MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

martedì 31 luglio 2012

Sant' Ignazio di Loyola


Iñigo Lopez de Loyola nasce ad Azpeitia un paese basco (Spagna) nel 1491, settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere.
Iñigo perde la madre subito dopo la nascita, ed è destinato alla carriera sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia riceve per questo anche la tonsura.
Ma il rampollo più piccolo dei Loyola non è incline alla vita religiosa, è di carattere esuberante e focoso e preferisce la vita del cavaliere, imitando due suoi fratelli. Il padre prima di morire, nel 1506 lo manda ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, affinché riceva un’educazione adeguata; accompagna don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferisce la corte allora itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura opera. 
Nel 1515 Iñigo viene accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subisce un processo che non sfocia in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi; questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca.
Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferisce presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trova a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferisce ad una gamba.
Trasportato nella sua casa di Loyola, subisce due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
La convalescenza è lunga, dolorosa e noiosa. Non trovando in casa libri a lui graditi legge una Vita di Gesù e un Leggendario di Santi, che gli illuminano la mente e l'anima. Così nel 1522 parte per Barcellona, si ferma nell'Abbazia benedettina di Monserrat, dove lascia i vestiti di cavaliere e le armi, veste un saio e fa voto di castità, cominciando una vita di preghiera e di penitenza. Un’epidemia di peste gli impedisce di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si ferma nella cittadina di Manresa e per più di un anno conduce vita di preghiera e di penitenza; qui, vivendo poveramente presso il fiume Cardoner, riceve una grande illuminazione sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati.
In una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri “Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi.

Nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme parte per Gaeta e da qui arriva a Roma. Da Venezia s'imbarca per la Terrasanta, dove vorrebbe rimanere per sempre, ma il Superiore dei Francescani, responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibisce e quindi Ignazio ritorna nel 1524 in Spagna.
Intuisce che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorre approfondire le sue scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prende a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà e a Salamanca.
Per delle incomprensioni ed equivoci, non completa gli studi in Spagna, per cui nel 1528 si trasferisce a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il dottorato in filosofia
.
Nel 1537 si trasferisce in Italia e viene ordinato sacerdote. Il 27 settembre 1540 viene approvata la Congregazione da lui fondata, la 'Compagnia di Gesù'. L’8 aprile 1541 Ignazio viene eletto Preposito Generale e il 22 aprile fa, con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel 1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prende a redigere le “Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si sparpagliavano per il mondo.
Rimasto a Roma per volere del papa, coordina l’attività dell’Ordine, nonostante soffra di dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limita a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa.
Il male, però, è progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, muore il 31 luglio 1556 in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
Proclamato beato il 27 luglio 1609 da papa Paolo V e santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. 
La sua vita fu spesa per Dio e per la sua maggior gloria (ad majorem Dei gloriam).

giovedì 26 luglio 2012

Santi Gioacchino ed Anna


Sono i genitori della Vergine Maria. La Santa Chiesa li onora come sposi santi e benedetti per aver concepito e dato al mondo colei che sarebbe diventata la Madre di Dio. Di loro le Sacre Scritture non parlano ma un'antica tradizione che risale al II sec. d.C. ci tramanda i loro nomi. Di loro ha scritto San Giovanni Damasceno: 'O felice coppia, Gioacchino ed Anna! A voi è debitrice ogni creatura, perchè per voi la creatura ha offerto al Creatore il dono più gradito, ossia quella casta madre, che sola era degna del creatore. O Gioacchino ed Anna, coppia beata, veramente senza macchia! Dal frutto del vostro seno voi siete conosciuti, come una volta disse il Signore : 'Li conoscerete dai loro frutti' (Mt 7,16 ). Voi informaste la condotta della vostra vita in modo gradito a Dio e degno di colei che da voi nacque. O Gioacchino ed Anna, coppia castissima! Voi, conservando la castità prescritta dalla legge naturale, avete conseguito, per divina virtù, ciò che supera la natura : avete donato al mondo la madre di Dio che non conobbe uomo. Voi, conducendo una vita pia e santa nella condizione umana, avete dato alla luce una figlia più grande degli angeli ed ora regina degli angeli stessi. O vergine bellissima e dolcissima! O figlia di Adamo e madre di Dio. Beato il seno che ti ha dato la vita! Beate le braccia che ti strinsero e le labbra che ti impressero casti baci, quelle dei tuoi soli genitori, cosicchè tu conservassi in tutto la verginità!

mercoledì 25 luglio 2012

San Giacomo Apostolo


E' l'apostolo che Gesù chiamò mentre pescava con il fratello Giovanni ed il loro padre Zebedeo. Ebbe il privilegio di vedere Gesù trasfigurato sul monte Tabor, assistere con Pietro e Giovanni alla risurrezione della figlia di Giairo, partecipare alla notte di Gesù nell'Orto degli Ulivi e fu il primo tra gli apostoli a morire martire, decapitato a Gerusalemme verso il 44 d.C per mano del Re Erode Agrippa. Le sue spoglie riposano nel famoso luogo di grandi pellegrinaggi che è Santiago de Compostela.  Il sepolcro contenente le sue spoglie, traslate da Gerusalemme dopo il martirio, sarebbe stato scoperto al tempo di Carlomagno, nel 814. La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi medioevali, tanto che il luogo prese il nome di Santiago (da Sancti Jacobi, in spagnolo Sant-Yago) e nel 1075 fu iniziata la costruzione della grandiosa basilica a lui dedicata.
http://www.santiagodicompostela.it/
 
