzare i legami politici, aveva sposato la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Merania, sorella di santa Edvige, la quale era moglie del duca di Slesia. Elisabetta visse nella Corte ungherese solo i primi quattro anni della sua infanzia, assieme a una sorella e tre fratelli. Amava il gioco, la musica e la danza; recitava con fedeltà le sue preghiere e mostrava già particolare attenzione verso i poveri, che aiutava con una buona parola o con un gesto affettuoso.

La sua fanciullezza felice fu bruscamente interrotta quando, dalla lontana Turingia, giunsero dei cavalieri per portarla nella sua nuova sede in Germania centrale. Secondo i costumi di quel tempo, infatti, suo padre aveva stabilito che Elisabetta diventasse principessa di Turingia. Il langravio o conte di quella regione era uno dei sovrani più ricchi ed influenti d’Europa all’inizio del XIII secolo, e il suo castello era centro di magnificenza e di cultura. Ma dietro le feste e l’apparente gloria si nascondevano le ambizioni dei principi feudali, spesso in guerra tra di loro e in conflitto con le autorità reali ed imperiali. In questo contesto, il langravio Hermann accolse ben volentieri il fidanzamento tra suo figlio Ludovico e la principessa ungherese. Elisabetta partì dalla sua patria con una ricca dote e un grande seguito, comprese le sue ancelle personali, due delle quali le rimarranno amiche fedeli fino alla fine. Sono loro che ci hanno lasciato preziose informazioni sull’infanzia e sulla vita della Santa.

Dopo un lungo viaggio giunsero ad Eisenach, per salire poi alla fortezza di Wartburg, il massiccio castello sopra la città. Qui si celebrò il fidanzamento tra Ludovico ed Elisabetta. Negli anni successivi, mentre Ludovico imparava il mestiere di cavaliere, Elisabetta e le sue compagne studiavano tedesco, francese, latino, musica, letteratura e ricamo. Nonostante il fatto che il fidanzamento fosse stato deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero, animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di Dio. All’età di 18 anni, Ludovico, dopo la morte del padre, iniziò a regnare sulla Turingia. Elisabetta divenne però oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva alla vita di corte. Così anche la celebrazione del matrimonio non fu sfarzosa e le spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi. Una volta, entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?”. Come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. Tra i Detti delle quattro ancelle troviamo questa testimonianza: “Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza” (nn. 25 e 37). Un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l’esercizio dell’autorità, ad ogni livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune.

Elisabetta praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. Consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri. Questo comportamento fu riferito al marito, il quale non solo non ne fu dispiaciuto, ma rispose agli accusatori: “Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!”. In questo contesto si colloca il miracolo del pane trasformato in rose: mentre Elisabetta andava per la strada con il suo grembiule pieno di pane per i poveri, incontrò il marito che le chiese cosa stesse portando. Lei aprì il grembiule e, invece del pane, comparvero magnifiche rose. Questo simbolo di carità è presente molte volte nelle raffigurazioni di santa Elisabetta.

Il suo fu un matrimonio profondamente felice: Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose. Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi alla sua attenzione verso i poveri, le disse: “Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura”. Una chiara testimonianza di come la fede e l’amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l’unione matrimoniale.

La giovane coppia trovò appoggio spirituale nei Frati Minori, che, dal 1222, si diffusero in Turingia. Tra di essi Elisabetta scelse frate Ruggero (Rüdiger) come direttore spirituale. Quando egli le raccontò la vicenda della conversione del giovane e ricco mercante Francesco d’Assisi, Elisabetta si entusiasmò ulteriormente nel suo cammino di vita cristiana. Da quel momento, fu ancora più decisa nel seguire Cristo povero e crocifisso, presente nei poveri. Anche quando nacque il primo figlio, seguito poi da altri due, la nostra Santa non tralasciò mai le sue opere di carità. Aiutò inoltre i Frati Minori a costruire ad Halberstadt un convento, di cui frate Ruggero divenne il superiore. La direzione spirituale di Elisabetta passò, così, a Corrado di Marburgo.

