MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

venerdì 30 novembre 2012

Sant'Andrea, apostolo

 
Nasce a Bethsaida di Galilea - muore a Patrasso (Grecia), ca. 60 dopo Cristo
All’apostolo Andrea spetta il titolo di 'Primo chiamato'. Ed è commovente il fatto che, nel Vangelo, sia perfino annotata l’ora («le quattro del pomeriggio») del suo primo incontro e primo appuntamento con Gesù. Fu poi Andrea a comunicare al fratello Pietro la scoperta del Messia e a condurlo in fretta da Lui.
La sua presenza è sottolineata in modo particolare nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Sappiamo inoltre che, proprio ad Andrea, si rivolsero dei greci che volevano conoscere Gesù, ed egli li condusse al Divino Maestro. Su di lui non abbiamo altre notizie certe, anche se, nei secoli successivi, vennero divulgati degli Atti che lo riguardano, ma che hanno scarsa attendibilità. Secondo gli antichi scrittori cristiani, l’apostolo
Andrea avrebbe evangelizzato l’Asia minore e le regioni lungo il mar Nero, giungendo fino al Volga. È perciò onorato come patrono in Romania, Ucraina e Russia.
Commovente è la 'passione' – anch’essa tardiva – che racconta la morte dell’apostolo, che sarebbe avvenuta a Patrasso, in Acaia: condannato al supplizio della croce, egli stesso avrebbe chiesto d’essere appeso a una croce particolare fatta ad X (croce che da allora porta il suo nome) e che evoca, nella sua stessa forma, l’iniziale greca del nome di Cristo. La Legenda aurea riferisce che Andrea andò incontro alla sua croce con questa splendida invocazione sulle labbra: «Salve Croce, santificata dal corpo di Gesù e impreziosita dalle gemme del suo sangue… Vengo
a te pieno di sicurezza e di gioia, affinché tu riceva il discepolo di Colui che su di te è morto. Croce buona, a lungo desiderata, che le membra del Signore hanno rivestito di tanta bellezza! Da sempre io ti ho amata e ho desiderato di abbracciarti… Accoglimi e portami dal mio Maestro». (tratto da www.santiebeati.it)
 
Dalle "Omelie sul vangelo di Giovanni" di San Giovanni Crisostomo, vescovo

Andrea, dopo essere stato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sè il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: ' Abbiamo trovato il Messia' (Gv 1,41). Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e dall'altra rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento.

Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia.

Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo, mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale. (....)

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Mi piace sottolineare le parole di San Giovanni Crisostomo circa l'attesa di Andrea e la premura di andare a chiamare suo fratello, Pietro. Ben si colloca il suo giorno di festa all'inizio dell'avvento, proprio per ricordarci che anche noi dobbiamo restare col cuore attento, in attesa del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo. Un' attesa colma di gioia, perchè Dio desidera venire in mezzo a noi per redimerci e santificarci. Andrea dopo aver incontrato Gesù corre a chiamare suo fratello Pietro, per partecipargli la sua stessa gioia, il suo stesso incontro. San Giovanni Crisostomo parla di 'tesoro', di 'ricchezza'. Quale accostamento più illuminante!Gesù è IL TESORO, LA PERLA della Sacra Scrittura. Gesù è IL TESORO più prezioso del Padre, è IL TESORO di tutto il Cielo! Dio Padre ed il Cielo si sono privati di questo tesoro per donarlo a noi! Gesù è il dono più prezioso che Dio Creatore potesse elargire all'intera umanità! Gesù è un dono che va donato! Va accolto a braccia spalancate e a piene mani.

giovedì 22 novembre 2012

Santa Cecilia


Riguardo a Cecilia, venerata come martire e onorata come patrona dei musicisti, è difficile reperire dati storici completi ma a sostenerne l'importanza è la certezza storica dell'antichità del suo culto. Due i fatti accertati: il «titolo» basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all'anno 313, cioè all'età di Costantino; la festa della santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell'anno 545. Sembra inoltre che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d'onore, accanto alla cosiddetta «Cripta dei Papi», trasferita poi da Pasquale I nella cripta della basilica trasteverina. La famosa «Passio», un testo più letterario che storico, attribuisce a Cecilia una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa. (Avvenire). Alla fine del '500, il sarcofago venne aperto, e il corpo della Santa apparve in eccezionale stato di conservazione, avvolto in un abito di seta e d'oro. Il Maderna scolpì allora la celebre statua in marmo, a fedele riproduzione - così si disse - dell'aspetto e della posizione del corpo dell'antica Martire.