 

martedì 24 luglio 2012

San Charbel Makhluf

Giuseppe Makhluf, nacque nel villaggio di Biqa ’Kafra il più alto del Libano l'8 maggio 1828. Rimasto orfano del padre a tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno. A 14 anni già si ritirava in una grotta appena fuori del paese a pregare per ore (oggi è chiamata “la grotta del santo”).
Egli pur sentendo di essere chiamato alla vita monastica, non poté farlo prima dei 23 anni, vista l’opposizione dello zio, quindi nel 1851 entrò come novizio nel monastero di Annaya dell’Ordine Maronita Libanese. Cambiò il nome di battesimo Giuseppe in quello di Sarbel (Charbel) che è il nome di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano.
Trascorso il primo anno di noviziato fu trasferito da Annaya al monastero di Maifuq per il secondo anno di studi. Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853 fu mandato al Collegio di Kfifan dove insegnava anche Ni’matallah Kassab la cui Causa di beatificazione è in corso.
Nel 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero da Annaya dove stette per quindici anni; dietro sua richiesta ottenne di farsi eremita nel vicino eremo di Annaya, situato a 1400 m. sul livello del mare, dove si sottopose alle più dure mortificazioni.
Mentre celebrava la s. Messa in rito Siro-maronita, il 16 dicembre 1898, al momento della sollevazione dell’ostia consacrata e del calice con il vino e recitando la bellissima preghiera eucaristica, lo colse un colpo apoplettico; trasportato nella sua stanza vi passò otto giorni di sofferenze ed agonia finché il 24 dicembre lasciò questo mondo.
A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari sulla sua tomba, questa fu aperta e il corpo fu trovato intatto e morbido, rimesso in un’altra cassa fu collocato in una cappella appositamente preparata, e dato che il suo corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana. Nel 1927, essendo iniziato il processo di beatificazione, la bara fu di nuovo sotterrata. Nel 1950 a febbraio, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido, e supponendo un’infiltrazione d’acqua, davanti a tutta la Comunità monastica fu riaperto il sepolcro; la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso del beato Sarbel e il volto rimase impresso sul panno.
Sempre nel 1950 ad aprile le superiori autorità religiose con una apposita commissione di tre noti medici riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. Fuori la folla implorava con preghiere la guarigione di infermi lì portati da parenti e fedeli ed infatti molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell’occasione. Si sentiva da più parti gridare Miracolo! Miracolo! Fra la folla vi era chi chiedeva la grazia anche non essendo cristiano o non cattolico.
Il papa Paolo VI il 5 dicembre 1965 lo beatificò davanti a tutti i Padri Conciliari durante il Concilio Ecumenico Vaticano II.


Autore:
Antonio Borrelli
Tratto dal sito santi, beati e testimoni

Questo è il SITO UFFICIALE dell'eremo, esso è curato in inglese, francese e spagnolo oltre che in libanese.

lunedì 23 luglio 2012

Santa Brigida di Svezia, patrona d'Europa


Brigida nasce nel  Castello di Finsta (Svezia) nel 1303 da genitori pii e di alto rango, legati alla Casa regnante di Svezia. Suo padre Birger Persson è il Governatore di Uplandia, sua madre Ingeborg Bengsdotter appartiene alla vecchia stirpe reale dei Folkunghi. A soli dieci anni Brigida ha la sua prima conversazione con Cristo. A quattordici anni sposa il diciottenne Ulf Gudmarsson anch'egli di nobile famiglia e Governatore di Ostrogotia. 'Per circa due anni Ulf e Brigida vissero come fratello e sorella, finchè non ebbero raggiunto tra di loro una comunione di cuori sufficientemente robusta per sopportare insieme le passioni. E questa offerta a Dio della primizia della loro unione richiamò su di loro per tutta la vita le benedizioni celesti; una pace benedetta fondata sulla verace unione dei cuori. Non ardeva il fuoco dei sensi sul loro focolare, e perciò la loro casa era piena di calore, di luce e di tranquillità.'( Santa Brigida di Svezia - Giovanni Joergensen - Ed. Morcelliana ). In seguito la coppia ebbe otto figli, quattro maschi e quattro femmine, che Brigida educò con grande saggezza alla vita cristiana. Visse alla Corte svedese, fu dama della Regina Bianca di Namur. Oltre a questa alta carica di corte, la vita di santa Brigida si divise tra l'amministrazione dei numerosi beni di famiglia e i suoi doveri di sposa e di madre. Inoltre la vita di corte la mise in diretto contatto con la travagliata vita politica del tempo, suscitando un vivo interesse anche per la politica europea. Al centro della sua vita, però, resta indiscutibilmente la religione. Chiamò presso il Castello di Ulsàva, dove dimorava, il primo teologo svedese del suo tempo, il Canonico Magister Matthias, quale confessore e consigliere personale. Attraverso il suo insegnamento prese conoscenza della letteratura mistica ed apocalittica, nonchè si perfezionò nello studio delle Sacre Scritture e nella meditazione delle opere di san Bernardo di Chiaravalle. Nel 1341 i coniugi si recano in pellegrinaggio a Santiago di Compostela; nel viaggio di ritorno Ulf viene miracolosamente salvato da morte certa, così decidono al ritorno in Patria di abbracciare la vita religiosa. Ulf entra nel Monastero Cistercense ad Alvastra dove vi muore assistito da Brigida nel 1344. Brigida, rimasta vedova, decide di ritirarsi in un edificio annesso al Monastero. Qui comincia ad avere esperienze mistiche e rivelazioni sulle Passione del Signore, che ella trascrive in otto volumi. Nel 1350 si reca a Roma per lucrare l'Anno Santo. Vi rimane fino al 1373 anno della sua morte. Prima di partire traccia la Regola di una comunità monastica ma fu sua figlia, Santa Caterina di Svezia, a poter dar vita al Monastero di San Salvatore a Vadstena secondo i desideri della madre. A Roma prende dimora in piazza Farnese 96, luogo dove ancora oggi è possibile visitare le celle dove santa Brigida e sua figlia Caterina soggiornarono. Dopo la morte le sue spoglie mortali vengono riportate in Svezia, a Vadstena.
Santa Brigida è una grande figura di donna, è la Santa nazionale della Svezia, nonchè Patrona d'Europa insieme a santa Caterina da Siena e a santa Teresa Benedetta della Croce.  

lunedì 16 luglio 2012

Beata Vergine Maria del Monte Carmelo


Il monte Carmelo è un'estensione montuosa a Sud dell'attuale città di Haifa (Israele) e si protende verso il mare Mediterraneo per circa venti km raggiungendo i 546 metri di altezza. Proprio qui il profeta Elia fu testimone della misericordia di Dio che fece cadere la pioggia per salvare Israele dalla siccità (si legga nella Bibbia 1Re,18). In quella immagine tutti i mistici cristiani e gli esegeti hanno sempre visto la Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo. Il monte Carmelo è il luogo dove si ritiravano gli eremiti ancor prima della venuta di Gesù, dove un gruppo di essi, dopo l'avvento del Cristianesimo, continuò a dimorarvi vivendo nel culto della Vergine Maria.