Una dura prova fu l’addio al marito, a fine giugno del 1227 quando Ludovico IV si associò alla crociata dell’imperatore Federico II, ricordando alla sposa che quella era una tradizione per i sovrani di Turingia. Elisabetta rispose: “Non ti tratterrò. Ho dato tutta me stessa a Dio ed ora devo dare anche te”. La febbre, però, decimò le truppe e Ludovico stesso cadde malato e morì ad Otranto, prima di imbarcarsi, nel settembre 1227, all’età di ventisette anni. Elisabetta, appresa la notizia, ne fu così addolorata che si ritirò in solitudine, ma poi, fortificata dalla preghiera e consolata dalla speranza di rivederlo in Cielo, ricominciò ad interessarsi degli affari del regno. La attendeva, tuttavia, un’altra prova: suo cognato usurpò il governo della Turingia, dichiarandosi vero erede di Ludovico e accusando Elisabetta di essere una pia donna incompetente nel governare. La giovane vedova, con i tre figli, fu cacciata dal castello di Wartburg e si mise alla ricerca di un luogo dove rifugiarsi. Solo due delle sue ancelle le rimasero vicino, la accompagnarono e affidarono i tre bambini alle cure degli amici di Ludovico. Peregrinando per i villaggi, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all’inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo, dove abitava anche il suo direttore spirituale Corrado. Fu lui a riferire al Papa Gregorio IX il seguente fatto: “Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti. Avendola io rimproverata su queste cose, Elisabetta rispose che dai poveri riceveva una speciale grazia ed umiltà” (Epistula magistri Conradi, 14-17).

Possiamo scorgere in quest’affermazione una certa esperienza mistica simile a quella vissuta da san Francesco: il Poverello di Assisi dichiarò, infatti, nel suo testamento, che, servendo i lebbrosi, quello che prima gli era amaro fu tramutato in dolcezza dell’anima e del corpo (Testamentum, 1-3). Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell’ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi. Cercava sempre di svolgere i servizi più umili e lavori ripugnanti. Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo (soror in saeculo) e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare.

Nel novembre del 1231 fu colpita da forti febbri. Quando la notizia della sua malattia si propagò, moltissima gente accorse a vederla. Dopo una decina di giorni, chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio. Nella notte del 17 novembre si addormentò dolcemente nel Signore. Le testimonianze sulla sua santità furono tante e tali che, solo quattro anni più tardi, il Papa Gregorio IX la proclamò Santa e, nello stesso anno, fu consacrata la bella chiesa costruita in suo onore a Marburgo.

Cari fratelli e sorelle, nella figura di santa Elisabetta vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a riscoprire Cristo, ad amarLo, ad avere la fede e così trovare la vera giustizia e l'amore, come pure la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino, nella gioia dell'eternità con Dio.





(Tratto da sito ufficiale della Santa Sede)




Mi piace segnalare anche questa biografia tratta dal sito di radici cristiane

Santa Elisabetta d'Ungheria, luminoso esempio di santità francescana

La ricorrenza dell’VIII centenario della nascita di santa Elisabetta d’Ungheria e di Turingia (1207-1231) offre l’opportunità di ripercorrere l’itinerario temporale e spirituale di una delle maggiori figure del Terzo Ordine francescano, che giustamente la venera come sua Patrona. Le manifestazioni previste per il suo anno giubilare, dal 17 novembre 2006 al 17 novembre 2007, dovrebbero servire anche a divulgare il suo messaggio, che è alla base della spiritualità del Terzo Ordine francescano: uniformità alla volontà di Dio mediante l’attuazione delle opere di misericordia corporale. Modello più attuale che mai, perché l’uomo oggi in genere si illude di poter risolvere i problemi sociali e temporali prescindendo dalla sfera superiore, quella spirituale e divina.

di Alberto Carosa









Autentica opzione per i poveri
Figlia di Andrea II, potente re d’Ungheria, Galizia e Lodomeria, Elisabetta nacque nel 1207 a Pozsony, odierna Bratislava, sul Danubio. Fin dalla tenera età la maggiore gioia di Elisabetta era fare l’elemosina per alleviare le sofferenze dei poveri.

