MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

lunedì 27 febbraio 2012

San Gabriele dell'Addolorata

Gabriele dell'Addolorata, aveva compiuto 24 anni di età due giorni prima di morire. Era nato ad Assisi il 1 marzo 1838 da Sante Possenti e Agnese Friscotti: famiglia agiata e onorata. Suo padre, in quel tempo, era governatore della Città del Poverello, allora sotto l'amministrazione pontificia. Gli venne imposto il nome di Francesco, in onore del Santo Serafico. Nel 1842 la sua famiglia si trasferì a Spoleto, dove, improvvisamente, morì la madre, lasciando sette figli. Sicuramente questo triste fatto gli avrà lasciato un lacerante ricordo, sebbene avesse, Francesco, soltanto quattro anni. Dopo aver frequentato le elementari dai Fratelli delle Scuole Cristiane di Spoleto, passò a studiare dai Padri Gesuiti. Diligente, studioso, premuroso e pio, il giovane di buoni propositi, cresceva meditando in cuor suo la vocazione alla vita religiosa che, lentamente invadeva il suo animo. A diciotto anni decise, con stupore di quanti lo conoscevano, compreso suo padre, di farsi Passionista. A scegliere la Congregazione di San Paolo della Croce, saranno state senza dubbio, le circostanze luttuose che avevano colpito la sua famiglia. Dopo la madre, perdette due fratelli, uno dei quali morì suicida, e pure una sorella.
Scelse il nome religioso di Gabriele dell'Addolorata, per la profonda compassione che sentiva per la Passione di Cristo e la forte devozione che portava alla Santa Madre di Gesù Crocifisso. "Il mio Paradiso - diceva - sono i dolori della cara Madre mia". Così da novizio, si avvia agli studi in preparazione del sacerdozio. Niente di clamoroso nella vita di questo giovane ventenne. Dopo la sua professione religiosa venne destinato al Convento Passionista di Isola, sotto il Gran Sasso d'Italia. Riceve gli ordini minori mentre, in Italia, gli eventi risorgimentali rendono la vita pericolosa.
Cagionevole di salute, Gabriele, sia per le privazioni e le penitenze a cui si sottoponeva, sia per lo stato generale in cui si viveva in quei giorni, andava, giorno per giorno, peggiorando. Presto si spense, invocando i nomi di Gesù, Maria e Giuseppe.
Morì il 27 febbraio 1862. Aveva la stessa età di Luigi Gonzaga, Eisabetta d'Ungheria, Teresa del Bambin Gesù, Elisabetta della Trinità, Pier Giorgio frassati: fiori raccolti dal Signore el giardino vivaio di Santa Madre Chiesa. "MUORE GIOVANE COLUI CHE AL CIELO E' CARO" cantava un poeta.
Subito dopo la morte di Gabriele dell'Addolorata, si sparse in tutto l'Abruzzo una grande, popolare devozione per questo giovane Passionista che si spense in odore di santità. Un sacerdote di Spoleto, ancora nel 1868, diffuse un libretto: 'Memorie sopra la vita e le virtù di Gabriele', che contribuì a fare conoscere la santità di questo giovane Passionista. L'iniziativa del figli di San Paolo della Croce, di aprire subito il processo di beatificazione, venne ostacolata dal clima anticlericale e reazionario del governo unitario che, notoriamente, era in mano ai massoni.
 Quante opposizioni, diffidenze,espoliazioni e sorprusi ha dovuto subire la Chiesa, specie dopo la presa di Roma, avvenuta il 20 settembre 1870. Papa Pio IX, ora beato, ha avuto un pontificato di amarezze e di dolore. Dopo circa 30 anni finalmente si aprì, nel 1891 l'auspicato processo per riconoscere la vita eroica del "Giovane Santo". Il 31 maggio 1908 il Papa Pio X lo beatificava e il 13 maggio 1920 Papa Benedetto XV lo elevava agli onori degli altari.
Nel grande Santuario di Isola del Gran Sasso, meta continua di pellegrinaggi, specialmente di associazioni giovanili, si conservano le spoglie mortali di San Gabriele dell'Addolorata, Passionista, patrono dell'Abruzzo.