Nel Primo Libro dei Re dell’Antico Testamento si racconta che il profeta Elia, che raccolse una comunità di uomini proprio sul monte Carmelo (in aramaico «giardino»), operò in difesa della purezza della fede in Dio, vincendo una sfida contro i sacerdoti del dio Baal. Qui, in seguito, si stabilirono delle comunità monastiche cristiane. I crociati, nell’XI secolo, trovarono in questo luogo dei religiosi, probabilmente di rito maronita, che si definivano eredi dei discepoli del profeta Elia e seguivano la regola di san Basilio. Nel 1154 circa si ritirò sul monte il nobile francese Bertoldo, giunto in Palestina con il cugino Aimerio di Limoges, patriarca di Antiochia, e venne deciso di riunire gli eremiti a vita cenobitica. I religiosi edificarono una chiesetta in mezzo alle loro celle, dedicandola alla Vergine e presero il nome di Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo. Il Carmelo acquisì, in tal modo, i suoi due elementi caratterizzanti: il riferimento ad Elia ed il legame a Maria Santissima. (Cristina Siccardi)

 Nasce così l'Ordine Carmelitano, la cui Regola viene approvata nel 1226 da Papa Onorio III. A causa delle incursioni dei saraceni, intorno al 1235, i frati dovettero abbandonare l’Oriente per stabilirsi in Europa e il loro primo convento trovò dimora a Messina, in località Ritiro.
Carmelo vuol dire giardino di Dio, luogo prezioso e mistico, al tempo stesso concreto ed invisibile, luogo dell'anima dove scende la pioggia ristoratrice della Grazia del Signore che rigenera e salva. Maria è la Regina del Monte Carmelo, la Regina del giardino di Dio, che accoglie in sè la vita e la fecondità, Gesù incarnato, donandola al mondo.
Il 16 luglio del 1251 la Vergine apparve al primo Padre Generale dell'Ordine, il beato Simone Stock al quale diede lo scapolare con la promessa che avrebbe salvato dalla perdizione eterna coloro che l'avessero indossato. L'Ordine Carmelitano ha donato alla Chiesa tanti santi tra cui Teresa d'Avila, Teresa del Bambino Gesù, Giovanni della Croce, Teresa Benedetta della Croce.

domenica 15 luglio 2012

San Bonaventura da Bagnoregio

Nasce a Bagnoregio presso Viterbo nel 1221. Ha un'intelligenza viva, è brillante negli studi, completa il suo percorso culturale a Parigi . A vent'anni e con il titolo di Maestro entra nell'Ordine di San Francesco. E' il frate più dotto, ma anche il più umile. Nel 1260 scrive la Legenda Major, la biografia ufficiale di san Francesco d'Assisi. Muore a Lione il 15 luglio 1274. La Chiesa lo ha proclamato Dottore per la sua sapienza. E' un Santo particolarmente caro a Papa Benedetto XVI, che ha parlato di lui in un'udienza. Qui sotto vi riporto la sua catechesi. E' un santo particolarmente caro anche a me, in quanto oggi ricorre l'anniversario della mia laurea. Spero mi infonda un pò della sua scienza e umiltà. 

 
 
 
Udienza di S.S Benedetto XVI ( 3 marzo 2010 )

Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi vorrei parlare di san Bonaventura da Bagnoregio. Vi confido che, nel proporvi questo argomento, avverto una certa nostalgia, perché ripenso alle ricerche che, da giovane studioso, ho condotto proprio su questo autore, a me particolarmente caro. La sua conoscenza ha inciso non poco nella mia formazione. Con molta gioia qualche mese fa mi sono recato in pellegrinaggio al suo luogo natio, Bagnoregio, una cittadina italiana, nel Lazio, che ne custodisce con venerazione la memoria.
Nato probabilmente nel 1217 e morto nel 1274, egli visse nel XIII secolo, un’epoca in cui la fede cristiana, penetrata profondamente nella cultura e nella società dell’Europa, ispirò imperiture opere nel campo della letteratura, delle arti visive, della filosofia e della teologia. Tra le grandi figure cristiane che contribuirono alla composizione di questa armonia tra fede e cultura si staglia appunto Bonaventura, uomo di azione e di contemplazione, di profonda pietà e di prudenza nel governo.
Si chiamava Giovanni da Fidanza. Un episodio che accadde quando era ancora ragazzo segnò profondamente la sua vita, come egli stesso racconta. Era stato colpito da una grave malattia e neppure suo padre, che era medico, sperava ormai di salvarlo dalla morte. Sua madre, allora, ricorse all’intercessione di san Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. E Giovanni guarì.
La figura del Poverello di Assisi gli divenne ancora più familiare qualche anno dopo, quando si trovava a Parigi, dove si era recato per i suoi studi. Aveva ottenuto il diploma di Maestro d’Arti, che potremmo paragonare a quello di un prestigioso Liceo dei nostri tempi. A quel punto, come tanti giovani del passato e anche di oggi, Giovanni si pose una domanda cruciale: “Che cosa devo fare della mia vita?”. Affascinato dalla testimonianza di fervore e radicalità evangelica dei Frati Minori, che erano giunti a Parigi nel 1219, Giovanni bussò alle porte del Convento francescano di quella città, e chiese di essere accolto nella grande famiglia dei discepoli di san Francesco. Molti anni dopo, egli spiegò le ragioni della sua scelta: in san Francesco e nel movimento da lui iniziato ravvisava l’azione di Cristo. Scriveva così in una lettera indirizzata ad un altro frate: “Confesso davanti a Dio che la ragione che mi ha fatto amare di più la vita del beato Francesco è che essa assomiglia agli inizi e alla crescita della Chiesa. La Chiesa cominciò con semplici pescatori, e si arricchì in seguito di dottori molto illustri e sapienti; la religione del beato Francesco non è stata stabilita dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo” (Epistula de tribus quaestionibus ad magistrum innominatum, in Opere di San Bonaventura. Introduzione generale, Roma 1990, p. 29).
Pertanto, intorno all’anno 1243 Giovanni vestì il saio francescano e assunse il nome di Bonaventura. Venne subito indirizzato agli studi, e frequentò la Facoltà di Teologia dell’Università di Parigi, seguendo un insieme di corsi molto impegnativi. Conseguì i vari titoli richiesti dalla carriera accademica, quelli di “baccelliere biblico” e di “baccelliere sentenziario”. Così Bonaventura studiò a fondo la Sacra Scrittura, le Sentenze di Pietro Lombardo, il manuale di teologia di quel tempo, e i più importanti autori di teologia e, a contatto con i maestri e gli studenti che affluivano a Parigi da tutta l’Europa, maturò una propria riflessione personale e una sensibilità spirituale di grande valore che, nel corso degli anni successivi, seppe trasfondere nelle sue opere e nei suoi sermoni, diventando così uno dei teologi più importanti della storia della Chiesa. È significativo ricordare il titolo della tesi che egli difese per essere abilitato all’insegnamento della teologia, la licentia ubique docendi, come si diceva allora. La sua dissertazione aveva come titolo Questioni sulla conoscenza di Cristo. Questo argomento mostra il ruolo centrale che Cristo ebbe sempre nella vita e nell’insegnamento di Bonaventura. Possiamo dire senz’altro che tutto il suo pensiero fu profondamente cristocentrico.
In quegli anni a Parigi, la città di adozione di Bonaventura, divampava una violenta polemica contro i Frati Minori di san Francesco d’Assisi e i Frati Predicatori di san Domenico di Guzman. Si contestava il loro diritto di insegnare nell’Università, e si metteva in dubbio persino l’autenticità della loro vita consacrata. Certamente, i cambiamenti introdotti dagli Ordini Mendicanti nel modo di intendere la vita religiosa, di cui ho parlato nelle catechesi precedenti, erano talmente innovativi che non tutti riuscivano a comprenderli. Si aggiungevano poi, come qualche volta accade anche tra persone sinceramente religiose, motivi di debolezza umana, come l’invidia e la gelosia. Bonaventura, anche se circondato dall’opposizione degli altri maestri universitari, aveva già iniziato a insegnare presso la cattedra di teologia dei Francescani e, per rispondere a chi contestava gli Ordini Mendicanti, compose uno scritto intitolato La perfezione evangelica. In questo scritto dimostra come gli Ordini Mendicanti, in specie i Frati Minori, praticando i voti di povertà, di castità e di obbedienza, seguivano i consigli del Vangelo stesso. Al di là di queste circostanze storiche, l’insegnamento fornito da Bonaventura in questa sua opera e nella sua vita rimane sempre attuale: la Chiesa è resa più luminosa e bella dalla fedeltà alla vocazione di quei suoi figli e di quelle sue figlie che non solo mettono in pratica i precetti evangelici ma, per la grazia di Dio, sono chiamati ad osservarne i consigli e testimoniano così, con il loro stile di vita povero, casto e obbediente, che il Vangelo è sorgente di gioia e di perfezione.
Il conflitto fu acquietato, almeno per un certo tempo, e, per intervento personale del Papa Alessandro IV, nel 1257, Bonaventura fu riconosciuto ufficialmente come dottore e maestro dell’Università parigina. Tuttavia egli dovette rinunciare a questo prestigioso incarico, perché in quello stesso anno il Capitolo generale dell’Ordine lo elesse Ministro generale.
Svolse questo incarico per diciassette anni con saggezza e dedizione, visitando le province, scrivendo ai fratelli, intervenendo talvolta con una certa severità per eliminare abusi. Quando Bonaventura iniziò questo servizio, l’Ordine dei Frati Minori si era sviluppato in modo prodigioso: erano più di 30.000 i Frati sparsi in tutto l’Occidente con presenze missionarie nell’Africa del Nord, in Medio Oriente, e anche a Pechino. Occorreva consolidare questa espansione e soprattutto conferirle, in piena fedeltà al carisma di Francesco, unità di azione e di spirito. Infatti, tra i seguaci del santo di Assisi si registravano diversi modi di interpretarne il messaggio ed esisteva realmente il rischio di una frattura interna. Per evitare questo pericolo, il Capitolo generale dell’Ordine a Narbona, nel 1260, accettò e ratificò un testo proposto da Bonaventura, in cui si raccoglievano e si unificavano le norme che regolavano la vita quotidiana dei Frati minori. Bonaventura intuiva, tuttavia, che le disposizioni legislative, per quanto ispirate a saggezza e moderazione, non erano sufficienti ad assicurare la comunione dello spirito e dei cuori. Bisognava condividere gli stessi ideali e le stesse motivazioni. Per questo motivo, Bonaventura volle presentare l’autentico carisma di Francesco, la sua vita ed il suo insegnamento. Raccolse, perciò, con grande zelo documenti riguardanti il Poverello e ascoltò con attenzione i ricordi di coloro che avevano conosciuto direttamente Francesco. Ne nacque una biografia, storicamente ben fondata, del santo di Assisi, intitolata Legenda Maior, redatta anche in forma più succinta, e chiamata perciò Legenda minor. La parola latina, a differenza di quella italiana, non indica un frutto della fantasia, ma, al contrario, “Legenda” significa un testo autorevole, “da leggersi” ufficialmente. Infatti, il Capitolo generale dei Frati Minori del 1263, riunitosi a Pisa, riconobbe nella biografia di san Bonaventura il ritratto più fedele del Fondatore e questa divenne, così, la biografia ufficiale del Santo.
Qual è l’immagine di san Francesco che emerge dal cuore e dalla penna del suo figlio devoto e successore, san Bonaventura? Il punto essenziale: Francesco è un alter Christus, un uomo che ha cercato appassionatamente Cristo. Nell’amore che spinge all’imitazione, egli si è conformato interamente a Lui. Bonaventura additava questo ideale vivo a tutti i seguaci di Francesco. Questo ideale, valido per ogni cristiano, ieri, oggi, sempre, è stato indicato come programma anche per la Chiesa del Terzo Millennio dal mio Predecessore, il Venerabile Giovanni Paolo II. Tale programma, egli scriveva nella Lettera Novo Millennio ineunte, si incentra “in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (n. 29).
Nel 1273 la vita di san Bonaventura conobbe un altro cambiamento. Il Papa Gregorio X lo volle consacrare Vescovo e nominare Cardinale. Gli chiese anche di preparare un importantissimo evento ecclesiale: il II Concilio Ecumenico di Lione, che aveva come scopo il ristabilimento della comunione tra la Chiesa Latina e quella Greca. Egli si dedicò a questo compito con diligenza, ma non riuscì a vedere la conclusione di quell’assise ecumenica, perché morì durante il suo svolgimento. Un anonimo notaio pontificio compose un elogio di Bonaventura, che ci offre un ritratto conclusivo di questo grande santo ed eccellente teologo: “Uomo buono, affabile, pio e misericordioso, colmo di virtù, amato da Dio e dagli uomini… Dio infatti gli aveva donato una tale grazia, che tutti coloro che lo vedevano erano pervasi da un amore che il cuore non poteva celare” (cfr J.G. Bougerol, Bonaventura, in A. Vauchez (a cura), Storia dei santi e della santità cristiana. Vol. VI. L’epoca del rinnovamento evangelico, Milano 1991, p. 91).
Raccogliamo l’eredità di questo santo Dottore della Chiesa, che ci ricorda il senso della nostra vita con le seguenti parole: “Sulla terra… possiamo contemplare l’immensità divina mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria celeste, invece, mediante la visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante l’estasi … entreremo nel gaudio di Dio” (La conoscenza di Cristo, q. 6, conclusione, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 187).