Il padre, per rinforzare i legami politici, sposò la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Meran, discendente di Carlo Magno e la cui sorella, Hedwig, fu proclamata Santa. Sempre per ragioni politiche, il padre stabilì che Elisabetta sarebbe diventata Duchessa di Turingia, andando in sposa al giovane figlio Ludovico di Ermanno I, Langravio di Turingia, regione della Germania orientale, che dal suo storico castello di Wartburg signoreggiava su uno dei reami più ricchi ed influenti di tutta Europa al principio del XIII secolo.
Questa unione era stata preceduta dalla sbalorditiva profezia di un famoso sapiente dell’epoca. “Vedo una stella sorgere a oriente”, disse in trance, “è così bella che sparge i suoi raggi per tutto il mondo (…) Sappiate che questa notte è nata una figliuola al Re d’Ungheria, il cui nome sarà Elisabetta, verrà data in sposa al figlio del vostro principe Ermanno e sarà santa”.
A soli quattro anni Elisabetta si trasferì nella reggia del futuro marito, ma fin dal principio disprezzò le vanità, desiderando invece con tutto il cuore di ricevere subito Gesù Cristo nella Santa Comunione, senza aspettare i 12 anni, secondo tradizione. Solo a Guda, la sua più cara amica, confidò che Gesù si era mostrato a lei molte volte nell’Eucaristia e nella povertà.
Un giorno, mentre distribuiva il cibo al cancello del castello, vide Gesù tra i mendicanti. Lui toccò quelli intorno ed i loro volti cambiarono in Lui, mostrandole che poteva vederlo nei poveri e negli ammalati. Questa sua particolare “opzione per i poveri” causò un tumulto a corte, dove cominciò ad essere accusata di essere troppo santa per il troppo tempo passato in preghiera.

Miracoli sulle orme di San Francesco
Ad un certo puntò sembrò che l’alleanza ungherese non fosse così promettente e si cominciò a riconsiderare la scelta di Elisabetta, ma Ludovico fu perentorio in suo favore e mise a tacere tutte le malelingue: “Mi è cara più di ogni altra cosa sulla terra e non avrò nessun’altra come sposa se non lei”.
Finalmente, nel 1221, si sposarono. Si dice che Ludovico fosse il ritratto perfetto del cavaliere medievale, «alto, ben proporzionato, affascinante, attirava chiunque gli si avvicinasse, abile nei discorsi, prode ed intrepido». Ma fu Elisabetta ad elevare queste qualità ad un livello soprannaturale, insegnandogli ad agire per amore di Dio. Lei aveva quattordici anni mentre lui ne aveva ventuno. Nel suo nuovo status di sovrana, Elisabetta prese a moltiplicare le attività caritative verso i suoi sudditi.
Una notte apparve a castello nell’abito grigio dei Frati Minori un trovatore tedesco, che parlò del “povero piccolo ricco uomo” Francesco e del suo nuovo ordine. Elisabetta ne fu impressionata e desiderò diventare una seguace di San Francesco. Capì che la sua strada era aiutare i poveri e, perfetto modello di Carità, usò i molti mezzi per pagare debiti, comprare cibo e vestiti e per prendersi cura dei morti, ripulendoli e seppellendoli.
Si mortificava spesso alzandosi nella notte per pregare al lato del letto. Allora Ludwig le stringeva le fredde mani dicendole: “Risparmiati, piccola sorella”. Una volta la incontrò con il suo grembiule pieno di pane per i poveri. Quando le chiese cosa stesse portando, lei lasciò cadere il grembiule… ed invece di pane comparvero magnifiche e fresche rose...
Un’altra volta vennero a farle visita alcuni nobili ungheresi, anche per riferire a Re Andrea della situazione della figlia. Elisabetta, che aveva appena dato via i suoi bellissimi abiti, era stata tutto il giorno a distribuire elemosina ed indossava una grezza camicia di lana.
Vedendo la preoccupazione di Ludwig, disse: “Non mi sono mai vantata di ciò che indossavo. Ma parlerò di ciò con Dio, cosicché possa darsi che non notino i miei vestiti”. Quando entrò nella sala, gli ungheresi la guardarono compiaciuti poiché “i suoi abiti erano di seta, giacinto e brillavano con una rugiada di perle!” Successivamente, quando Ludwig la interrogò, lei rispose dolcemente: “Quando piace a Dio, Lui sa il modo per fare tali cose”.
In quegli anni i Frati Minori giunsero in Germania con il loro appello a tutti i cristiani di praticare la carità. Elisabetta e Ludwig gli fecero costruire una cappella al loro castello e in segno di gratitudine Francesco le mandò il suo logoro mantello, che lei custodì come uno dei più grandi tesori. In risposta alle sue preghiere, uno dei frati divenne suo maestro spirituale: così lei si avvicinò sempre di più a Gesù, la cui Passione era la sua devozione primaria e la fonte della sua forza.