 

mercoledì 21 novembre 2012

Presentazione della Beata Vergine Maria

La Vergine Maria, nel suo candore di bambina, si consacra al suo Signore, si dona a Lui. Oggi la Chiesa Cattolica ricorda quest'offerta. Nessun libro sacro ne parla espressamente, ma la Divina Parola ne contiene tutti i simboli. Maria è il giardino fiorito dove tutti i fiori del Paradiso sono contenuti. Maria è la culla santa dove il Creatore ha dormito i suoi sonni di neonato.
Oggi è la giornata detta anche 'PRO ORANTIBUS ( ne parlo qui)

Oggi l'Arma dei Carabinieri festeggia la sua patrona la Vergine Maria chiamata con il titolo di 'Virgo Fidelis'.

sabato 17 novembre 2012

Santa Elisabetta d'Ungheria

 


Elisabetta nasce a Bratislava ( Capitale del Regno d'Ungheria ) nel 1207. E' figlia di Andrea II Re d'Ungheria e di Gertrude. A 14 anni va in sposa a Ludovico IV dei Duchi di Turingia di anni 20. Il loro è un matrimonio felice, allietato dalla nascita di tre figli, Ermanno, Sofia e Gertrude, che nasce già orfana, perchè il Duca Ludovico muore a 27 anni l' 11 settembre 1227 ad Otranto durante la sesta Crociata. Elisabetta rimane vedova a soli 20 anni, i cognati le tolgono i figli, la allontanano dal Castello di Wartburg, così si trasferisce a Marburg ( Germania) , entra nel Terz' Ordine Francescano, si riduce volontariamente in povertà, costruendo, con i suoi beni, un ospedale, dove ella stessa si dedica alla cura degli ammalati. Muore a soli 24 anni il 17 novembre 1231. Viene proclamata santa da Papa Gregorio IX nel 1235. E' una della mie sante preferite. Magnifico esempio di sposa e madre.


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 20 ottobre 2010





Santa Elisabetta d’Ungheria

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di una delle donne del Medioevo che ha suscitato maggiore ammirazione; si tratta di santa Elisabetta d’Ungheria, chiamata anche Elisabetta di Turingia.

Nacque nel 1207; gli storici discutono sul luogo. Suo padre era Andrea II, ricco e potente re di Ungheria, il quale, per rafforzare i legami politici, aveva sposato la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Merania, sorella di santa Edvige, la quale era moglie del duca di Slesia. Elisabetta visse nella Corte ungherese solo i primi quattro anni della sua infanzia, assieme a una sorella e tre fratelli. Amava il gioco, la musica e la danza; recitava con fedeltà le sue preghiere e mostrava già particolare attenzione verso i poveri, che aiutava con una buona parola o con un gesto affettuoso.

La sua fanciullezza felice fu bruscamente interrotta quando, dalla lontana Turingia, giunsero dei cavalieri per portarla nella sua nuova sede in Germania centrale. Secondo i costumi di quel tempo, infatti, suo padre aveva stabilito che Elisabetta diventasse principessa di Turingia. Il langravio o conte di quella regione era uno dei sovrani più ricchi ed influenti d’Europa all’inizio del XIII secolo, e il suo castello era centro di magnificenza e di cultura. Ma dietro le feste e l’apparente gloria si nascondevano le ambizioni dei principi feudali, spesso in guerra tra di loro e in conflitto con le autorità reali ed imperiali. In questo contesto, il langravio Hermann accolse ben volentieri il fidanzamento tra suo figlio Ludovico e la principessa ungherese. Elisabetta partì dalla sua patria con una ricca dote e un grande seguito, comprese le sue ancelle personali, due delle quali le rimarranno amiche fedeli fino alla fine. Sono loro che ci hanno lasciato preziose informazioni sull’infanzia e sulla vita della Santa.

Dopo un lungo viaggio giunsero ad Eisenach, per salire poi alla fortezza di Wartburg, il massiccio castello sopra la città. Qui si celebrò il fidanzamento tra Ludovico ed Elisabetta. Negli anni successivi, mentre Ludovico imparava il mestiere di cavaliere, Elisabetta e le sue compagne studiavano tedesco, francese, latino, musica, letteratura e ricamo. Nonostante il fatto che il fidanzamento fosse stato deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero, animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di Dio. All’età di 18 anni, Ludovico, dopo la morte del padre, iniziò a regnare sulla Turingia. Elisabetta divenne però oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva alla vita di corte. Così anche la celebrazione del matrimonio non fu sfarzosa e le spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi. Una volta, entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?”. Come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. Tra i Detti delle quattro ancelle troviamo questa testimonianza: “Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza” (nn. 25 e 37). Un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l’esercizio dell’autorità, ad ogni livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune.