sabato 14 luglio 2012

San Camillo de Lellis


Nasce a Bucchianico, nelle vicinanze di Chieti, il 25 maggio 1550. Da giovane intraprende la carriera delle armi seguendo le orme del padre. E' un soldato di ventura sfaticato, attaccabrighe e dedito al gioco. Fino a quando si procura un'ulcera al piede per seguire suo padre in viaggio verso Venezia per mettersi al servizio della Serenissima. A causa di questa piaga entra nell'Ospedale di San Giacomo a Roma; ma non essendo un malato grave e per guadagnarsi il diritto di essere curato, si occupa degli ammalati ricoverati, in un primo momento in modo non molto esemplare. La piaga lo costringe a ricoverarsi altre volte, ma Camillo è ormai cambiato: accorre al letto di ogni malato, instancabile, con amore e sollecitudine, vedendo in ciascuno di essi Gesù stesso. Viene ordinato sacerdote nel 1584. Raccoglie intorno a sè un gruppo di giovani che, come lui, desiderano vivere la vita al servizio dei malati e concepisce la 'Compagnia dei Ministri degli Infermi'.
Muore a Roma il 14 luglio 1614.

venerdì 13 luglio 2012

Sant'Enrico II, Imperatore


Enrico nacque in Baviera nel 973. Sposò Cunegonda, che la Chiesa venera come santa. Venne incoronato imperatore del Sacro Romano Impero nel 1014 da Papa Benedetto VIII. Visse santamente e guidò il suo popolo con rettitudine. Per questo viene considerato un modello nell'arte di governare. Morì il 13 luglio 1024 a Bamberg. E'sepolto nella Cattedrale di questa città insieme alla sua sposa Cunegonda.

Enrico e Cunegonda

mercoledì 11 luglio 2012

San Benedetto, abate

Oggi la Santa Chiesa festeggia san Benedetto, abate, patrono d'Europa. Nacque a Norcia nel 480 circa. Spinto dal desiderio di perfezione, si ritirò a Subiaco, conducendo vita eremitica. Nel 529 si trasferì a Montecassino, dove fondò il celebre monastero e scrisse la Regola. San Benedetto ebbe il merito di aver dato all'Occidente una nuova identità spirituale, culturale e sociale, dopo la caduta dell'Impero Romano. E' l'identità cristiana che ai nostri giorni si vorrebbe cancellare definitivamente. San Benedetto fu vero maestro di vita, non solo spirituale ma anche sociale. I monasteri che si ispirano alla sua Regola, ben presto, si trasformano in luoghi di grande fermento di vita. In essi si prega, si studia, si lavora, si accoglie. Vengono poste così le basi di quella che sarà la grande Europa unita che ebbe il suo massimo splendore nel Medio Evo.

La Santa Regola si ispira alle Sacre Scritture. Essa ci indica il cammino della vita, Ci mostra come la nostra esistenza possa essere vissuta in pienezza, solo ascoltando la Parola di Dio e mettendola in pratica. San Benedetto infatti scrive: 'Christo omnino nihil praeponant, quis nos pariter ad vitam aeternam perducat'. Nulla anteporre a Cristo!
Invito a chi passa di qua, a visitare il blog che ampiamente parla di spiritualità benedettina:

lunedì 9 luglio 2012

Santa Veronica Giuliani

Veronica è una delle più grandi mistiche nella storia della Chiesa. Nasce a Mercatello sul Metauro (PU) il 27 dicembre 1660, da Francesco e Benedetta e le viene imposto il nome di Orsola. La su vita fu scandita dal susseguirsi di fatti prodigiosi che la videro protagonista sin dalla tenerissima età. Si narra che a cinque mesi camminò da sola per recarsi in una chiesa a pregare. A sette mesi parlò per ammonire un negoziante. A due anni cominciò a godere delle visioni di Gesù e Maria. All'età di sei anni sentì nel cuore il grande desiderio di patire per amore di Gesù. All'età di 17 anni entra nel Monastero delle Cappuccine di Città di Castello in provincia di Perugia.  Qui continuano i grandi doni mistici, grazie, privilegi, visioni, estasi, carismi singolari che Dio elargisce incessantemente alla sua "diletta", fino al dono delle stimmate. In particolare i fenomeni mistici, che in lei si verificarono, furono controllati a lungo e severamente dalle autorità competenti. Dal 1695 al 27-2-1727, nonostante la grandissima ripugnanza che provava, la santa scrisse, senza rileggerle, in un Diario le fasi e le esperienze della sua vita interiore per obbedienza al vescovo, Mons. Eustachi, e al confessore del monastero, il P. Ubaldo Antonio Cappelletti, filippino. Riempì 21.000 pagine raccolte in 44 volumi, pubblicati dal 1895 al 1928 dal P. Luigi Pizzicarla SJ. Proprio a causa di questi eventi soprannaturali ebbe molto a soffrire, trattata come folle, simulatrice e bugiarda. A questi patimenti univa i suoi sacrifici, le sue mortificazioni e aspre penitenze, confidando nell'aiuto del Signore. Veronica viene eletta Badessa del Monastero, carica che ricopre per undici anni. Muore il 9 luglio 1727, un venerdi santo, dopo 33 giorni di malattia. Nel suo cuore furono trovati scolpiti gli emblemi della Passione e la trafittura da parte a parte. Veronica è santa dal 26 maggio 1839. 