PER GENTILE CONCESSIONE DI GIOVANNI MANGANO

mercoledì 22 febbraio 2012

Cattedra di San Pietro Apostolo



Signori Cardinali,venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Nella solennità della Cattedra di san Pietro Apostolo, abbiamo la gioia di radunarci intorno all’Altare del Signore insieme con i nuovi Cardinali, che ieri ho aggregato al Collegio Cardinalizio. Ad essi, innanzitutto, rivolgo il mio cordiale saluto, ringraziando il Cardinale Fernando Filoni per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti. Estendo il mio saluto agli altri Porporati e a tutti Presuli presenti, come pure alle distinte Autorità, ai Signori Ambasciatori, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli, venuti da varie parti del mondo per questa lieta circostanza, che riveste uno speciale carattere di universalità.
Nella seconda Lettura poc’anzi proclamata, l’Apostolo Pietro esorta i “presbiteri” della Chiesa ad essere pastori zelanti e premurosi del gregge di Cristo (cfr 1 Pt 5,1-2). Queste parole sono anzitutto rivolte a voi, cari e venerati Fratelli, che già avete molti meriti presso il Popolo di Dio per la vostra generosa e sapiente opera svolta nel Ministero pastorale in impegnative Diocesi, o nella direzione dei Dicasteri della Curia Romana, o nel servizio ecclesiale dello studio e dell’insegnamento. La nuova dignità che vi è stata conferita vuole manifestare l’apprezzamento per il vostro fedele lavoro nella vigna del Signore, rendere onore alle Comunità e alle Nazioni da cui provenite e di cui siete degni rappresentanti nella Chiesa, investirvi di nuove e più importanti responsabilità ecclesiali, ed infine chiedervi un supplemento di disponibilità per Cristo e per l’intera Comunità cristiana. Questa disponibilità al servizio del Vangelo è saldamente fondata sulla certezza della fede. Sappiamo infatti che Dio è fedele alle sue promesse ed attendiamo nella speranza la realizzazione di queste parole dell’apostolo Pietro: “E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1 Pt 5,4).
Il brano evangelico odierno presenta Pietro che, mosso da un’ispirazione divina, esprime la propria salda fede in Gesù, il Figlio di Dio ed il Messia promesso. In risposta a questa limpida professione di fede, fatta da Pietro anche a nome degli altri Apostoli, Cristo gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la “pietra”, la “roccia”, il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). Tale denominazione di “roccia-pietra” non fa riferimento al carattere della persona, ma va compresa solo a partire da un aspetto più profondo, dal mistero: attraverso l’incarico che Gesù gli conferisce, Simon Pietro diventerà ciò che egli non è attraverso «la carne e il sangue». L’esegeta Joachim Jeremias ha mostrato che sullo sfondo è presente il linguaggio simbolico della «roccia santa». Al riguardo può aiutarci un testo rabbinico in cui si afferma: «Il Signore disse: “Come posso creare il mondo, quando sorgeranno questi senza-Dio e mi si rivolteranno contro?”. Ma quando Dio vide che doveva nascere Abramo, disse: “Guarda, ho trovato una roccia, sulla quale posso costruire e fondare il mondo”. Perciò egli chiamò Abramo una roccia». Il profeta Isaia vi fa riferimento quando ricorda al popolo «guardate alla roccia da cui siete stati tagliati… ad Abramo vostro padre» (51,1-2). Abramo, il padre dei credenti, con la sua fede viene visto come la roccia che sostiene la creazione. Simone, che per primo ha confessato Gesù come il Cristo ed è stato il primo testimone della risurrezione, diventa ora, con la sua fede rinnovata, la roccia che si oppone alle forze distruttive del male.
Cari fratelli e sorelle! Questo episodio evangelico che abbiamo ascoltato trova una ulteriore e più eloquente spiegazione in un conosciutissimo elemento artistico che impreziosisce questa Basilica Vaticana: l’altare della Cattedra. Quando si percorre la grandiosa navata centrale e, oltrepassato il transetto, si giunge all’abside, ci si trova davanti a un enorme trono di bronzo, che sembra librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro statue di grandi Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente. E sopra il trono, circondata da un trionfo di angeli sospesi nell’aria, risplende nella finestra ovale la gloria dello Spirito Santo. Che cosa ci dice questo complesso scultoreo, dovuto al genio del Bernini? Esso rappresenta una visione dell’essenza della Chiesa e, all’interno di essa, del magistero petrino.
La finestra dell’abside apre la Chiesa verso l’esterno, verso l’intera creazione, mentre l’immagine della colomba dello Spirito Santo mostra Dio come la fonte della luce. Ma c’è anche un altro aspetto da evidenziare: la Chiesa stessa è, infatti, come una finestra, il luogo in cui Dio si fa vicino, si fa incontro al nostro mondo. La Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la “A” maiuscola - da cui proviene e a cui conduce. La Chiesa è il luogo dove Dio “arriva” a noi, e dove noi “partiamo” verso di Lui; essa ha il compito di aprire oltre se stesso quel mondo che tende a chiudersi in se stesso e portargli la luce che viene dall’alto, senza la quale diventerebbe inabitabile.
La grande cattedra di bronzo racchiude un seggio ligneo del IX secolo, che fu a lungo ritenuto la cattedra dell’apostolo Pietro e fu collocato proprio su questo altare monumentale a motivo del suo alto valore simbolico. Esso, infatti, esprime la presenza permanente dell’Apostolo nel magistero dei suoi successori. Il seggio di san Pietro, possiamo dire, è il trono della verità, che trae origine dal mandato di Cristo dopo la confessione a Cesarea di Filippo. Il seggio magisteriale rinnova in noi anche la memoria delle parole rivolte dal Signore a Pietro nel Cenacolo: “Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32).
La cattedra di Pietro evoca un altro ricordo: la celebre espressione di sant’Ignazio di Antiochia, che nella sua lettera ai Romani chiama la Chiesa di Roma “quella che presiede nella carità” (Inscr.: PG 5, 801). In effetti, il presiedere nella fede è inscindibilmente legato al presiedere nell’amore. Una fede senza amore non sarebbe più un’autentica fede cristiana. Ma le parole di sant’Ignazio hanno anche un altro risvolto, molto più concreto: il termine “carità”, infatti, veniva utilizzato dalla Chiesa delle origini per indicare anche l’Eucaristia. L’Eucaristia, infatti, è Sacramentum caritatis Christi, mediante il quale Egli continua ad attirarci tutti a sé, come fece dall’alto della croce (cfr Gv 12,32). Pertanto, “presiedere nella carità” significa attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico - l’abbraccio di Cristo -, che supera ogni barriera e ogni estraneità, e crea la comunione dalle molteplici differenze. Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo. E l’Eucaristia è forma e misura di questa comunione, e garanzia che essa si mantenga fedele al criterio della tradizione della fede.
La grande Cattedra è sostenuta dai Padri della Chiesa. I due maestri dell’Oriente, san Giovanni Crisostomo e sant’Atanasio, insieme con i latini, sant’Ambrogio e sant’Agostino, rappresentano la totalità della tradizione e, quindi, la ricchezza dell’espressione della vera fede nella santa e unica Chiesa. Questo elemento dell’altare ci dice che l’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola se l’uomo non confida più in Dio e non obbedisce a Lui. Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità. Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere. I Padri della Chiesa hanno nella comunità ecclesiale la funzione di garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Essi assicurano un’esegesi affidabile, solida, capace di formare con la Cattedra di Pietro un complesso stabile e unitario. Le Sacre Scritture, interpretate autorevolmente dal Magistero alla luce dei Padri, illuminano il cammino della Chiesa nel tempo, assicurandole un fondamento stabile in mezzo ai mutamenti storici.
Dopo aver considerato i diversi elementi dell’altare della Cattedra, rivolgiamo ad esso uno sguardo d’insieme. E vediamo che è attraversato da un duplice movimento: di ascesa e di discesa. E’ la reciprocità tra la fede e l’amore. La Cattedra è posta in grande risalto in questo luogo, poiché qui vi è la tomba dell’apostolo Pietro, ma anch’essa tende verso l’amore di Dio. In effetti, la fede è orientata all’amore. Una fede egoistica sarebbe una fede non vera. Chi crede in Gesù Cristo ed entra nel dinamismo d’amore che nell’Eucaristia trova la sorgente, scopre la vera gioia e diventa a sua volta capace di vivere secondo la logica di questo dono. La vera fede è illuminata dall’amore e conduce all’amore, verso l’alto, come l’altare della Cattedra eleva verso la finestra luminosa, la gloria dello Spirito Santo, che costituisce il vero punto focale per lo sguardo del pellegrino quando varca la soglia della Basilica Vaticana. A quella finestra il trionfo degli angeli e le grandi raggiere dorate danno il massimo risalto, con un senso di pienezza traboccante che esprime la ricchezza della comunione con Dio. Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso.
Cari fratelli e sorelle, a noi, ad ogni cristiano è affidato il dono di questo amore: un dono da donare, con la testimonianza della nostra vita. Questo è, in particolare, il vostro compito, venerati Fratelli Cardinali: testimoniare la gioia dell’amore di Cristo. Alla Vergine Maria, presente nella Comunità apostolica riunita in preghiera in attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,14), affidiamo ora il vostro nuovo servizio ecclesiale. Ella, Madre del Verbo Incarnato, protegga il cammino della Chiesa, sostenga con la sua intercessione l’opera dei Pastori ed accolga sotto il suo manto l’intero Collegio cardinalizio. Amen!