Elisabetta praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. Consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri. Questo comportamento fu riferito al marito, il quale non solo non ne fu dispiaciuto, ma rispose agli accusatori: “Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!”. In questo contesto si colloca il miracolo del pane trasformato in rose: mentre Elisabetta andava per la strada con il suo grembiule pieno di pane per i poveri, incontrò il marito che le chiese cosa stesse portando. Lei aprì il grembiule e, invece del pane, comparvero magnifiche rose. Questo simbolo di carità è presente molte volte nelle raffigurazioni di santa Elisabetta.

Il suo fu un matrimonio profondamente felice: Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose. Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi alla sua attenzione verso i poveri, le disse: “Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura”. Una chiara testimonianza di come la fede e l’amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l’unione matrimoniale.

La giovane coppia trovò appoggio spirituale nei Frati Minori, che, dal 1222, si diffusero in Turingia. Tra di essi Elisabetta scelse frate Ruggero (Rüdiger) come direttore spirituale. Quando egli le raccontò la vicenda della conversione del giovane e ricco mercante Francesco d’Assisi, Elisabetta si entusiasmò ulteriormente nel suo cammino di vita cristiana. Da quel momento, fu ancora più decisa nel seguire Cristo povero e crocifisso, presente nei poveri. Anche quando nacque il primo figlio, seguito poi da altri due, la nostra Santa non tralasciò mai le sue opere di carità. Aiutò inoltre i Frati Minori a costruire ad Halberstadt un convento, di cui frate Ruggero divenne il superiore. La direzione spirituale di Elisabetta passò, così, a Corrado di Marburgo.

Una dura prova fu l’addio al marito, a fine giugno del 1227 quando Ludovico IV si associò alla crociata dell’imperatore Federico II, ricordando alla sposa che quella era una tradizione per i sovrani di Turingia. Elisabetta rispose: “Non ti tratterrò. Ho dato tutta me stessa a Dio ed ora devo dare anche te”. La febbre, però, decimò le truppe e Ludovico stesso cadde malato e morì ad Otranto, prima di imbarcarsi, nel settembre 1227, all’età di ventisette anni. Elisabetta, appresa la notizia, ne fu così addolorata che si ritirò in solitudine, ma poi, fortificata dalla preghiera e consolata dalla speranza di rivederlo in Cielo, ricominciò ad interessarsi degli affari del regno. La attendeva, tuttavia, un’altra prova: suo cognato usurpò il governo della Turingia, dichiarandosi vero erede di Ludovico e accusando Elisabetta di essere una pia donna incompetente nel governare. La giovane vedova, con i tre figli, fu cacciata dal castello di Wartburg e si mise alla ricerca di un luogo dove rifugiarsi. Solo due delle sue ancelle le rimasero vicino, la accompagnarono e affidarono i tre bambini alle cure degli amici di Ludovico. Peregrinando per i villaggi, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all’inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo, dove abitava anche il suo direttore spirituale Corrado. Fu lui a riferire al Papa Gregorio IX il seguente fatto: “Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti. Avendola io rimproverata su queste cose, Elisabetta rispose che dai poveri riceveva una speciale grazia ed umiltà” (Epistula magistri Conradi, 14-17).

Possiamo scorgere in quest’affermazione una certa esperienza mistica simile a quella vissuta da san Francesco: il Poverello di Assisi dichiarò, infatti, nel suo testamento, che, servendo i lebbrosi, quello che prima gli era amaro fu tramutato in dolcezza dell’anima e del corpo (Testamentum, 1-3). Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell’ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi. Cercava sempre di svolgere i servizi più umili e lavori ripugnanti. Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo (soror in saeculo) e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare.

Nel novembre del 1231 fu colpita da forti febbri. Quando la notizia della sua malattia si propagò, moltissima gente accorse a vederla. Dopo una decina di giorni, chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio. Nella notte del 17 novembre si addormentò dolcemente nel Signore. Le testimonianze sulla sua santità furono tante e tali che, solo quattro anni più tardi, il Papa Gregorio IX la proclamò Santa e, nello stesso anno, fu consacrata la bella chiesa costruita in suo onore a Marburgo.