Oggi la Santa Chiesa ricorda anche i Santi Martiri Cinesi che trovate qui  

Santi martiri Cinesi

La Cina è stata terra di missione fin dal secolo V. Ma fu soprattutto dal XVI secolo, con l'avvento dei missionari, in modo particolare i Gesuiti (va ricordata la grande figura di Padre Matteo Ricci), che il Cristianesimo fu visto come una realtà che non si opponeva ai più alti valori delle tradizioni del popolo cinese, né si sovrapponeva ad essi, ma li arricchiva di una nuova luce e dimensione, a tal punto che la qualità della vita religiosa di questi missionari fu ciò che indusse non poche persone di alto livello a sentire il bisogno di conoscere meglio lo spirito evangelico che li animava e, quindi, di essere istruiti nei riguardi della religione cristiana: il che fu fatto in maniera confacente alle loro caratteristiche culturali e al modo di pensare. Così alla fine del XVI secolo ed all'inizio del XVII, numerosi furono coloro che, una volta ottenuta la dovuta preparazione, chiesero il battesimo e divennero ferventi cristiani, sempre mantenendo con giusta fierezza la loro identità di cinesi e la loro cultura. In quegli anni l'azione missionaria e la diffusione del messaggio evangelico si svilupparono notevolmente e molti furono i cinesi che, attratti dalla luce di Cristo, domandarono di poter ricevere il battesimo.
Fu l'imperatore K'ang Hsi a preparare il terreno alla persecuzione (fortemente influenzata da quella del vicino Giappone) dove più dove meno, aperta o subdola, violenta o velata, che praticamente si estese con successive ondate dalla prima decade del secolo XVII a circa la metà del secolo XIX, uccidendo missionari e fedeli laici e distruggendo non poche chiese.
Il 15 gennaio 1648 i Tartari Manciù, avendo invaso la regione del Fujian e dimostrandosi ostili alla religione cristiana, uccisero il Beato Francesco Fernández de Capillas, sacerdote dell'Ordine dei Frati Predicatori. Dopo averlo imprigionato e torturato, lo decapitarono mentre recitava con altri i misteri dolorosi del Rosario.
Il Beato Francesco Fernández de Capillas è stato riconosciuto dalla Santa Sede come Protomartire della Cina.
Mentre il cattolicesimo era stato autorizzato da alcuni Imperatori dei secoli precedenti, l'Imperatore Kia-Kin (1796-1821) pubblicò invece numerosi e severi decreti contro di esso. Il primo risale al 1805; due editti del 1811 erano diretti contro coloro che, fra i cinesi, studiavano per ricevere gli ordini sacri e contro i sacerdoti propagatori della religione cristiana. Un decreto del 1813 esonerava da ogni castigo gli apostati volontari, cioè i Cristiani che dichiaravano spontaneamente di abbandonare la fede cristiana, però colpiva tutti gli altri.
In questo periodo subì il martirio il Beato Pietro Wu, laico catechista, cinese. Nato da famiglia pagana, ricevette il battesimo nel 1796 e passò il restante della sua vita annunziando la verità della religione cristiana. Tutti i tentativi per farlo apostatare furono vani. Emessa la sentenza di morte contro di lui, fu strangolato il 7 novembre 1814.
Si apriva, in terra cinese, il crudele periodo di persecuzione 'in odium fidei', che ha fatto numerosissimi martiri.
Oggi vengono ricordati coloro che sono stati uccisi a partire dal 1648 fino al 1930 in diversi luoghi della Cina. 
Tutti i nomi qui

Oggi la Santa Chiesa ricorda anche santa Veronica Giuliani, della quale ho scritto qui

sabato 7 luglio 2012

Beato Oddino Barotti

Oddino di nobile famiglia, nasce a Fossano in provincia di Cuneo, il 7 luglio 1344, nella odierna via Garibaldi nr 5, da Giacomo e Caterina. A 20 anni diviene canonico della Collegiata di Santa Maria e San Giovenale, ancora prima di essere ordinato sacerdote. La Collegiata diventerà Cattedrale con la creazione della Diocesi di Fossano nel 1582. A 24 anni viene ordinato sacerdote e assegnato alla parrocchia di san Giovanni. Dopo qualche tempo, essendo resasi vacante la dignità di prevosto della Collegiata viene scelto per ricoprire l'incarico di prevosto, ma dopo un pò di tempo Oddino decide di partire per la Terra Santa, in pellegrinaggio. Il viaggio ebbe a protrarsi ben oltre il previsto perché Oddino fu imprigionato dai Turchi e soffrì non poche sofferenze. Liberato torna a Fossano. Moltiplica le preghiere, le penitenze, le mortificazioni e le opere di carità. Il suo ideale francescano (diventerà anche terziario) lo spinge a vivere la povertà e la carità fino all'estrema rinuncia  delle sue necessità primarie.  Trascorre lunghe ore in meditazione davanti al crocifisso, vive poveramente, privandosi anche del necessario. Mangia pochissimo, lo stretto necessario per sopravvivere: un pò di pane e qualche verdura; si occupa dei malati (getta le basi per la costruzione dell'ospedale), dei bisognosi, dei poveri, costruisce un ospedaletto per i lebbrosi. Nel 1395 viene chiamato di nuovo a ricoprire l'incarico di prevosto della Collegiata, e trovandola in cattivo stato, si occupa di farla restaurare. Durante questi lavori i suoi contemporanei sono spettatori di cose prodigiose: il muratore che cade dall’impalcatura della torre campanaria ed è dato per morto, si alza senza un graffio e torna subito al lavoro non appena egli lo prende per mano; il carro stracarico, sprofondato nella melma, riparte dopo una sua semplice benedizione.  Oddino è l'orgoglio di tutti i suoi concittadini, non si risparmia fatiche e preghiere per venire incontro ad ogni necessità e bisogno. Sul finire del 1399, proprio quando in città la peste miete numerose vittime, Oddino si prodiga nell'assistere gli appestati restandone contagiato. Così, il 7 luglio del 1400, muore di peste all'età di 56 anni. Oddino viene sepolto nella Collegiata, presso il primo altare di sinistra, dove ancora oggi possiamo sostare in preghiera davanti alla sua urna, dove incorrotto attende la risurrezione del corpo. Papa Pio VII lo proclamerà beato nel 1808.   