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 20 febbraio 2012

Beata Giacinta Marto

Giacinta nasce l'11 marzo 1910 ad Aljustrel, nelle vicinaze di Fatima, in Portogallo. E' una bambina vivace, ma con un'anima estremamente sensibile: all'età di cinque anni, all'udire dei patimenti del Divin Redentore -dice Lucia - si commuove fino alle lacrime. E' mansueta, sin dalla tenera età, è molto legata da grande affetto alla cugina Lucia. Ama la natura nelle sue varie manifestazioni, le stelle che lei chiama 'le lampade degli Angeli', la luna 'lampada di Nostra Signora'. Nella primavera del 1916, pascolando il gregge con Lucia e  il fratellino Francesco ha i primi contatti col soprannaturale: la visione di un Angelo. Il 13 maggio del 1917 dopo essere stati a Messa, i tre pastorelli si avviano al pascolo in un luogo chiamato Cova di Iria, e, mentre giocano vedono un lampo, spaventati decidono di tornare a casa, prevedendo un temporale, invece, sulla chioma d'un piccolo elce vedono 'Una Signora vestita di bianco, più splendente del sole' (così la descrive Lucia). E' la Santa Vergine. Le apparizioni della Vergine trasformano i tre pastorelli, che ormai non sono più 'ragazzetti vivaci e spensierati' (Giovanni De Marchi - Era una signora più splendente del sole - Ed Missioni Consolata) ma 'fissi e quasi immersi nel soprannaturale'. Costante preoccupazione di Giacinta (come anche di Francesco e Lucia) è pregare e fare sacrifici per la conversione dei peccatori così come la Madonna ha loro chiesto. Così patisce, volontariamente la fame, la sete, si stringe una corda attorno alla vita per soffrire anche nella tenera carne. Il 13 ottobre, ultima apparizione, la Vergine si presenta come la Madonna del Rosario e raccomanda di recitare sempre questa preghiera. Dopo quest'ultima apparizione il Cielo non si chiude definitivamente per i tre pastorelli. Essi continuano a godere dei benefici di apparizioni 'private' soprattutto Francesco e Giacinta nel loro letto di dolore. Diciotto mesi dall'ultima apparizione, infatti si ammalano della terribile influenza chiamata spagnola. Da quel momento sia Giacinta che Francesco capiscono che la malattia li condurrà al Cielo e tranquillamente attendono l'incontro col Signore. Giacinta soffre molto a cusa della malattia e viene ricoverata in ospedale a Vila Nova de Ourém. Giacinta sa che in ospedale la cura non le restituirà la salute, ma servirà solo ad aumentarne la sofferenza. Il suo corpicino è debole, macilento, ed è prostrato dalla tubercolosi, ma il suo cuore è sempre fisso nel Cuore Immacolato di Maria, e si immola per la salvezza dei peccatori. Alla fine del 1919 la Madonna le dice che presto verrà a prenderla per portarla in Cielo. Il 2 febbraio 1920 viene nuovamente ricoverata per una pleurite purulenta con fistola. Viene operata ma, date le sue pessime condizioni fisiche, le viene fatta solamente un'anestesia locale. Giacinta soffre atroci dolori, ma tutto sopporta senza lamentarsi. Quattro giorni prima della morte la Madonna le appare e le dice che presto verrà prenderla e le toglie ogni dolore fisico. Il pomeriggio del 20 febbraio 1920 chiede di ricevere i Santi Sacramenti. Alle 22.30 si spegne serenamente. 'Quel piccolo corpo, che tre anni di mortificazioni ed un anno e mezzo di martirio avevano santificato, fu ricoperto con un vestitino bianco, stretto ai fianchi da una fascia azzurra: i colori della Vergine' (Op. già citata). Viene tumulata nel cimitero di Vila Nova. Il 12 settembre 1935 il vescovo di Leiria decide di trasportare i resti mortali della piccola Giacinta a Fatima. Venne aperta la cassa ed il volto della piccola pastorella apparve incorrotto! Il 13 maggio 2000 il Papa Giovanni Paolo II dichiara Giacinta ed il fratellino Francesco beati. Leggete qui l'omelia del Santo Padre . 

venerdì 17 febbraio 2012

Santi sette fondatori

Intorno al 1245 sul Monte Senario, nelle vicinanze di Firenze, si ritirarono per dedicarsi alla vita contemplativa, abbandonando ogni loro bene ed attività, sette affermati commercianti di lane: Alessio, Bonfilio, Benedetto, Gerardino, Bartolomeo, Ricovero e Giovanni.Sulle orme della Beata Vergine Maria, vissero in preghiera ed austerità, accogliendo tutti coloro che chiedevano aiuto, consiglio e conforto. La loro fama di santità si diffuse in fretta e molti chiedevano di essere ammessi a condividerne la scelta. Decisero così di dare vita ad un ordine dedicato appunto alla Vergine Maria: 
        l'ORDO SERVORUM MARIAE. Vennero canonizzati insieme, così come insieme avevano vissuto, da Papa Leone XIII nel 1888. Le spoglie mortali riposano tutte a Monte Senario.

giovedì 16 febbraio 2012

Beato Giuseppe Allamano

Giuseppe nasce a Castelnuovo d'Asti il 21 gennaio 1851. Rimasto  orfano in tenera età si occuperà di lui suo zio San Giuseppe Cafasso. Si forma alla scuola di San Giovanni Bosco a Valdocco. Viene ordinato sacerdote a Torino a 22 anni, a 25 anni diventa direttore spirituale del Seminario cittadino e qualche anno dopo viene nominato Rettore del Santuario più caro ai Torinesi quello della Consolata. Don Giuseppe è un eccezionale formatore di caratteri, maestro di dottrina e di vita. Nel 1901 fonda i Missionari della Consolata e nel 1909 le Missionarie della Consolata. Giuseppe è un sacerdote dal grande cuore missionario, è sereno, allegro, ha doti di sensibilità e grande intuizione. Spende la sua vita per diffondere il Vangelo. Scrissero di lui:'Il suo fisico pare scavato nella roccia, come una statua antica senza ricercatezze di rifiniture e di particolari. Così a prima vista l'Allamano pareva severo, ma la dolcezza del suo sguardo temperava subito ogni asprezza, metteva e esprimeva un'intimità serena e commossa, un fervore spirituale altissimo. E poi quel suo sorriso largo, aperto, gioioso veniva subito a metterti confidenza, a farti rompere ogni indugio, a sentirti presso un padre pronto a comprenderti e felice di poterti aiutare' (Tratto da Rivista del Santuario della Consolata 1936).