Cari fratelli e sorelle, nella figura di santa Elisabetta vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a riscoprire Cristo, ad amarLo, ad avere la fede e così trovare la vera giustizia e l'amore, come pure la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino, nella gioia dell'eternità con Dio.





(Tratto da sito ufficiale della Santa Sede)




Mi piace segnalare anche questa biografia tratta dal sito di radici cristiane

Santa Elisabetta d'Ungheria, luminoso esempio di santità francescana

La ricorrenza dell’VIII centenario della nascita di santa Elisabetta d’Ungheria e di Turingia (1207-1231) offre l’opportunità di ripercorrere l’itinerario temporale e spirituale di una delle maggiori figure del Terzo Ordine francescano, che giustamente la venera come sua Patrona. Le manifestazioni previste per il suo anno giubilare, dal 17 novembre 2006 al 17 novembre 2007, dovrebbero servire anche a divulgare il suo messaggio, che è alla base della spiritualità del Terzo Ordine francescano: uniformità alla volontà di Dio mediante l’attuazione delle opere di misericordia corporale. Modello più attuale che mai, perché l’uomo oggi in genere si illude di poter risolvere i problemi sociali e temporali prescindendo dalla sfera superiore, quella spirituale e divina.

di Alberto Carosa









Autentica opzione per i poveri
Figlia di Andrea II, potente re d’Ungheria, Galizia e Lodomeria, Elisabetta nacque nel 1207 a Pozsony, odierna Bratislava, sul Danubio. Fin dalla tenera età la maggiore gioia di Elisabetta era fare l’elemosina per alleviare le sofferenze dei poveri.

Il padre, per rinforzare i legami politici, sposò la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Meran, discendente di Carlo Magno e la cui sorella, Hedwig, fu proclamata Santa. Sempre per ragioni politiche, il padre stabilì che Elisabetta sarebbe diventata Duchessa di Turingia, andando in sposa al giovane figlio Ludovico di Ermanno I, Langravio di Turingia, regione della Germania orientale, che dal suo storico castello di Wartburg signoreggiava su uno dei reami più ricchi ed influenti di tutta Europa al principio del XIII secolo.
Questa unione era stata preceduta dalla sbalorditiva profezia di un famoso sapiente dell’epoca. “Vedo una stella sorgere a oriente”, disse in trance, “è così bella che sparge i suoi raggi per tutto il mondo (…) Sappiate che questa notte è nata una figliuola al Re d’Ungheria, il cui nome sarà Elisabetta, verrà data in sposa al figlio del vostro principe Ermanno e sarà santa”.
A soli quattro anni Elisabetta si trasferì nella reggia del futuro marito, ma fin dal principio disprezzò le vanità, desiderando invece con tutto il cuore di ricevere subito Gesù Cristo nella Santa Comunione, senza aspettare i 12 anni, secondo tradizione. Solo a Guda, la sua più cara amica, confidò che Gesù si era mostrato a lei molte volte nell’Eucaristia e nella povertà.
Un giorno, mentre distribuiva il cibo al cancello del castello, vide Gesù tra i mendicanti. Lui toccò quelli intorno ed i loro volti cambiarono in Lui, mostrandole che poteva vederlo nei poveri e negli ammalati. Questa sua particolare “opzione per i poveri” causò un tumulto a corte, dove cominciò ad essere accusata di essere troppo santa per il troppo tempo passato in preghiera.