Entrambi gli affreschi che raffigurano il beato Oddino si possono ammirare nella cattedrale di Fossano.  

venerdì 6 luglio 2012

Santa Maria Goretti

 
Nacque il 16 ottobre 1890 a Corinaldo (AN).
Non esitò a donare la vita per non perdere la purezza verginale.
Prima di morire, il 6 luglio 1902, perdonò il suo aggressore Alessandro Serenelli, che per l'omicidio scontò 30 anni di carcere. Egli passò il resto della sua vita in un convento.
Ecco il suo testamento spirituale:

'Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia prima giovinezza infilai una strada falsa: la via del male che mi condusse alla rovina. Vedevo attraverso la stampa, gli spettacoli e i cattivi esempi che la maggior parte dei giovani segue quella via, senza darsi pensiero: ed io pure non me ne preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta che mi sospingeva per una strada cattiva. Consumai a vent’anni il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo. Maria Goretti, ora santa, fu l’angelo buono che la Provvidenza aveva messo avanti ai miei passi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per me, suo uccisore. Seguirono trent’anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata; rassegnato espiai la mia colpa. Maria fu veramente la mia luce, la mia Protettrice; col suo aiuto mi diportai bene e cercai di vivere onestamente, quando la società mi riaccettò tra i suoi membri. I figli di San Francesco, i Minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto fra loro non come un servo, ma come fratello. Con loro vivo dal 1936.

Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore e alla sua cara mamma, Assunta. Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene, sempre, fin da fanciulli. Pensino che la religione coi suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, la unica via sicura in tutte le circostanze, anche le più dolorose della vita.'

Pace e bene!
Alessandro Serenelli



giovedì 5 luglio 2012

Sant' Antonio Maria Zaccaria, sacerdote

Antonio nasce a Cremona nel 1502, rimane orfano di padre a pochi mesi dalla nascita; la mamma ha solo 18 anni e nonostante la sua giovane età cresce il figlioletto nella fede, con amore, coraggio e tenerezza, insegnandogli la carità verso i poveri. Antonio studia a Pavia e si laurea in Medicina. Tornato a Cremona si occupa non solo della salute del corpo ma anche di quella dell'anima e, infatti, dopo aver curato, quasi sempre gratuitamente, i suoi malati,  raccoglie i ragazzi della città nella chiesa di san Vito ed insegna loro il catechismo della fede cattolica. Antonio Maria studia teologia e nel 1528 viene ordinato sacerdote. Sono gli anni in cui imperversa la crisi dello scisma protestante ed Antonio comprende che bisogna porvi rimedio con ogni mezzo e soprattutto preparando il clero ad essere più pronto e fervente, così a Milano fonda la 'Società del Clero di san Paolo' e poichè si riunivano nella chiesa di san Barnaba si chiamarono 'Barnabiti'. Inoltre si fa promotore della nascita di altre due realtà religiose: le 'Angeliche di san Paolo' primo esempio di suore che vivono fuori dalla clausura, e i 'Maritati di san Paolo' laici sposati che affiancano i sacerdoti nel loro ministero. A causa delle sue idee innovative viene denunciato come eretico, e chiamato a Roma, supera brillantemente due processi con assoluzione piena!  Antonio vivrà solo fino a 36 anni, spenderà tutta la sua giovane vita nella predicazione, nell'assistenza ai poveri e agli ammalati, nell'istruzione dei giovani, nella devozione alla Santa Eucaristia, istituendo le Quarantore pubbliche che prevedono l'esposizione del SS. Sacramento. Nel 1536, gravemente ammalato, torna a casa a Cremona dalla madre. Muore il 5 luglio 1538, nella casa dov'è nato, è stato allevato ed amato da una mamma giovane, forte e coraggiosa. Il suo corpo è stato traslato nel 1891 nella chiesa di san Barnaba a Milano. Viene proclamato santo nel 1897.

mercoledì 4 luglio 2012

Santa Elisabetta del Portogallo, Regina

Elisabetta nasce a Saragozza (Spagna) nel 1271. Suo Padre è il Re di Spagna Pietro III d'Aragona, la madre è figlia di Manfredi, successo nel Regno di Sicilia, al padre, l'Imperatore Federico II. Al battesimo le viene imposto il nome della santa prozia la Regina Elisabetta d'Ungheria. Elisabetta cresce in fretta, ad otto anni, recita l'ufficio divino, si mortifica, digiuna e compie opere di carità. A soli dodici anni viene data in sposa a Dionisio, Re del Portogallo. Alla corte della Casa Reale, pur non trascurando i doveri del suo stato, continua la sua intensa vita di fede. Nel 1290 nasce Costanza, la prima figlia che andrà in sposa a Ferdinando IV di Castiglia. L'anno dopo nasce l'erede al trono Alfonso IV. Il matrimonio di Elisabetta fu molto travagliato a causa delle continue infedeltà del marito, che ella sopporta con grande coraggio e forza, non venendo mai meno alla sua opera come pacificatrice in famiglia e consigliera del marito stesso, riuscendo a smorzare le tensioni tra Aragona, Portogallo e Spagna. Dionisio si converte dalla sua cattiva condotta e trascorre gli ultimi anni della sua vita accanto alla sua santa sposa, che neanche le calunnie contro di lei per presunta infedeltà coniugale avevano potuto distrarla dal suo amore e rispetto dovuti allo sposo. Nel 1325 Dionisio muore ed Elisabetta  rinuncia al mondo, si taglia i capelli, e veste l'abito del terz'ordine Francescano e si reca pellegrina a San Giacomo de Compostela. In suffragio del re defunto, offre al santuario la corona d'oro che aveva portato il giorno del matrimonio, con altri ricchissimi doni. Il vescovo della città le dona in cambio un bastone di pellegrino e una borsa che la santa  porterà con sé nella tomba. Rientrata a corte fa fondere le sue argenterie a favore delle chiese, divide i diademi e le altre insegne regali tra la sovrana Beatrice e le sue nipoti e, a Coimbra, fa terminare la costruzione del monastero di Santa Chiara. In esso intendeva terminare la vita, ma ne fu distolta da savi sacerdoti, per ragioni di Stato e per non privare tanti bisognosi dei suoi aiuti. Elisabetta si accontentò di portare sempre l'abito della penitenza e di fare costruire presso il monastero un appartamento che le consentisse, con il permesso della Santa Sede, di ritirarvisi sovente a pregare, a conversare e a pranzare con le religiose. 
Muore il 4 luglio 1336 dopo che la Vergine Maria le era apparsa. Viene canonizzata il 24 giugno 1626 da Papa Urbano VIII. 
Il suo corpo incorrotto si trova a Coimbra nella chiesa della Clarisse.     


