MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

mercoledì 18 febbraio 2015

Beato Angelico, frate domenicano

Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, meglio conosciuto con il nome di beato Angelico, nasce a Vicchio di Mugello (Firenze) nel 1387. All'età di vent'anni, mentre ascoltava, in una notte di Natale, l'omelia del domenicano Fra Giovanni, decide di entrare nell'Ordine dei Predicatori a Fiesole. Era un giovane dotato di grande attitudine artistica, ma dal momento del suo ingresso in monastero decide di abbandonarla. I suoi confratelli però non sono dello stesso parere e lo incoraggiano a sviluppare i suoi talenti. Perciò, il priore gli ordina subito di ornare i ‘Libri delle ore’ della biblioteca conventuale. La sua vita, inizialmente tranquilla, viene alterata per tre volte dai trasferimenti di convento. Da buon domenicano, aveva un grande entusiasmo per l’opera di San Tommaso d’Aquino, la conosceva perfettamente, di essa nutriva la sua pietà e su di essa, inconsciamente, fondava le basi della sua opera futura. Nella 'Somma Teologica' scopriva la sua nuova ragion d’essere e il suo ideale artistico.
 
 'L’azione di santo e di artista del giovane si svolse mirabilmente nel clima di alta perfezione spirituale e intellettuale trovato nel chiostro. Le sante austerità, gli studi profondi, la perenne elevazione dell’anima a Dio, affinarono il suo spirito e gli aprirono orizzonti sconfinati. Così preparato, da buon Frate Predicatore, poté anch’egli dare agli altri il frutto della propria contemplazione e dar vita, col suo magico pennello, al più sacro dei poemi, narrando ai fratelli la divina storia della nostra salvezza. I suoi Crocifissi, le sue Madonne, i suoi Santi sono una predica che risuona nei secoli. Anima di una semplicità evangelica, seppe vivere col cuore in cielo, pur consacrandosi a un intenso lavoro'. (Franco Mariani).
 
'I frati trasbordavano di ammirazione. Uno di loro una volta disse: ‘Fra Giovanni non dipinge, prega’.
In effetti la sua arte era un cantico, una preghiera. Non prendeva mai i suoi pennelli senza invocare l’Onnipotente ed è in stato di grazia che collocava i suoi angeli nei giardini fioriti del Cielo. I suoi angeli musicanti erano così belli e talmente puri che la loro melodia sembrava diffondersi in note cristalline tra le arcate del convento, man mano che il pittore dava loro vita. Era allora che, ogni tanto, un anziano frate apriva la cella del pittore, guardava meravigliato e se ne andava senza fare rumore, nascosto dal suo cappuccio. E fu proprio questo ammiratore discreto e dimenticato che gli diede il nome glorioso: quello di Angelico. Un unico religioso, prima di lui, era stato degno di averlo: San Tommaso d’Aquino, la sua guida e il suo maestro. Da quel giorno in poi, Fra Angelico si meritò l’epiteto di "divino" e divenne il ‘San Tommaso’ della pittura'.(Plinio Correa de Oliveira)
Fra Giovanni ottenne da Roma la stima e l’amicizia del Santo Padre.  Recatosi a Roma, su invito di Papa Eugenio IV, dipinse nella Basilica di San Pietro e nei Palazzi Vaticani, e dal 1445 al 1449, per Papa Niccolò V la sua cappella privata e lo studio in Vaticano.
Era ancora a Roma quando l’ultima infermità lo sorprese nel convento dei Frati Predicatori di Santa Maria Sopra Minerva. La sera del 18 febbraio del 1485 i suoi occhi si chiusero al mondo per dischiudersi nella gloria di Dio capaci finalmente di ammirare la Bellezza che in terra aveva cercato ed immaginato. Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982 ha concesso il suo culto liturgico a tutto l’Ordine e il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.
 
La leggenda narra che, nel momento della morte, una lacrima scivolò sul viso di tutti gli angeli dei suoi quadri, quegli angeli che egli aveva dipinto senza sapere che gli avrebbero portato l’aureola del suo inimitabile genio e della sua santità.
(Plinio Correa de Oliveira)
   
 
 
 

 

martedì 10 febbraio 2015

Giovanni Palatucci, servo di Dio

 
Giovanni Palatucci nacque in Irpinia, a Montella in provincia di Avellino, il 31 maggio 1909 da Felice e Angelina Molinari. Laureato in Giurisprudenza e superati gli esami da procuratore legale, frequentò a Roma, presso la Scuola superiore di Polizia, un corso per vice commissario di pubblica sicurezza. Assegnato inizialmente a Genova, il 15 novembre 1937 fu trasferito alla Questura di Fiume, dove gli fu affidata la direzione dell'Ufficio stranieri con la qualifica di commissario. Dopo l'emanazione delle leggi razziali antisemitiche nel 1938, si impegnò nell'aiuto agli ebrei e a tutti coloro che, a causa dell'occupazione tedesca, si trovavano a transitare dal confine istriano verso luoghi più sicuri.

