MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

lunedì 12 marzo 2012

San Luigi Orione, sacerdote

Luigi nasce il 12 marzo 1872 a Pontecurone in provincia di Alessandria, un paesino di campagna, dove Luigi lavora aiutando il papà sino all'età di 13 anni, quando decide di entrare a Voghera (PV) tra i Frati Minori. Una polmonite però lo costringe a rientrare in famiglia, fino a quando nel 1886 conosce don Bosco ed entra nel suo Oratorio. Nel 1889 entra in Seminario a Tortona (AL). Qui, da chierico, apre il suo primo oratorio. Il 13 aprile 1895 viene ordinato sacerdote. Don Orione è il fondatore di diverse congregazioni religiose: i Figli della Divina Provvidenza, le Piccole missionarie della carità, gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine due ordini contemplativi che ammettono anche persone non vedenti. Don Luigi Orione è un santo straordinario per doti umane e spirituali. La sua vita è un canto d'amore a Maria e un esempio di abbandono e di fiducia alla Divina Provvidenza. Sostiene grandi opere di carità a favore degli ultimi, dei poveri, dei miseri, dei fanciulli orfani o abbandonati. Viaggia moltissimo, per sostenere le sue Opere e i suoi Figli, organizza scuole, colonie agricole, orfanotrofi, case di carità. Ovunque porta il suo sorriso, la sua bontà. Conduce vita molto austera, nonostante sia cagionevole di salute, che peggiorando lo costringe a fermarsi durante gli ultimi tre anni della sua vita, che trascorre a Tortona. Cedendo alle continue pressioni dei medici e dei suoi confratelli si reca a San Remo per godere di un periodo di riposo ma  vi muore di lì a poco, il 12 marzo 1940. Viene proclamato santo dal Papa Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004. Ora riposa, intatto, nella Basilica della Divina Provvidenza a Tortona. San Luigi Orione non si può raccontare in due righe. Di lui sono state scritte moltissime biografie, alle quali rimando per conoscere meglio questo grandissimo e straordinario santo dei nostri tempi!  E' un santo a me particolarmente caro perchè ho abitato a Tortona. Mi propongo di farvelo conoscere a poco a poco.

venerdì 9 marzo 2012

San Domenico Savio

Domenico è il fiore più bello e profumato del giardino della santità di don Bosco. Egli stesso ha provveduto a scriverne una biografia dai tratti teneri ed appassionati. Domenico nasce a Riva presso Chieri in provincia di Torino il 2 aprile 1842. I suoi genitori Carlo e Brigida sono poveri, umili e persone di comprovata fede e si impegnano seriamente a dare a Domenico un'educazione cristiana. Scrive don Bosco nel suo libro VITA DI DOMENICO  SAVIO: ' I suoi genitori hanno affermato: "Anche all'età in cui i fanciulli mettono a dura prova la pazienza delle mamme perchè vogliono vedere tutto, toccare tutto, e finiscono per rompere gli oggetti di casa, Domenico non ci diede mai dispiaceri. Era obbediente, eseguiva ogni nostro comando. Anzi, se vedeva che desideravamo qualche cosa, lo faceva prima che glielo chiedessimo" (pag 18).
Quando papà tornava a casa dal lavoro, gli correva incontro col volto sorridente. Lo prendeva per mano, se poteva gli gettava le braccia al collo. Gli diceva: "Caro papà, voi siete stanco. Lavorate tanto per me, e io sono capace a combinare solo pasticci. Pregherò il buon Dio che vi dia tanta salute, e per me che mi faccia buono".
Questo diceva il padre - era per me un conforto dolce nella fatica. Quando il lavoro stava per finire, ero impaziente di tornare a casa per baciare il mio Domenico, che amavo teneramente (pag 18).

A sette anni riceve la Prima Comunione e scrive: Ricordi fatti da me Savio Domenico, l'anno 1849 quando ho fatto la Prima Comunione essendo di sette anni.
1. Mi confesserò molto sovente e farò la Comunione tutte le volte che il confessore me lo permetterà.
2. Voglio santificare i giorni festivi.
3. I miei amici saranno Gesù e Maria.
4. La morte, ma non peccati.