Giuseppe Allamano era innamorato di Maria a tal proposito ebbe a dire: " Che volete! La Consolata è una devozione che va al cuore. Se avessi da fare la storia della consolazioni ricevute dalla Madonna in questi quarant'anni che sono al Santuario, direi che sono quarant'anni di consolazione. Non è che non abbia dovuto soffrire; lo sa Iddio quanto! Ma lì, ai piedi della Consolata, si è sempre aggiustato tutto".

Era uomo di grande umiltà: "Il Signore avrebbe potuto scegliere una persona più santa e più intelligente di me per fondare l'Istituto della Consolata, ma una persona che vi voglia bene più di me, non lo credo".

Raccomadava ai suoi missionari di essere sempre allegri:"Nostro Signore ama e predilige gli allegri; bisogna che gli altri dicano di noi:"Quei missionari lì hanno abbandonato casa, parenti e tutti, eppure sono sempre allegri lo stesso". Se si vuole far profitto nella perfezione, bisogna essere sempre allegri: servite il Signore nella gioia".

Queste parole, dette ai suoi missionari, risuonano come un testamento spirituale ed un insegnamento sempre attuale anche per noi:

"Ecco, o miei cari, la santità che io vorrei da voi: non miracoli ma far tutto bene. Farci santi nella via ordinaria. Il Signore, che ha ispirato questa fondazione, ne ha anche ispirate le pratiche, i mezzi per acquistare la perfezione e farci santi. Se Egli ci vorrà sollevare ad altre altezze, ci penserà Lui, noi non infastidiamoci. Certa gente cerca sempre le cose grandi, straordinarie. Non è cercare Dio, perché Egli è tanto nelle cose grandi come nelle cose piccole; perciò bisogna star attenti a far tutto bene. I Santi sono santi non perché abbiano fatto dei miracoli, ma perché bene omnia fecerunt".
'Il bene fa poco rumore: il molto rumore fa poco bene. Il bene va fatto bene e senza rumore.'


Muore a Torino il 16 febbraio 1926. Papa Giovanni Paolo II lo proclamerà beato nel 1990.

Elevatevi sopra le idee ristrette che predominano nell'ambiente.
• Amate una religione che offre le promesse dell'altra vita e vi rende più felici sulla terra.
• Scegliete la mansuetudine come strada di trasformazione.
• Puntate alla trasformazione dell'ambiente, non solo delle persone.
• Siate forti, virili, energici.
• Fate bene il bene e senza rumore.
• Cercate Dio solo e la sua santa volontà.
Siate conche e non canali riguardo ai doni spirituali, canali riguardo ai beni materiali. • Date il primato alla santità.
• Non dite mai: “non tocca a me”
 

mercoledì 15 febbraio 2012

Doctor Angelicus


Tommaso d'Aquino fu uno spirito illuminato, grande teologo e filosofo della Scolastica. Nessuno, fino ad oggi, lo ha mai superato. E' il teologo di riferimento della Santa Chiesa. La dottrina di san Tommaso svolge un'originalissima e coerente speculazione filosofica al servizio della fede (Mons. A. Livi). La sua grandezza consiste nell'aver stabilito, in modo definitivo, il metodo specifico della teologia come scienza. 'Egli ha chiarito che la teologia consiste nell'impegno e nell'attività attraverso cui l'uomo cerca di capire tutto ciò che è possibile capire dei misteri soprannaturali rivelati da Dio e accolti dalla Chiesa con la fede' (Il Timone nr 110 pag. 36). San Tommaso ha basato la sua imponente ricerca sia sulla fede soprannaturale sia sul corretto uso della ragione naturale. La fede cristiana, in base a questo pensiero, ha dei presupposti accessibili alla ragione. La dottrina di san Tommaso è utile sia per i credenti che per i non credenti. Per i primi egli ha scritto la sua opera monumentale 'Summa theologiae', per i secondi 'Libro sulla verità della fede cattolica' conosciuta come 'Summa contra Gentiles'. Padre Giovanni Cavalcoli scrive che gli insegnamenti di san Tommaso formano le basi e i punti di partenza di ogni studio serio e qualificato nell'ambito della filosofia e della teologia; che egli non è stato superato da alcuno, è di insostituibile attualità e, soprattutto nelle questioni che toccano il problema della verità, della conoscenza, della natura umana, della coscienza, della libertà, del dialogo interreligioso, della giustizia, della pace, dell'esistenza di Dio e del suo rapporto con gli uomini, della morale, del libero arbitrio, del rapporto tra ragione e fede, tra scienza e religione, si possono ravvisare gli argomenti punto di partenza, di dialogo e di conciliazione con la modernità. ( Op. cit. pag 38-39). San Tommaso grande santo, amante del bene e dell'uomo, di grande e profonda cultura, libera la dottrina di Aristotele dalle erronee interpretazioni e pone la verità contenuta nel suo pensiero a servizio della rivelazione. Non c'è argomento che egli non abbia esplorato e studiato. Materia e spirito, natura e soprannatura, ragione e fede, libertà e grazia tutto trova perfetta armonia nella visione del suo pensiero.    

martedì 14 febbraio 2012

SS. Cirillo e Metodio, patroni d'Europa

Cirillo e Metodio fratelli nella carne e nella fede. Nascono, da nobile famiglia, all'inizio del IX secolo in Grecia, a Salonicco. Cirillo è dotato di grandi capacità intellettive: studia a Costantinopoli, l'astronomia, la musica, la geometria, la retorica e parla correttamente oltre al greco, anche l'arabo, il latino e l'ebraico. Mandato in missione insieme a Metodio, in Moravia (nell'attuale Repubblica Ceca), traducono brani del Vangelo con un nuovo alfabeto, detto appunto 'cirillico'. Cirillo muore a Roma il 14 febbraio 869. Metodio viene consacrato vescovo e mandato nella sede di Sirmiun (odierna Sremska Mitrovica). Muore il 6 aprile 885. In Moravia i due fratelli furono perseguitati e la loro memoria ed il loro ricordo venne cancellato. Ma in terra bulgara la loro opera trovò accoglimento ed espansione, grazie al sovrano san Boris Michele I. Infatti l'attività dei discepoli dei due santi diede l'impulso alla nascita della letteratura e della cultura bulgara ed in seguito dei nuovi grandi stati russi. Il Papa Giovanni Paolo II li proclama compatroni d'Europa, insieme a san Benedetto, il 30 dicembre 1980 con la lettera apostolica 'Egregiae virtutis'.