“Rinunciare alla tua volontà”
Nel 1222, mentre il marito era assente, le nacque il primo figlio. Ora la preoccupazione che questo figlio potesse essere un legame verso la terra, tenendo il suo cuore lontano da Dio, la ossessionava, ma il suo confessore le disse: “Il tuo dovere ora è verso tuo figlio… Dio si rallegra se ognuno pratica la virtù secondo la sua posizione di vita. Tu sei una sovrana, una moglie ed una madre. È molto difficile, ma non impossibile praticare la povertà pur essendo un ricco sovrano. Ma tu potrai praticare altre virtù come la pazienza, l’umiltà e la carità così come fai ora. Potrebbe essere la volontà di Dio che tu rimanga così come sei. La tua più grande offerta potrebbe essere rinunciare alla tua volontà”. E così divenne una vera seguace di San Francesco.
Ludwig si accorse che non aveva a che fare con una donna comune, e qualche volta i suoi miracoli lo spaventavano. Scrisse al Papa per chiedere un direttore spirituale per lei e venne inviato Padre Conrad. Ma prima del suo arrivo nacque un altro figlio, questa volta una bambina.
Il nuovo confessore di Elisabetta provò ad essere aspro e severo. Col permesso di Ludwig, Elisabetta promise a Padre Conrad che gli avrebbe obbedito in tutto tranne in ciò che riguardava i suoi obblighi matrimoniali. Fece anche il voto di osservare la castità perpetua nel caso in cui fosse divenuta vedova. Padre Conrad rivelò, dopo la morte di Elisabetta, che nel momento in cui fece questo voto, Dio gli permise di vedere la radiosità della sua anima in tutta la sua bellezza.
L’inverno 1225 fu uno dei peggiori a causa di allagamenti, carestia, peste e vaiolo. Ludwig era fuori al servizio dell’Imperatore, lasciando così nelle mani di Elisabetta, che aveva solo 19 anni, la responsabilità del reame.
Quando i contadini presero d’assalto il castello di Wartburg per il grano, gli amministratori, sostenuti dalla corte, si opposero ad Elisabetta, che invece voleva dare fondo a tutte le riserve per sfamare il popolo, convinta che “non moriremo di fame se saremo generosi. Dobbiamo avere fede”. Alla fine la spuntò: furono distribuite 900 pagnotte di pane cotte ogni giorno, furono aperte cucine per le zuppe e fu costituito un ospizio per bambini e ragazzi.
Seguì subito un’epidemia di vaiolo, con i morti sparsi per le strade. Così Elisabetta uscì per curare i malati e seppellire i morti, approntando un piccolo ospedale ai piedi del castello, il primo costruito da laici in Germania.
Al suo ritorno Ludwig fu prontamente informato del comportamento della moglie. “Mia moglie sta bene?”, si limitò a chiedere. “Questo è tutto ciò che voglio sapere; il resto non ha importanza. Lasciate che dia ai poveri ciò che vuole; fin quando avrò il suo amore, sono contento”. Poi si recò ai granai e si accorse che erano miracolosamente pieni fino all’orlo. La spiegazione di Elisabetta fu: “Ho dato a Dio ciò che è di Dio e Lui ha conservato ciò che è vostro e mio”.
La separazione dal marito, partito per la crociata al seguito dell’Imperatore, fu straziante, ma più ancora lo fu la notizia della sua morte ad Otranto l’11 settembre del 1227, all’età di ventisette anni, divorato dalla febbre mentre aspettava di imbarcarsi alla volta della Terrasanta.