Questi ricordi Domenico li legge sovente e sono la guida delle sue azioni sino alla fine della sua vita.
Scrive don Bosco: "Domenico era di costituzione gracile, debole, di aspetto serio e dolce insieme. La sua presenza era piacevole. Aveva un carattere mitissimo e dolcissimo, e il suo umore non aveva sbalzi di allegria e di musoneria: era inalterabile. Questo contegno tranquillo lo aveva in scuola e fuori, in Chiesa e dappertutto. (....) Domenico fu 'Savio' di nome di fatto,e questo per sempre: nello studio, nella preghiera, nel parlare con i suoi compagni, in ogni azione. (...) Domenico tenne costantemente il primo posto nella sua classe, e meritò i premi e i voti più belli in quasi tutte le materie che insegnavo. Questo felice risultato nell'istruzione non era solo frutto dell'intelligenza non comune di cui era fornito, ma anche del suo grande amore allo studio e delle buone qualità della sua anima" (pag 42).
Il 2 ottobre 1854 Domenico incontra per la prima volta don Bosco che così ricorda quel momento: "In quel ragazzo scoprii una persona che viveva completamente secondo lo spirito del Signore. Rimasi sbalordito del lavoro che la grazia di Dio aveva compiuto in lui in così pochi anni" (pag 54).
Così il 29 ottobre Domenico entra nell'Oratorio di don Bosco a Torino. All'inizio della novena all'Immacolata ha un lungo colloquio con don Bosco in cui gli confida i suoi propositi di bene. Intanto la salute comincia a vacillare e nonostante il suo desiderio di mortificarsi con digiuni e penitenze don Bosco glielo proibisce e gli dice: "La penitenza che il Signore vuole da te è l'obbedienza. Obbedisci e per te è tutto".
"E nessun'altra penitenza?" (chiese Domenico)
"Sì. Ti permetto di sopportare con pazienza gli insulti se qualcuno ti insulterà, di sopportare con pazienza il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza e tutte quelle difficoltà di salute che Dio permetterà" (dice don Bosco).
"Ma questo si sopporta per necessità" (risponde Domenico).
"E tu, invece di sopportarlo per necessità, offrilo a Dio con amore. Diventerà il tuo sacrificio per il Signore" (rispose don Bosco).
Un pò contento e un pò rassegnato (scrive ancora don Bosco), Domenico riprese con serenità la sua vita ((pag 112).
La vita di Domenico è un lungo dialogo d'amore con Maria Santissima, così pensa di renderle omaggio formando un gruppo chiamato la Compagnia dell'Immacolata. Domenico vive costantemente raccolto in Dio. Egli stesso dice: "Mi prendono le solite distrazioni. Mi pare che il paradiso mi si apra sopra la testa. Allora devo allontanarmi dai compagni, per non dire cose che loro prenderebbero in giro" (pag 148). Nonostante sia gracile e senza forze continua la sua vita regolarmente e la frequentazione agli studi, senza nulla tralasciare dei suoi doveri. Ma, all'inizio dell'anno, deve rientrare a casa a Mondonio per il precipitare della sua salute. Il 9 marzo 1857 dopo 10 salassi le sue forze sono completamente prostrate, si gira verso il crocifisso e dice: "Signor, la libertà tutta vi dono, ecco le mie potenze, il corpo mio, tutto vi do, che tutto è vostro, o Dio, e nel vostro voler io mi abbandono".
Ricorda don Bosco: "Il suo volto era sereno, l'aria allegra, lo sguardo luminoso, la mente vivace: tutte cose che facevano meravigliare. Nessuno poteva persuadersi che quel ragazzo fosse sul limitare della vita" (pag 174).
Rivolto al padre gli dice: "Mio caro papà, è tempo. Prendete il mio libro di preghiere, e leggetemi le preghiere della buona morte" (pag 175).
Scrive don Bosco: "A quelle parole, la madre scoppiò a piangere e si allontanò dalla camera. Al padre scoppiava il cuore di dolore, e le lacrime soffocavano la voce. Tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quelle preghiere. (...) Addio, caro papà, addio. (...) Oh! che bella cosa io vedo mai...
Così dicendo e ridendo, con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce, senza fare il minimo movimento. Il cielo si è aperto per te, Domenico. Gli angeli e i santi ti hanno preparato una grande festa. Quel Gesù che hai tanto amato ti chiama dicendo:"Vieni servo buono e fedele, vieni. Tu hai combattuto, hai vinto. Ora vieni a possedere la gioia che non finirà mai. Entra nella gioia del tuo Signore" (pag 176).