Ecco le motivazioni del Santo Padre:

L'Europa, infatti, nel suo insieme geografico è per così dire frutto dell'azione di due correnti di tradizioni cristiane, alle quali si aggiungono anche due diverse, ma al tempo stesso profondamente complementari, forme di cultura. San Benedetto, il quale con il suo influsso ha abbracciato non solo l'Europa, prima di tutto occidentale e centrale, ma mediante i centri benedettini è arrivato anche negli altri continenti, si trova al centro stesso di quella corrente che parte da Roma, dalla sede dei successori di san Pietro. I santi fratelli da Tessalonica mettono in risalto prima il contributo dell'antica cultura greca e, in seguito, la portata dell'irradiazione della Chiesa di Costantinopoli e della tradizione orientale, la quale si è così profondamente iscritta nella spiritualità e nella cultura di tanti popoli e nazioni nella parte orientale del continente europeo.
Poiché oggi, dopo secoli di divisione della Chiesa tra oriente e occidente, tra Roma e Costantinopoli a partire dal Concilio Vaticano II sono stati intrapresi passi decisivi nella direzione della piena comunione, pare che la proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatroni d'Europa, accanto a san Benedetto, corrisponda pienamente ai segni del nostro tempo. Specialmente se ciò avviene nell'anno nel quale le due Chiese, cattolica ed ortodossa, sono entrate nella tappa di un decisivo dialogo, che si è iniziato nell'isola di Patmos, legata alla tradizione di san Giovanni apostolo ed evangelista. Pertanto questo atto intende anche rendere memorabile tale data.

Questa proclamazione vuole in pari tempo essere una testimonianza, per gli uomini del nostro tempo, della preminenza dell'annuncio del Vangelo, affidato da Gesù Cristo alle Chiese, per il quale hanno faticato i due fratelli apostoli degli slavi. Tale annuncio è stato via e strumento di reciproca conoscenza e di unione fra i diversi popoli dell'Europa nascente, ed ha assicurato all'Europa di oggi un comune patrimonio spirituale e culturale.

Testo tratto da www.vatican.va  
 QUI il testo completo della lettera  


sabato 11 febbraio 2012

Beata Maria Vergine di Lourdes


11 febbraio 1858, Maria appare ad un'umile fanciulla di nome Bernardette Soubirous, presso Lourdes, in Francia, dentro una grotta detta di 'Massabielle'. La Vergine si presenta come l'Immacolata e dona al mondo intero, attraverso questa ragazza di appena 14 anni, un messaggio di speranza e di redenzione che passa attraverso la preghiera e la penitenza.

Ecco cosa scrive, a tal proposito, Santa Bernardette:

"Un giorno, recatami sulla riva del fiume Gave per raccogliere legna insieme con due fanciulle, sentii un rumore. Mi volsi verso il prato ma vidi che gli alberi non si muovevano affatto, per cui levai la testa e guardai la grotta. Vidi una Signora rivestita di vesti candide. Indossava un abito bianco, ed era cinta da una fascia azzurra. Su ognuno dei piedi aveva una rosa d'oro, che era dello stesso colore della corona del rosario. A quella vista mi stropicciai gli occhi, credendo a un abbaglio. Misi le mani in grembo, dove trovai la mia corona del rosario. Volli anche farmi il segno della croce sulla fronte , ma non riuscii ad alzare la mano, che mi cadde. Avendo quella Signora fatto il segno della croce, anch'io, pur con mano tremante, mi sforzai e finalmente vi riuscii. Cominciai al tempo stesso a recitare il rosario, mentre anche la stessa Signora faceva scorrere i grani del suo rosario, senza tuttavia muovere le labbra. Terminato il rosario, la visione subito scomparve. (....)
Vi ritornai pertanto la domenica, sentendo di esservi interiormente chiamata. (....)
Per quindici giorni però ritornai colà e la Signora mi apparve tutti i giorni tranne un lunedi e un venerdi, dicendomi di nuovo di avvertire i sacerdoti che facessero costruire là una cappella, di andare a lavarmi alla fontana e di pregare per la conversione dei peccatori. Le domandai più volte chi fosse, ma sorrideva dolcemente. Alla fine, tenendo le braccia levate ed alzando gli occhi al cielo, mi disse di essere l'Immacolata Concezione".