La cattiva notizia fu comunicata ad Elisabetta quando aveva appena dato alla luce il terzo figlio, una bambina. Quando infine la udì urlò: “Non questo! È morto! È morto! Il mio caro fratello è morto! Ora per me tutto il mondo e le sue gioie sono morte”. Svenne e fu riportata a letto. Per otto giorni pianse in solitudine.

Cacciata dal castello
Prima dell’inverno, il fratello di Ludwig assunse le redini del regno come erede ed estromise la cognata. Ora che il marito non la poteva più difendere, Elisabetta fu cacciata dal castello di Wartburg e messa sulla strada, dopo che il cognato si era impadronito dei suoi averi e di quelli dei figli.
Grazie all’intervento dei nobili rimasti fedeli al marito, Elisabetta venne reintegrata nella sua posizione, ma preferì ritirarsi nel castello di Marbourg-Hess, col desiderio di tendere alla più alta perfezione. Così p. Conrad le ordinò di usare tutti i suoi averi per i poveri e le fu permesso, prima donna a farlo, di unirsi al Terz’Ordine di San Francesco, conosciuto allora come “Fratelli e Sorelle della penitenza”.
I membri indossavano abiti grezzi, recitavano l’ora canonica, digiunavano la maggior parte dell’anno e si astenevano dal mangiare carne quattro giorni a settimana. Elisabetta si adeguò perfettamente a queste penitenze e prese i voti il Venerdì Santo.
Nel 1231 Padre Conrad fu sul punto di morire. La sua preoccupazione principale era la cura dell’anima di Elisabetta, ma lei lo rassicurò con queste parole: “Caro Padre, non avrò bisogno di protezione. Non sei tu che morirai, ma io”. Quattro giorni dopo Elisabetta fu colpita dalla febbre. Quando si diffuse la notizia che era gravemente malata, grandi folle accorsero a vederla. Alla fine Elisabetta chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio e preparare la sua anima.
Padre Conrad le diede il Viatico. Ai suoi amici più fedeli regalò ciò che di più caro possedeva, il mantello di San Francesco. Intorno alla mezzanotte spirò dopo queste parole: “O Maria, assistimi! Il momento è arrivato quando Dio convoca il Suo amico alla festa nuziale. Lo Sposo cerca la sua sposa… Silenzio!... Silenzio!”.
Era la notte del 19 novembre 1232 e non aveva ancora compiuto ventiquattro anni. La morte non bloccò gli atti di carità di Elisabetta e ai miracoli che aveva nascosto in vita si aggiunsero quelli a favore di coloro che accorrevano a invocare la sua intercessione presso la sua tomba.
I rapporti con i 130 miracoli della santa furono mandati a Roma e la Domenica di Pentecoste del 1235, solo quattro anni dopo la sua morte, Elisabetta fu canonizzata a Perugia dal Papa Gregorio IX, alla presenza di familiari e amici.

Nella traslazione delle sue reliquie, nel 1236, giunse l’Imperatore Federico II, che posò la sua corona sulla sua tomba e disse: “Poiché non ho potuto incoronarla Imperatrice in questo mondo, almeno la incorono oggi come regina immortale nel regno di Dio”.
Santa Elisabetta d’Ungheria, prega per noi!
(RC n. 18 - Ottobre 2006)