Miracoli sulle orme di San Francesco
Ad un certo puntò sembrò che l’alleanza ungherese non fosse così promettente e si cominciò a riconsiderare la scelta di Elisabetta, ma Ludovico fu perentorio in suo favore e mise a tacere tutte le malelingue: “Mi è cara più di ogni altra cosa sulla terra e non avrò nessun’altra come sposa se non lei”.
Finalmente, nel 1221, si sposarono. Si dice che Ludovico fosse il ritratto perfetto del cavaliere medievale, «alto, ben proporzionato, affascinante, attirava chiunque gli si avvicinasse, abile nei discorsi, prode ed intrepido». Ma fu Elisabetta ad elevare queste qualità ad un livello soprannaturale, insegnandogli ad agire per amore di Dio. Lei aveva quattordici anni mentre lui ne aveva ventuno. Nel suo nuovo status di sovrana, Elisabetta prese a moltiplicare le attività caritative verso i suoi sudditi.
Una notte apparve a castello nell’abito grigio dei Frati Minori un trovatore tedesco, che parlò del “povero piccolo ricco uomo” Francesco e del suo nuovo ordine. Elisabetta ne fu impressionata e desiderò diventare una seguace di San Francesco. Capì che la sua strada era aiutare i poveri e, perfetto modello di Carità, usò i molti mezzi per pagare debiti, comprare cibo e vestiti e per prendersi cura dei morti, ripulendoli e seppellendoli.
Si mortificava spesso alzandosi nella notte per pregare al lato del letto. Allora Ludwig le stringeva le fredde mani dicendole: “Risparmiati, piccola sorella”. Una volta la incontrò con il suo grembiule pieno di pane per i poveri. Quando le chiese cosa stesse portando, lei lasciò cadere il grembiule… ed invece di pane comparvero magnifiche e fresche rose...
Un’altra volta vennero a farle visita alcuni nobili ungheresi, anche per riferire a Re Andrea della situazione della figlia. Elisabetta, che aveva appena dato via i suoi bellissimi abiti, era stata tutto il giorno a distribuire elemosina ed indossava una grezza camicia di lana.
Vedendo la preoccupazione di Ludwig, disse: “Non mi sono mai vantata di ciò che indossavo. Ma parlerò di ciò con Dio, cosicché possa darsi che non notino i miei vestiti”. Quando entrò nella sala, gli ungheresi la guardarono compiaciuti poiché “i suoi abiti erano di seta, giacinto e brillavano con una rugiada di perle!” Successivamente, quando Ludwig la interrogò, lei rispose dolcemente: “Quando piace a Dio, Lui sa il modo per fare tali cose”.
In quegli anni i Frati Minori giunsero in Germania con il loro appello a tutti i cristiani di praticare la carità. Elisabetta e Ludwig gli fecero costruire una cappella al loro castello e in segno di gratitudine Francesco le mandò il suo logoro mantello, che lei custodì come uno dei più grandi tesori. In risposta alle sue preghiere, uno dei frati divenne suo maestro spirituale: così lei si avvicinò sempre di più a Gesù, la cui Passione era la sua devozione primaria e la fonte della sua forza.

“Rinunciare alla tua volontà”
Nel 1222, mentre il marito era assente, le nacque il primo figlio. Ora la preoccupazione che questo figlio potesse essere un legame verso la terra, tenendo il suo cuore lontano da Dio, la ossessionava, ma il suo confessore le disse: “Il tuo dovere ora è verso tuo figlio… Dio si rallegra se ognuno pratica la virtù secondo la sua posizione di vita. Tu sei una sovrana, una moglie ed una madre. È molto difficile, ma non impossibile praticare la povertà pur essendo un ricco sovrano. Ma tu potrai praticare altre virtù come la pazienza, l’umiltà e la carità così come fai ora. Potrebbe essere la volontà di Dio che tu rimanga così come sei. La tua più grande offerta potrebbe essere rinunciare alla tua volontà”. E così divenne una vera seguace di San Francesco.
Ludwig si accorse che non aveva a che fare con una donna comune, e qualche volta i suoi miracoli lo spaventavano. Scrisse al Papa per chiedere un direttore spirituale per lei e venne inviato Padre Conrad. Ma prima del suo arrivo nacque un altro figlio, questa volta una bambina.
Il nuovo confessore di Elisabetta provò ad essere aspro e severo. Col permesso di Ludwig, Elisabetta promise a Padre Conrad che gli avrebbe obbedito in tutto tranne in ciò che riguardava i suoi obblighi matrimoniali. Fece anche il voto di osservare la castità perpetua nel caso in cui fosse divenuta vedova. Padre Conrad rivelò, dopo la morte di Elisabetta, che nel momento in cui fece questo voto, Dio gli permise di vedere la radiosità della sua anima in tutta la sua bellezza.
L’inverno 1225 fu uno dei peggiori a causa di allagamenti, carestia, peste e vaiolo. Ludwig era fuori al servizio dell’Imperatore, lasciando così nelle mani di Elisabetta, che aveva solo 19 anni, la responsabilità del reame.
Quando i contadini presero d’assalto il castello di Wartburg per il grano, gli amministratori, sostenuti dalla corte, si opposero ad Elisabetta, che invece voleva dare fondo a tutte le riserve per sfamare il popolo, convinta che “non moriremo di fame se saremo generosi. Dobbiamo avere fede”. Alla fine la spuntò: furono distribuite 900 pagnotte di pane cotte ogni giorno, furono aperte cucine per le zuppe e fu costituito un ospizio per bambini e ragazzi.
Seguì subito un’epidemia di vaiolo, con i morti sparsi per le strade. Così Elisabetta uscì per curare i malati e seppellire i morti, approntando un piccolo ospedale ai piedi del castello, il primo costruito da laici in Germania.
Al suo ritorno Ludwig fu prontamente informato del comportamento della moglie. “Mia moglie sta bene?”, si limitò a chiedere. “Questo è tutto ciò che voglio sapere; il resto non ha importanza. Lasciate che dia ai poveri ciò che vuole; fin quando avrò il suo amore, sono contento”. Poi si recò ai granai e si accorse che erano miracolosamente pieni fino all’orlo. La spiegazione di Elisabetta fu: “Ho dato a Dio ciò che è di Dio e Lui ha conservato ciò che è vostro e mio”.
La separazione dal marito, partito per la crociata al seguito dell’Imperatore, fu straziante, ma più ancora lo fu la notizia della sua morte ad Otranto l’11 settembre del 1227, all’età di ventisette anni, divorato dalla febbre mentre aspettava di imbarcarsi alla volta della Terrasanta.