TRATTO DA 'LETTERA' DI SANTA BERNARDETTE a P. Gondrand, anno 1861

venerdì 10 febbraio 2012

Santa Scolastica

Scolastica è la sorella gemella di San Benedetto, nasce a Norcia verso il 480 d.C. Consacra la sua verginità al Signore sin da bambina e appena può segue le orme di suo fratello, vivendo a Cassino, con un gruppo di donne la consacrazione totale a Dio nella vita monastica, fatta di preghiera e di lavoro. E' sepolta, accanto al fratello a Montecassino. Di lei sappiamo ben poco. Ne parla il Papa San Gregorio Magno ne i 'Dialoghi'. Ecco cosa scrive: 'Scolastica, sorella di San Benedetto, consacratasi a Dio fin dall'infanzia, era solita recarsi dal fratello una volta all'anno. L'uomo di Dio andava incontro a lei, non molto fuori della porta, in un possedimento del monastero.   Un giorno vi si recò secondo il solito, e il venerabile suo fratello le scese incontro con alcuni suoi discepoli. Trascorsero tutto il giorno nelle lodi di Dio e in santa conversazione. Si trattennero ancora a tavola e, col protrarsi dei santi colloqui, si era giunti a un'ora piuttosto avanzata. La pia sorella perciò lo supplico, dicendo: "Ti prego non mi lasciare per questa notte, ma parliamo fino al mattino delle gioie della vita celeste". Egli le rispose: "Che cosa dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero".
Scolastica udito il diniego del fratello, poggiò le mani con le dita intrecciate sulla tavola e piegò la testa sulle mani per pregare il Signore Onnipotente. Quando levò il capo dalla mensa, scoppiò un tale uragano con lampi e tuoni e rovescio di pioggia, che nè il venerabile Benedetto, nè i monaci che l'accompagnavano, poterono metter piede fuori dalla soglia dell'abitazione, dove stavano seduti.
Allora l'uomo di Dio molto rammaricato cominciò a lamentarsi e a dire: "Dio Onnipotente ti perdoni, sorella, che cosa hai fatto?". Ma ella gli rispose: "Ecco, ho pregato te, e tu non hai voluto ascoltarmi; ho pregato il mio Dio e mi ha esaudita. Ora esci pure, se puoi; lasciami e torna al monastero".
Ed egli che non voleva restare lì spontaneamente, fu costretto a rimanervi per forza. Così trascorsero tutta la notte vegliando e si saziarono di sacri colloqui raccontandosi l'un l'altro della vita spirituale.
Non fa meraviglia che Scolastica abbia avuto più potere del fratello. Siccome, secondo la parola di Giovanni, 'Dio è amore', fu molto giusto che potesse di più colei che più amò. Ed ecco che tre giorni dopo, mentre l'uomo di Dio stava nella cella e guardava al cielo, vide l'anima di sua sorella, uscita dal corpo, penetrare nella sublimità dei cieli sotto forma di colomba. Allora, pieno di gioia per una così grande gloria toccatale, ringraziò Dio con inni e lodi, e mandò i suoi monaci perchè portassero il corpo di lei al monastero e lo deponessero nel sepolcro che aveva preparato per sè'.

Da non perdere questo bel profilo di Santa Scolastica pubblicato

giovedì 9 febbraio 2012

Beata Anna Katharina Emmerich

La mattina dell'8 settembre 1774 furono viste a Flamske (Germania nord-occidentale- Westfalia)colombe bianche in volo. Proprio quella mattina, ricorrenza della nascita della Vergine Maria, nasce Anna Katharina. I suoi genitori sono poveri contadini ma vivono una vita ispirata ai più profondi principi cristiani. Anna Katharina è un'anima privilegiata, fin da bambina il Signore si manifesta a lei, con estasi e visioni di angeli, di santi e della vita di Gesù e Maria. Il 18 settembre 1802 entra in noviziato nel monastero westfalico di Duelmen di regola agostiniana. Nel 1811 il convento fu soppresso dalle scellerate leggi napoleoniche e Anna Katharina trova ospitalità presso la casa di un sacerdote. Qui nel 1812 riceve il dono prezioso delle stimmate che porta per il resto della sua vita. Il 28 febbraio 1813 non riesce più ad alzarsi dal letto, vi rimane fino alla morte, vivendo le sofferenze della Passione di Gesù. Muore il 9 febbraio 1824. Le sue memorie e la sua vita sono state raccolte dal poeta tedesco Clemens Brentano che si convertì standole accanto. Il 3 ottobre 2004 il Papa Giovanni Paolo II la dichiara beata.  


BIBLIOGRAFIA:
E. Pilla 'Le rivelazioni di Caterina Emmerick' (Ed. Cantagalli)
Anna Katharina Emmerick 'Vita della Santa Vergine Maria' (testo raccolto da Clemens Brentano) Ed. San Paolo
Anna Katharina Emmerich 'Visioni' (Ed. Cantagalli)

Il nome della beata tramandatoci da C. Brentano è Emmerich, ma all'anagrafe, in seguito ad un errore, venne trascritto come Emmerick.
Clemens Brentano conobbe Anna Katharina nel 1818. Rimase con lei per sei anni, per mettere per iscritto tutte le visioni che la suora gli comunicava. Per giorni e notti il poeta apprese e trascrisse tutto ciò che ella, in estasi, vedeva: la vita dell'aldilà, la Passione di Cristo, la vita di Maria, gli Angeli, i Santi, le anime del purgatorio, l'universo visibile ed invisibile.
Il poeta così descrive l'incontro con Anna Katharina: Lei mi conosceva da tempo, molto prima che io  giungessi. Nelle immaginazioni della sua vita, lei vide più volte un uomo sconosciuto dal volto scuro, come un ebreo, e quest'uomo avrebbe scritto su di lei. Infatti quando entrai nella sua camera esclamò "Ah! Eccolo!". In sei minuti la veggente acquistò fiducia in me, " come io da sempre l'avevo conosciuta".
( Tratto da 'Visioni' Anna Katharina Emmreich - Ed. Cantagalli pag 16).
Appena finito il suo compito Clemens Brentano morì, nel 1842. Era nato l'8 settembre 1778. 