Il padre avvisa don Bosco della morte del suo amato Domenico con una lettera datata 10 marzo 1857: "Con le lacrime agli occhi mi presento con questo biglietto a V.S. molto reverenda ad annunziarle una più che triste novella la quale sì è che il mio caro figliolino Domenico, di lei discepolo, qual candido giglio qual Luigi Gonzaga, rese l'anima al Signore la sera delli 9 andante marzo, ben inteso però dopo d'aver ricevuto li SS. Sacramenti una cum la benedizione Papale" (pag 181).
Il 12 giugno 1954 papa Pio XII lo proclama santo.

  

giovedì 8 marzo 2012

San Giovanni di Dio

Quando all'inizio del XVI secolo la bufera si abbattè su tutta la Cattolicità con la funesta eresia luterana che spezzò l'unità della Cristianità, per un misterioso e provvidenziale disegno dello spirito, fiorì nella chiesa di Dio un esercito di Santi, alcuni dei quali veri giganti di santità. Tra questi grandi possiamo annoverare S.Giovanni di Dio, apostolo di carità. "Fate bene fratelli, per amore di Dio, a voi stessi" . Con questo grido il nostro santo percorreva le strade di Granada, chiedendo l'elemosina per i suoi malati poveri e abbandonati. Giovanni era originario del Portogallo dove nacque nel 1495. Ancora bambino lasciò la sua famiglia e si trasferì in Spagna. Visse la sua gioventù in modo alquanto movimentato e assai avventuroso. Fece il pastorello, il manovale, il contadino e anche il sodato nelle milizie di Carlo V.
Infine si stabilì a Granada, nell'Andalusia, dove per vivere vendeva libri. In questa città assistendo ad una predica del beato Giovanni d'Avila, ebbe la grazia della conversione.
Spinto da un ardente anelito di perfezione cambiò radicalmente vita.
Per prima cosa si spogliò di tutto quello che possedeva e lo donò ai poveri.
Per tale suo gesto fu considerato pazzo e rinchiuso in ospedale. E proprio a contatto di tanti fratelli emarginati e sofferenti capì quello che il Signore voleva da lui.
Da allora si dedicò totalmente alla cura dei malati. Vedeva in ogni infermo lo stesso Gesù che gli diceva: "Ogni volta che fai questo ad uno dei miei fratelli, lo fai a me".
Così scelse di spendere i suoi giorni e le sue energie al servizio di quanti soffrivano. Attuò pienamente l'insegnamento evangelico. Non certo per falsi umanitarismi, ma per bisogno interiore di servire il suo Signore in quelle creature che l'egoismo del mondo lasciava languire nel dolore e nella miseria.
Organizzò un'assistenza medica con tali criteri igienici che, considerando i tempi, suscitò la meraviglia degli stessi sanitari dell'epoca. Capirono i suoi denigratori di un tempo, che Giovanni non era pazzo, ma un santo suscitato da Dio. Così da allora lo chiamarono 'Giovanni di Dio'. Molti spinti dal suo esempio lo seguirono e nacque, in modo del tutto spontaneo, l'Ordine Ospedaliero, ovvero i FATEBENEFRATELLI.
Quando l'8 marzo 1550 san Giovanni di Dio morì, il suo ospedale era l'opera di carità e di assistenza ai poveri più poderosa di tutta la Spagna. 
PER GENTILE CONCESSIONE DELL'AMICO PATERNO GIOVANNI MANGANO  

mercoledì 7 marzo 2012

Sante Perpetua e Felicita, martiri

Perpetua e Felicita unite nello stesso destino di mamme e martiri. Siamo a Cartagine nel 203 d.C., Tibia Perpetua è una nobildonna di 22 anni, è sposa e madre di un bambino ancora in fasce. Felicita è la figlia dei servi di Perpetua, anch'ella in giovane età e in attesa di un bimbo. Entrambe vengono fatte prigioniere e condannate a morte dall'Imperatore Settimio Severo perchè cristiane. Descrive la storia del loro martirio Tertulliano ne la 'PASSIONE DELLE SANTE PERPETUA E FELICITA' riportando gli scritti di Perpetua che descrivono, appunto, le vicende del loro arresto e condanna ad essere sbranate dalle fiere. Ancora rinchiuse, Felicita mette al mondo una bambina. Il suo carceriere le dice: ‘O tu che ora patisci tanto strazio, che farai quando verrai gettata in pasto a quelle belve che disprezzasti rifiutando di sacrificare?’