La cattiva notizia fu comunicata ad Elisabetta quando aveva appena dato alla luce il terzo figlio, una bambina. Quando infine la udì urlò: “Non questo! È morto! È morto! Il mio caro fratello è morto! Ora per me tutto il mondo e le sue gioie sono morte”. Svenne e fu riportata a letto. Per otto giorni pianse in solitudine.

Cacciata dal castello
Prima dell’inverno, il fratello di Ludwig assunse le redini del regno come erede ed estromise la cognata. Ora che il marito non la poteva più difendere, Elisabetta fu cacciata dal castello di Wartburg e messa sulla strada, dopo che il cognato si era impadronito dei suoi averi e di quelli dei figli.
Grazie all’intervento dei nobili rimasti fedeli al marito, Elisabetta venne reintegrata nella sua posizione, ma preferì ritirarsi nel castello di Marbourg-Hess, col desiderio di tendere alla più alta perfezione. Così p. Conrad le ordinò di usare tutti i suoi averi per i poveri e le fu permesso, prima donna a farlo, di unirsi al Terz’Ordine di San Francesco, conosciuto allora come “Fratelli e Sorelle della penitenza”.
I membri indossavano abiti grezzi, recitavano l’ora canonica, digiunavano la maggior parte dell’anno e si astenevano dal mangiare carne quattro giorni a settimana. Elisabetta si adeguò perfettamente a queste penitenze e prese i voti il Venerdì Santo.
Nel 1231 Padre Conrad fu sul punto di morire. La sua preoccupazione principale era la cura dell’anima di Elisabetta, ma lei lo rassicurò con queste parole: “Caro Padre, non avrò bisogno di protezione. Non sei tu che morirai, ma io”. Quattro giorni dopo Elisabetta fu colpita dalla febbre. Quando si diffuse la notizia che era gravemente malata, grandi folle accorsero a vederla. Alla fine Elisabetta chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio e preparare la sua anima.
Padre Conrad le diede il Viatico. Ai suoi amici più fedeli regalò ciò che di più caro possedeva, il mantello di San Francesco. Intorno alla mezzanotte spirò dopo queste parole: “O Maria, assistimi! Il momento è arrivato quando Dio convoca il Suo amico alla festa nuziale. Lo Sposo cerca la sua sposa… Silenzio!... Silenzio!”.
Era la notte del 19 novembre 1232 e non aveva ancora compiuto ventiquattro anni. La morte non bloccò gli atti di carità di Elisabetta e ai miracoli che aveva nascosto in vita si aggiunsero quelli a favore di coloro che accorrevano a invocare la sua intercessione presso la sua tomba.
I rapporti con i 130 miracoli della santa furono mandati a Roma e la Domenica di Pentecoste del 1235, solo quattro anni dopo la sua morte, Elisabetta fu canonizzata a Perugia dal Papa Gregorio IX, alla presenza di familiari e amici.

