MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

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mercoledì 19 novembre 2014

Santa Matilde, monaca benedettina

 
Della sua vita si sa ben poco, le scarse notizie che si trovano nel libro da lei scritto - Liber Gratiae Specialis - e in quello dell'Araldo del divino amore di Santa Gertrude di Helfta, sono tutto quanto sappiamo di questa importante monaca e mistica dell'Ordine benedettino vissuta nel Medioevo.
 
Nacque attorno al 1240 nel castello di Helfta, in Sassonia, da una delle più nobili e potenti famiglie della Turingia, i Von Hackerborn imparentata con l’imperatore Federico II.
La sorella maggiore, Gertrude, fu badessa nel convento di Helfta.
All'età di sette anni Matilde venne accolta come educanda nel monastero benedettino di Roderdsdorf. Qui la sua vocazione crebbe e la giovane decise di indossare il velo.
Nel 1258 raggiunse la sorella maggiore a Helfta dove, tre anni più tardi, le venne affidata la cura di una giovane monaca che resterà nella storia con il nome di santa Gertrude la Grande o di Helfta. Proprio a quest'ultima Matilde confessò le proprie visioni mistiche.
Da queste confidenze nascerà poi uno dei libri più noti della mistica medievale: il Libro della Grazia speciale (Liber Gratiae specialis).
Matilde ebbe grandi doti intellettuali ed artistiche. Essendo particolarmente dotata nel canto, veniva chiamata l'usignolo di Helfta, le venne affidata la direzione del coro del monastero.  La lode di Dio era per lei l'occupazione primaria della sua vita e l'espressione più profonda ed alta della sua  esistenza. Nella recita e nel canto del divino ufficio tutta la sua anima religiosamente vibrava. Le parole fluivano dolci dalle sue labbra e spesso, durante l'ufficiatura, veniva rapita in estasi. Tutto il suo raccoglimento, la sua pietà e la sua devozione convergevano verso la liturgia, donde essa ricavava ampi lumi di contemplazione e ardente amore divino. Con diligente cura custodiva i suoi sensi infliggendosi dure penitenze e con coraggio mortificava il suo delicato corpo per compensare generosamente, dinanzi alla maestà divina, il male commesso dai peccatori.
La sua grande umiltà, nonostante le sua applicazione costante nell'esercizio delle virtù, la portava ad accusarsi talvolta di pigrizia e di tristezza. Soffriva di atroci mal di testa, che negli ultimi anni (dal 1290 e più ancora dal 1295) si aggravarono, unitamente ad altre infermità, sottoponendola a un vero martirio. Ricevette l'Estrema Unzione il 18 ottobre del 1299 e morì «offrendo il suo cuore al Salvatore e immergendolo in quello di lui» il 19 novembre 1299.