mercoledì 8 febbraio 2012

Santa Giuseppina Bakhita

'LA MADRE MORETA'
Concluse la sua vita terrena a Schio, l'8 febbraio del 1947, nella casa della sua Comunità, all'età di 78 anni, cinquanta dei quali trascorsi come umile Figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio,  prestandosi alle varie occupazioni cui era chiamata di volta in volta: ora cuciniera, ora sagrestana, ora aiuto infermiera (durante la prima guerra mondiale), ora guardarobiera, ora ricamatrice, ora (dal 1922) portinaia. Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani dolci e carezzevoli si posavano sulle teste dei bambini che frequentavano le scuole dell'Istituto, ed a loro, la sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie della sua terra, giungeva gradita, come pure confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto. Veniva infatti dalle lontane terre di Oglassa, piccolo villaggio del Darfur nel Sudan Occidentale, ove era nata nel 1869. Nipote del capotribù, aveva tre fratelli, una sorella gemella ed una già sposata. Un giorno la sorella maggiore fu rapita da razziatori arabi, venditori di schiavi, a anche lei, intorno ai sei anni, subì la stessa sorte. Fu rinchiusa in un porcile, ove rimase per giorni e giorni, dimenticando alla fine le sue origini, assumendo il nome impostole dai suoi aguzzini, di Bakhita che significa 'felice' fortunata.
Fu venduta più volte al mercato degli schiavi di El Obeid e di Khartoum. Venne ceduta ad un generale turco, nella cui famiglia subì umiliazioni, sofferenze fisiche e morali; venne financo tatuata, in modo cruento, sul ventre, sul braccio destro e sul petto, disegnandole oltre cento segni, incisi poi con un rasoio e ricoperti di sale, al fine di ottenere cicatrici permanenti: si riprese dopo due mesi.
Dopo un anno dal generale turco, deciso a tornare in Turchia, venne venduta al Console italiano di Khartoum, Callisto Legnani. Nella sua casa fu accolta, per la prima volta, umanamente e potè indossare una tunica (il console già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie; per Bakhita ciò non fu possibile per il vuoto di memoria della bimba sulla sua provenienza).
I modi affettuosi e paterni del console suscitarono in lei domande che non si era mai posta, come: " Chi è che accende in cielo tutti quei puntini luminosi?"
Presso di loro trascorse serenamente due anni,lavorando con gli altri domestici senza essere più considerata una schiava. Quando nel 1884, per la rivolta mahadista, il console dovette fuggire da Kahrtoum, Bakhita lo supplicò di non abbandonarla. Assieme al console ed un suo amico, Augusto Michieli, raggiunse il porto di Suakin sul Mar Rosso, da dove, dopo un mese, partirono per Genova.
All'arrivo in italia, per le insistenze della moglie del Michieli, il console acconsente a che Bakhita vada nella casa dei suoi amici a Zianigo (Fraz. di Mirano Veneto). Qui, la nostra futura santa, rimane tre anni, divenendo la bambinaia di Mimmina, la figlia dei Michieli che nel frattempo era nata. La piccola le si affeziona e la chiama la sua 'mammina negra. Viene poi data in affidamento temporaneo, per dieci mesi, assieme a Mimmina, all'Istituto dei Catecumeni in Venezia, gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane), perchè i coniugi Michieli rientravano in Africa, per gestire un loro albergo a Suakin. Ospitata gratuitamente come catecumena, Bakhita comincia così a ricevere un'istruzione religiosa cattolica, ed è qui che matura il convincimento di donarsi completamente a Dio, che lei chiamava, con un'espressione dolce, 'el me Paron' (il mio Padrone).
Quando la signora Michieli ritorna dall'Africa per riprendersi sia la figlia che Bakhita, la nostra piccola santa oppone un netto rifiuto, manifestando la ferma decisione di rimanere presso le suore Canossiane. Pur contrastando tenacemente tale proposito, alla fine la signora Michieli deve arrendersi ai disegni della Divina Provvidenza che aveva deciso altrimenti.
Il 29 novembre 1889 Bakhita viene dichiarata legalmente libera e rimane nel convento delle Canossiane. Da questa data è un continuo susseguirsi di tappe di avvicinamento a Nostro Signore. Il 9 gennaio 1890 riceve i sacramenti dell'iniziazione cristiana con i nomi di Giuseppina Margherita Fortunata. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia ed in seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: "Qui sono diventata figlia di Dio".
Il 7 dicembre 1893 entra nel noviziato.
L'8 dicembre 1896 pronuncia i suoi primi voti religiosi. Nel 1902 viene traferita in un convento dell'Ordine, a Schio (Venezia) ove trascorrerà il resto della sua vita.
La sua umiltà. la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini di Schio che la ribattezzarono "Madre Moreta".
Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà ed il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore. Diceva: "Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!"
Il suo carisma e la sua fama di santità vennero notati dai suoi superiori, che più volte le chiesero di dettare le sue memorie. Un primo racconto venne dettato a Suor Teresa Fabris nel 1910, che produsse un manoscritto di 31 pagine. Un secondo racconto fu dettato a Suor Mariannina Turco, ma è andato perduto. Su richiesta della Superiora generale dell'Ordine, venne intervistata a Venezia, nel novembre del 1930, da Ida Zanolini, laica canossiana, la quale, nel 1931 pubblicò il libro "Storia Meravigliosa" che venne ristampato 4 volte nel giro di sei anni. Bakhita divenne così famosa in tutta Italia e iniziò a girare tutta la Penisola per tenere conferenze di propaganda missionaria. Era molto timida e si esprimeva solo in lingua veneta. Nel dicembre 1936, con un gruppo di Missionarie, venne ricevuta da Mussolini, a Roma. Dal 1939 cominciò ad avere problemi di salute e non si allontanò più da Schio.
Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma Madre Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: "Come vol el Paron". Per i suoi carnefici diceva: "Poveretti, non sapevano di farmi tanto male". Per i suoi rapitori ebbe a dire: "Mi inginocchierei davanti a loro perchè senza di essi non sarei cristiana, nè suora". Nell'agonia rivisse i giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: "Mi allarghi le catene.....pesano!". Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: "La Madonna! La Madonna!".
Negli ultimi momenti le fu accanto don Giovanni Munari (sacerdote, a lei legato da profonda riconoscenza, perchè da seminarista, ammalato e ricoverato in sanatorio, a Bassano, per le preghiere ed offerte della santa, ottenne la guarigione), pronunciando su di lei le preghiere dell'ultima ora: "Proficiscere, anima christiana.....parti anima cristiana e và incontro al tuo Dio..."
"Sì, sì - rispose Madre Moreta - è ora che vada al mè Paron". E si spense.
La salma della santa riposa nel Tempio della Sacra Famiglia del Convento delle Canossiane di Schio dal 1969.
Il processo per la causa di canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte, ed il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull'eroicità delle sue virtù. Viene beatificata da Giovanni Paolo II il 17 maggio 1992 e canonizzata dallo stesso Papa il 1 ottobre 2000. Papa Benedetto XVI l'ha definita nell'enciclica Spe Salvi, testimone di speranza, luminoso esempio di generosità nel perdono e di grande fiducia in Dio. Di fronte al mondo di oggi, mai soddisfatto, sempre alla ricerca del potere, del possesso, dei piaceri, l'esempio di Bakhita mette in guardia da ciò che ci allontana da Dio e ci rende schiavi del nostro io e delle nostre passioni. Santa Guseppina Bakhita è la santa protettrice degli schiavi.
Questo profilo l'ho trascritto per gentile concessione di Giovanni Mangano (MIO GRANDE E PATERNO AMICO)

Dal libro BAKHITA - IL CUORE CI MARTELLAVA NEL PETTO - SAN PAOLO ED.