Nella traslazione delle sue reliquie, nel 1236, giunse l’Imperatore Federico II, che posò la sua corona sulla sua tomba e disse: “Poiché non ho potuto incoronarla Imperatrice in questo mondo, almeno la incorono oggi come regina immortale nel regno di Dio”.
Santa Elisabetta d’Ungheria, prega per noi!
(RC n. 18 - Ottobre 2006)

venerdì 16 novembre 2012

San Giuseppe Moscati

Giuseppe nasce, da nobile famiglia, a Benevento il 25 luglio 1880. Dal 1888 vive con la famiglia, che segue gli spostamenti del padre magistrato, a Napoli, dove nel 1897, inizia gli studi universitari presso la facoltà di medicina. Il 4 agosto 1903 consegue la laurea con pieni voti e con diritto alla pubblicazione della tesi. Comincia la carriera ospedaliera nell’Ospedale degli Incurabili a Napoli presentandosi, sin da allora modello integerrimo di medico cosciente del suo dovere professionale e della sua missione sublime accanto alla sofferenza umana. Si dedica contemporaneamente all’insegnamento, divenendo assistente ordinario nell’istituto di Chimica Fisiologica nel 1908, conseguendo la libera docenza nel 1911.  Inizia così un’intesa attività scientifica e cattedratica, con l’insegnamento di “Indagini di laboratorio applicati alla chimica” e di “Chimica applicata alla medicina”. Vince il concorso di Primario negli Ospedali Riuniti di Napoli, mentre nel 1922 consegue una seconda libera docenza in Clinica Medica Generale. Durante tutti gli anni che vanno dal 1903 alla sua morte (1927), Giuseppe Moscati si dedica alla ricerca scientifica con numerose relazioni a Congressi scientifici in Italia e all’estero, e contemporaneamente, con grande generosità e nobile carità, all’assistenza gratuita dei malati più bisognosi coadiuvato dalla sorella Nina che resterà al suo fianco fino alla morte. Il professore Moscati è uomo di profonda fede e di preghiera, ogni mattina assiste alla santa messa e riceve la Santa Comunione; la filiale devozione della Santa Vergine e l'amore profondo verso l'Eucarestia danno al professore Giuseppe Moscati non solo la prima spinta di offrire a Dio la sua castità, ma anche la forza di custodirla nell'esercizio professionale e in ogni altra circostanza. Per Moscati la castità non è stata uno sterile rifugio privo di preoccupazioni, ma piuttosto una consapevole scelta di vita, totalmente dedita al servizio del prossimo. La sua fama di medico santo si estende oltre il territorio di Napoli, ma, nonostante ciò, Giuseppe Moscati si mantiene sempre umile e povero, pronto ad assistere chiunque gli chieda aiuto, dispensando non solo terapie mediche ma anche consigli spirituali e, per i pazienti più poveri e bisognosi, anche il denaro necessario per l'acquisto delle medicine. 


Il 12 aprile 1927, martedì santo, il prof. Moscati, dopo aver partecipato, come ogni giorno, alla Messa e aver ricevuto la Comunione, trascorre la mattinata in Ospedale per poi tornare a casa. Consuma, come sempre, un frugale pasto e poi si dedica alle consuete visite dei pazienti.
Verso le ore 15 ha un mancamento, si adagia sulla poltrona, e poco dopo incrociando le braccia sul petto spira serenamente. Il professore santo ha solamente 46 anni e 8 mesi.
La notizia della sua morte si diffonde immediatamente a Napoli, e il dolore di tutti è unanime. Soprattutto i poveri lo piangono sinceramente, perché hanno perduto il loro benefattore.
Viene proclamato santo da Papa Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1987 a sessant'anni dalla morte. I resti mortali del medico santo riposano nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli.
 

Oggi la Santa Chiesa ricorda anche Santa Margherita di Scozia che trovate qui



Santa Margherita di Scozia


Margherita, figlia di Re Edoardo d'Inghilterra, nasce in esilio in Ungheria intorno all'anno 1046, dove il padre si trovava con l'intera famiglia per sfuggire all'usurpatore Canuto. Alla morte dell'usurpatore, Margherita che ha nove anni e la sua famiglia possono ritornare in Patria,  ma dopo qualche anno la famiglia Reale deve fuggire di nuovo e questa volta in Scozia. Qui Margherita viene chiesta in moglie dal ventiquattrenne Re di Scozia Malcom III. Dal matrimonio nascono otto figli che Margherita educa amorosamente nella fede. Il suo sposo la ama, ha un grande rispetto per lei che è istruita  tanto da non disdegnare, lui rude ed ignorante, di chiederle consigli. Ed è tanta la devozione ed il rispetto che il Re le porta che arriva a baciare i libri di preghiera che le vede leggere. Margherita è discreta, rispettosa e modesta, caritatevole verso i poveri, gli orfani, i malati, ed invitava il marito a fare altrettanto. Per la Scozia non corsero mai anni migliori di quelli passati sotto il governo veramente cristiano di Malcom III e di Margherita, la quale, benvoluta dai sudditi, amata dal marito, venerata dai figli, dedicava tutta la sua vita al bene della sua anima e al benessere degli altri.
Non avendo dolori propri, cercò di lenire quelli degli altri; non avendo disgrazie familiari o dinastiche, cercò di soccorrere gli altri disgraziati, non conoscendo né, miseria né mortificazioni, cercò di consolare i miseri e gli umiliati. E accolse con animo lieto l'unica brutta notizia, che le giunse sul letto di morte. Il marito ed un figlio erano caduti ad Alnwick combattendo in una spedizione contro Guglielmo detto il Rosso. A chi, con cautela, cercava di attenuare la crudeltà della notizia, Margherita fece capire di averla già avuta. E ringraziò Dio di quel dolore che le sarebbe servito a scuotere, nelle ultime ore, i peccati di tutta la vita.