OGGI LA SANTA CHIESA RICORDA ANCHE IL BEATO PIER GIORGIO FRASSATI CHE TROVATE QUI

Beato Pier Giorgio Frassati

Nasce a Torino il 6 aprile 1901. Suo padre, Alfredo, è un affermato giornalista, proprietario del quotidiano 'La Stampa', la mamma, Adelaide Ametis, una pittrice. Entrambi vivono una vita di famiglia improntata sull'apparenza, chiusa alla luce della fede, più preoccupati del benessere materiale che di quello spirituale. Pier Giorgio nonostante la sterilità della vita familiare, vive un'intensa quotidianità intessuta nella fede, nella preghiera e nella carità. Va a Messa e si comunica ogni giorno, a 21 anni entra nel Terz'Ordine Domenicano, e si iscrive all'Azione Cattolica. Spesso è in disaccordo con i suoi genitori che non comprendono quel figlio così diverso da loro. Si iscrive alla Facoltà di Ingegneria, ma è confuso, pensa di farsi sacerdote, non riesce a capire il disegno di Dio sulla sua vita. Nell’ultimo anno della sua vita Pier Giorgio s’innamora di una ragazza, Laura Hidalgo, laureata in matematica e considerata da casa Frassati socialmente non all’altezza del nome di Pier Giorgio. Quell’esperienza lo segna fortemente. Quando la sorella Luciana si sposa per Pier Giorgio è un duro colpo, resta da solo nella casa delle discordie. La sua proverbiale allegria lo abbandona nell’ultima parte della sua esistenza, quando appare quasi presago della fine prematura. Viene meno quel suo spirito perennemente sereno a motivo di una serie di condizionamenti che sembrano preoccuparlo: l’amore per Laura Hidalgo, la volontà paterna di integrarlo nell’amministrazione de La Stampa, il timore dolorosissimo di una possibile separazione fra gli amati genitori, la cui convivenza è sempre più difficile. Un giorno, ad un amico che gli aveva domandato che cosa avrebbe voluto fare dopo gli studi, lui rispose: "Non lo so: sacerdote no, perché è una missione troppo grande e non ne sono degno; il matrimonio no. L’unica soluzione sarebbe quella che il Signore mi prendesse con sé".
E il Signore lo prende con sè: la morte lo coglie rapidissima. Viene colpito dalla poliomielite fulminante. Sei giorni appena per corrodere quel fisico sano e forte di 24 anni. Ancora una volta la famiglia non lo comprende: tutti sono attenti all’agonia dell’anziana nonna Ametis, non accorgendosi della gravità del suo male. Non un lamento uscirà dalla sua bocca, non una richiesta.
"Il giorno della mia morte sarà il più bello della mia vita", aveva detto ad un amico.
Quel giorno arrivò il 4 luglio 1925.
Alfredo Frassati è distrutto dal dolore, di fronte alla bara del figlio “ribelle”, alla quale rendono omaggio, con suo sconcerto, migliaia e migliaia di persone e di poveri della Torino semplice e umile. Quattro giorni dopo la morte del figlio, Alfredo scrive a sua madre, Giuseppina Frassati, una lettera colma di strazio, un tormento che perdurerà ancora 36 anni, fino alla sua morte: "Giorgio era un santo, oggi lo riconoscono tutti… L'impressione per la sua morte qui a Torino è stata pari alla sua bontà. Mai si è visto una folla unanime cantare le lodi di un morto. Ma il povero Pier Giorgio non c'è più e la mia vita è finita. Avevo troppo nel mondo: fino a 57 anni ho avuto tutto. Ora sono il più povero dei poveri. Mendico nel mondo, nessuno può darmi anche la minima parte di quello che mi fu tolto".
La morte di Pier Giorgio aprì gli occhi al padre e alla madre, la quale si occupò di raccogliere le prime testimonianze sul figlio e collaborò con il salesiano don Antonio Cojazzi, che era stato insegnante di Pier Giorgio, per la stesura della prima biografia sul beato, pubblicata nel 1928. Il primo miracolo di Pier Giorgio è stato la conversione dei suoi genitori.  

Giovanni Paolo II lo chiamò l'uomo delle otto beatitudini e lo beatificò il 20 maggio 1990.
Nell'Omelia alla Messa di beatificazione disse:
"Certo, a uno sguardo superficiale, lo stile di Pier Giorgio Frassati, un giovane moderno pieno di vita, non presenta granché di straordinario. Ma proprio questa è l’originalità della sua virtù, che invita a riflettere e che spinge all’imitazione. In lui la fede e gli avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente, tanto che l’adesione al Vangelo si traduce in attenzione amorosa ai poveri e ai bisognosi, in un crescendo continuo sino agli ultimi giorni della malattia che lo porterà alla morte. Il gusto del bello e dell’arte, la passione per lo sport e per la montagna, l’attenzione ai problemi della società non gli impediscono il rapporto costante con l’Assoluto.
Tutta immersa nel mistero di Dio e tutta dedita al costante servizio del prossimo: così si può riassumere la sua giornata terrena!"
Tutta l'omelia qui


"...ogni giorno m'innamoro sempre più delle montagne e vorrei, se i miei studi me lo permettessero, passare intere giornate a contemplare in quell'aria pura la grandezza del Creatore...".

«Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere, ma vivacchiare».(PierGiorgio Frassati)

OGGI LA SANTA CHIESA RICORDA ANCHE SANTA ELISABETTA DEL PORTOGALLO, REGINA, CHE TROVATE QUI

martedì 3 luglio 2012

San Tommaso, apostolo


Di Tommaso non sappiamo molto, nè il luogo di nascita, nè la sua storia precedente all'incontro con Gesù Cristo. Egli è uno dei Dodici scelti da Gesù. La sua voce nel Vangelo si fa sentire poche volte. Nonostante questo, egli è colui che ricordiamo bene perchè, non credendo alla risurrezione di Gesù, come attestavano gli altri apostoli e i discepoli, disse di voler mettere il dito nelle piaghe provocate dai chiodi per poter credere: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo" (Gv 20, 25). Quando il Signore otto giorni dopo apparve di nuovo c'era anche Tommaso e gli disse: "Metti qui il tuo dito......" Tommaso sopraffatto dalla commozione gli rispose: "Mio Signore e mio Dio!".
Di Tommaso si ritiene che abbia portato la fede ai popoli dell'India, ma se ne ignora la data ed il luogo della morte.