Quando ero schiava

"Alla mattina guardavo il sole che nasceva e alla sera quando tramontava. Allora pensavo che se era bello, ancor più bello doveva essere colui che l'aveva fatto.
Chi sarà mai il padrone di queste belle cose? e provavo una grande voglia di vederlo, di conoscerlo, di prestargli omaggio. Io non conoscevo Dio, facevo così, perchè sentivo dentro di me che dovevo comportarmi in quel modo. Da schiava non mi sono mai disperata perchè sentivo dentro di me una forza misteriosa che mi sosteneva. io sono stata in mezzo al fango, ma non mi sono imbrattata. Per grazia di Dio sono sempre stata preservata. La Madonna mi ha protetta nonostante io non la conoscessi".  (pag 70)

sabato 4 febbraio 2012

Il silenzio di Giuseppe



Giuseppe è il personaggio più silenzio di tutta la Sacra Scrittura. Il più silenzioso ed il più laborioso. Quante cose, nella sua bottega di falegname, avrà insegnato al suo Gesù. Anche lui, come Maria, ha ricevuto dal Signore il dono di un Figlio Divino, da custodire, da crescere e da donare. Durante la presentazione al Tempio, Giuseppe è lì, è presente, è lui il capofamiglia, è lui che consegna le tortore per il sacrificio di purificazione, di ringraziamento e di donazione. Nel silenzio, anche lui, come la sua sposa, avrà meditato ogni parola del vecchio Simeone......

venerdì 3 febbraio 2012

Il dono di Maria

La presentazione di Gesù al tempio ha come protagonista la Vergine Maria. Il suo gesto ha una valenza universale: ella dona al mondo il suo Gesù. Lo dona al mondo attraverso le braccia del vecchio Simeone. Lei, la madre per eccellenza, dona il suo unico Figlio con la generosità che attinge dal cuore di Dio! Maria sa che il bambino non appartiene solo a lei, sa che è suo compito donarlo all'umanità della quale è diventata madre.

giovedì 2 febbraio 2012

Presentazione di Gesù al Tempio

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore- come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore- e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d' Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: "Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perchè i miei occhi han visto la salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo Israele". Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse:  " Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l'anima - affinchè siano svelati i pensieri di molti cuori". (Lc 2, 22-35).

Nella presentazione di Gesù al tempio possiamo contemplare la nascita, la rivelazione, la morte e risurrezione di Gesù Cristo. Sono le parole stesse del vecchio Simeone a rendere concreto e tangibile il glorioso mistero di Dio venuto ad abitare in mezzo a noi. Dio si incarna nel seno purissimo di Maria, si mostra piccolo ed indifeso in una culla, viene adorato Signore dai Magi, si sottopone alla legge di Mosè per farsi mite ed ubbidiente, infine si mostra in tutta lo splendore della sua divinità sul Golgota. Egli ama stare tra le sue creature, ama offrirsi a noi in ogni circostanza. Tutta la vita di Gesù è stata un'offerta: dall'incarnazione alla risurrezione.
Gesù è presente in mezzo a noi. Lo incontriamo ogni giorno, nei sacramenti, nella preghiera, nel nostro prossimo. Soprattutto lo incontriamo nel sacrificio della Santa Messa nella totalità della sua vita!
Nella Santa Messa Gesù è vivo e presente in mezzo a noi, si incarna, soffre e risorge ogni volta per noi. Qui lo possiamo adorare bambino e cullare fra le nostre braccia; lo possiamo ammirare mentre, nella potenza del sua divinità, opera miracoli; lo possiamo seguire sulla via della croce e asciugargli il sangue ed il sudore dalla fronte; lo possiamo piangere e cullare nel sonno della morte tra le nostre braccia; lo possiamo ammirare nella splendida luce della sua abbagliante risurrezione.
La Santa Messa è il luogo vivo e vivificante dove Dio parla e si mostra a noi, e ci dona se stesso nel pane e nel vino che il sacerdote consacra per noi.
Il tempio dove Gesù ci vuole incontrare è il suo stesso corpo fatto carne per noi!     

mercoledì 1 febbraio 2012

Mamma Margherita

Le grandi parole
Il giorno 30 ottobre è l'ultimo che Giovanni Bosco passa fuori dal Seminario. Nelle sue 'Memorie', don Bosco ricorda così quel giorno: Il giorno 30 ottobre di quell'anno 1835 dovevo trovarmi in Seminario. Il piccolo corredo era preparato. I miei parenti erano tutti contenti: io più di loro. Mia madre soltanto stava in pensiero e mi teneva tuttora lo sguardo addosso, come volesse dirmi qualche cosa. La sera precedente alla partenza ella mi chiamò a sè e mi fece questo memorando discorso:  "Giovanni, tu hai vestito l'abito del sacerdote. Io ne provo tutta la consolazione che una madre può provare per la fortuna di un figlio. Ma ricordati che non è l'abito che onora il tuo stato, è la pratica della virtù. Se mai tu avessi a dubitare di tua vocazione, ah per carità! non disonorare questo abito. Posalo subito. Preferisco avere un povero contadino che un figlio prete trascurato nei suoi doveri. Quando sei venuto al mondo, ti ho consacrato alla Beata Vergine. Quando hai cominciato i tuoi studi ti ho raccomandato la devozione a questa nostra madre. Ora ti raccomando di esserle tutto suo. Ama i compagni devoti di Maria. E se diventi sacerdote, raccomanda e propaga sempre la devozione di Maria".
Nel terminare queste parole, mia madre era commossa; io piangevo. "Madre -le risposi-, vi ringrazio di tutto quello che avete detto e fatto per me. Queste parole non saranno dette invano e ne farò tesoro in tutta la mia vita" ( dalle 'Memorie' di don Bosco).

In queste parole c'è la fede grande di una mamma contadina. Davanti a suo figlio che entra in Seminario, come un contadino davanti al campo pieno di grano maturo, ha già dimenticato il lavoro, le difficoltà, le sofferenze che l'hanno accompagnata fin lì. Davanti al figlio che sta raggiungendo la prima meta sognata a nove anni, sente solo la 'consolazione', vede solo la 'fortuna' del figlio. Questa fede è stata sorretta dalla fiducia totale in Maria Santissima, alla quale ha consacrato Giovanni neonato, ha affidato Giovanni che muoveva i primi passi verso la scuola. Ma la sua fede è concreta, disincantata. Nel breve orizzonte della sua vita ha visto anche preti che hanno 'disonorato' il loro abito, la loro missione. E mette in guardia suo figlio con parole dure: piuttosto che cattivo prete, meglio non-prete. 

TESTO TRATTO DAL LIBRO 'VITA DI MAMMA MARGHERITA' DI don Teresio Bosco Editrice Elledici