E quella rispose: ‘Ora sono io che devo sopportare questi strazi; quivi invece vi sarà dentro di me un altro, il quale patirà per me, perché anch’io mi dispongo a patire per lui’.
Molte sono le pressioni dei parenti, in modo particolare del padre di Perpetua, affinchè abiurino la loro fede, ma le due giovani sono irremovibili, scrive Perpetua:
'Sopravvenne allora mio padre col mio bambino tra le braccia; mi trasse indietro supplichevole disse: ‘Abbi pietà di questo bambino’.
Il procuratore Ilariano, che esercitava allora il potere esecutivo in sostituzione del proconsole Minucio Timiniano che era morto, mi disse: ‘Abbi riguardo dei capelli bianchi di tuo padre, e di questo tenero fanciullo! Offri un sacrificio per la salute degli Imperatori’. Risposi: ‘Non lo faccio’. Ilariano disse: ‘Sei tu cristiana?’. Risposi: ‘Sono cristiana’.
Mio padre mi si faceva addosso per farmi rinnegare; Ilariano comandò di trascinarlo via e per di più lo fece cacciare a bastonate. Mi dolse il caso di mio padre, mi parve di sentire quei colpi sulle mie membra; mi piangeva il cuore per quella sua miseranda vecchiaia.

 Frattanto il procuratore pronunziò la nostra sentenza condannandoci alle fiere.
Contenti ritornammo alla prigione.

Il mio bambino soleva starmi alle poppe e restare con me in carcere; onde io tosto mandai il diacono Pomponio perché chiedesse il piccino a mio padre. Questi non volle consegnarglielo. E come piacque a Dio, il bambino cessò di domandare la mammella, e io fui libera dall’infiammazione che ciò cagionava, né più fui oppressa dalla cura del fanciullo e dal dolore delle mammelle'.

Questa è la descrizione del martirio:

Per le giovani, il diavolo preparò una vacca ferocissima, cosa veramente inusitata, quasi volesse fare, anche con quella bestia, uno sfregio al loro sesso. Spogliate dunque, e ravviluppate nei reticoli, esse venivano condotte nell’arena. La folla fu presa da un senso di ribrezzo, vedendole tenera fanciulla una, l’altra ancora fresca di parto e con le poppe stillanti. Furono allora richiamate e rivestite con lunghe tuniche.  
Perpetua, acciuffata per la prima e sbattuta, ricadde a terra supina. Messasi a sedere, raccolse i lembi della tunica lacerata sul fianco per coprirsi il femore, più ansiosa del proprio pudore che del proprio dolore. Indi raccolse le forcelle, si appuntò la scomposta capigliatura: non s’addiceva davvero a una martire soffrire la passione con le chiome disciolte, sì da sembrare far lutto nella sua gloria! Ciò fatto, s’alzò in piedi, e, veduta Felicita colpita, le si avvicinò porgendole la mano per rialzarla. Così stettero alquanto, fino a che, ammansita la ferocia della folla, furono richiamate e
atte uscire per la porta Sanavivaria.

La folla reclamava che fossero portati in vista, per seguire con i loro occhi omicidi l’entrar del coltello nelle carni di quelli; volevano por fine al martirio con il santo rito della pace. Gli altrii martiri si rizzarono spontaneamente e si trascinarono fin là dove la marmaglia voleva. Già s’erano dato fra loro il bacio, ché ben ricevettero il ferro raccolti in silenzio. Tosto rese lo spirito Sàturo, che era asceso per primo nella scala; egli perché il ferro le si impigliò tra le vertebre della golaattendeva Perpetua che gli tenesse dietro. A questa era ancora riserbato di gustare qualche tormento: Mandò un forte gemito, e prese essa stessa a guidare la incerta mano dell’inetto gladiatore, aggiustandosi la punta alle carni. Ma forse una donna di tanto valore, che incuteva spavento allo spirito immondo, non avrebbe altrimenti potuto essere uccisa se essa non l’avesse voluto!'.

da: P. VANNUTELLI a cura di , Atti dei Martiri 1, Città del Vaticano, ristampa 1962, 14-57

PASSIONE DELLE SANTE