Muore ad Edimburgo il 16 novembre 1093.  
 
Oggi la Santa Chiesa ricorda anche San Giuseppe Moscati, il medico santo di Napoli che trovate qui   

giovedì 15 novembre 2012

Sant' Alberto Magno

 
Alberto nasce a Lauingen in Baviera verso il 1200, della nobile famiglia Bollstadt; prese ancora giovanissimo l’Abito dei Predicatori dalle mani del Beato Giordano di Sassonia, immediato successore del Santo Patriarca Domenico. Dopo aver trionfato nel mondo, al giovane studente sembrò ostacolo insormontabile le difficoltà che incontrava nello studio della Teologia, e fu tentato di fuggire dalla casa del Signore. La Madonna, però, di cui era devotissimo, lo animò a perseverare, rassenerandolo nei suoi timori, dicendogli: “Attendi allo studio della sapienza e affinché non ti avvenga di vacillare nella fede, sul declinare della vita ogni arte di sillogizzare ti sarà tolta”. Sotto la tutela della Celeste Madre, Alberto divenne sapiente in ogni ramo della cultura, sì da essere acclamato Dottore universale e meritare il titolo di Grande, ancor quando era in vita. Insegnò con sommo onore a Parigi e nei vari Studi Domenicani di Germania, soprattutto in quello di Colonia, da lui fondato, dove ebbe tra i suoi discepoli San Tommaso d’Aquino, di cui profetizzò la grandezza. Fu Provinciale di Germania e, nel 1260, Vescovo di Ratisbona, alla cui sede rinunziò per darsi di nuovo all’insegnamento e alla predicazione. Fu arbitro e messaggero di pace in mezzo ai popoli, e al Concilio di Lione portò il contributo della sua sapienza per l’unione della Chiesa Greca con quella Latina. Avanzato negli anni saliva ancora vigoroso la cattedra, ma un giorno, come Maria aveva predetto, la sua memoria si spense. Anelò allora solo al cielo, al quale volò dopo quattro anni, il 15 novembre 1280, consumato dalla divina carità. La sua salma riposa nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea a Colonia. Papa Gregorio XV nel 1622 lo ha beatificato. Papa Pio XI nel 1931 lo ha proclamato Santo e Dottore della Chiesa. Il 16 dicembre 1941 Papa Pio XII lo ha dichiarato Patrono dei cultori delle scienze naturali.
Autore:
Franco Mariani

giovedì 8 novembre 2012

Beato Giovanni Duns Scoto


Nacque tra il 23 dicembre 1265 e il 17 marzo 1266, in Scozia da cui il soprannome «Scoto». Sin da bambino entrò in contatto con i francescani, di cui tredicenne iniziò a frequentare gli studi conventuali di Haddington, nella contea di Berwich. Terminati gli studi in teologia si dedicò all'insegnamento prima a Oxford, poi a Parigi e Colonia. Qui, su incarico del generale della sua Congregazione doveva fronteggiare le dottrine eretiche, ma riuscì a dedicarsi per breve tempo all'impresa. Morì infatti pochi mesi dopo il suo arrivo, l'8 novembre 1308. Giovanni Duns è considerato uno dei più grandi maestri della teologia cristiana, nonché precursore della dottrina dell'Immacolata Concezione. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 20 marzo 1993 definendolo «cantore del Verbo incarnato e difensore dell'Immacolato concepimento di Maria». Le sue spoglie mortali sono custodite nella chiesa dei frati minori di Colonia. (tratto da qui)
 
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Anche il Papa Benedetto XVI si è occupato in un'udienza generale di Duns Scoto QUI