A migliaia furono i perseguitati da lui soccorsi, con ogni stratagemma possibile; in particolare li istradava verso il campo di raccolta di Campagna, in provincia di Salerno, dove era vescovo lo zio, mons. Giuseppe Maria Palatucci. La sua opera si fece ancor più intensa all'indomani dell'armistizio (8 settembre 1943) con l'occupazione militare tedesca, quando Fiume fu annessa al Terzo Reich. Nominato Questore reggente, intensificò l'aiuto, utilizzando la sua autorevolezza istituzionale. Oltre cinquemila furono gli ebrei ed i perseguitati politici salvati in quegli anni.
Malgrado i sospetti della polizia politica del Terzo Reich, Palatucci rimase al suo posto per continuare la sua preziosa opera, rifiutandosi fino all'ultimo di mettersi in salvo, nonostante i ripetuti inviti del Console svizzero a Trieste. Arrestato dalla Gestapo il 13 settembre 1944, fu condotto nel carcere di Trieste, dove venne condannato a morte; graziato, con la commutazione della pena, fu poi deportato il 22 settembre 1944 nel campo di sterminio di Dachau (Germania), con matricola 117826.
Il 10 febbraio 1945 morì di stenti, a poche settimane dalla liberazione e fu sepolto in una fossa comune.

Di quali nobili sentimenti fosse capace il giovane, si vide subito: deludendo il padre, che lo voleva avvocato in Irpinia, Giovanni entrò nella Polizia di Stato perché, disse, "mi è impossibile domandare soldi a chi ha bisogno del mio patrocinio per avere giustizia". Quando Mussolini pubblicò "Il manifesto della razza" che, tradotto in legge (17 novembre 1938), segnò la fine della relativa tolleranza precedentemente dimostrata verso gli ebrei, Palatucci pronunciò una frase emblematica: "Vogliono farci credere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano".
Una volta, sapendo che una donna ebrea era minacciata di imminente arresto, la affidò ad uno dei suoi colleghi dicendogli: "Questa è la signora Schwartz. Trattala, ti prego, come se fosse mia sorella. Anzi, no: trattala come se fosse tua sorella, perché in Cristo è tua sorella".
Il 16 febbraio 2004 si è concluso ufficialmente, presso il Tribunale diocesano, il processo di primo grado per la beatificazione di Giovanni Palatucci, già definito servo di Dio. Le fasi di canonizzazione erano iniziate il 9 ottobre del 2002 su richiesta dell'associazione "Giovanni Palatucci".

giovedì 5 febbraio 2015

Santa Agata, vergine e martire

 
Agata, il cui nome in greco Agathé, significava buona, fu martirizzata verso la metà del III secolo, alcuni reperti archeologici risalenti a pochi decenni dalla morte, avvenuta secondo la tradizione il 5 febbraio 251, attestano il suo antichissimo culto.
Agata nacque nei primi decenni del III secolo (235?) a Catania; la Sicilia, come l’intero immenso Impero Romano era soggetta in quei tempi alle persecuzioni contro i cristiani, che erano cominciate, sia pure occasionalmente, intorno al 40 d.C. con Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate da una legge che vietava il culto cristiano.
Nel III secolo, l’editto dell’imperatore Settimio Severo, stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede. Se essi accettavano di ritornare al paganesimo, ricevevano un attestato (libellum), che confermava la loro appartenenza alla religione pagana, in caso contrario se essi rifiutavano di sacrificare agli dei, venivano prima torturati e poi uccisi.
Era un sistema spietato e calcolato, perché l’imperatore tendeva a fare più apostati possibile che martiri, i quali venivano considerati più pericolosi dei cristiani vivi. Nel 249 l’imperatore Decio, visto il diffondersi comunque del cristianesimo, fu ancora più drastico; tutti i cristiani denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.
In quel periodo Catania era una città fiorente e benestante, posta in ottima posizione geografica; il suo grande porto, costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo.
E come per tutte le città dell’Impero Romano, anche Catania aveva un proconsole o governatore, che rappresentava il potere decentrato dell’impero, ormai troppo vasto; il suo nome era Quinziano, uomo brusco, superbo e prepotente e circondato da una corte numerosa, con i familiari, un numero enorme di schiavi e con le guardie imperiali, dimorava nel ricco palazzo Pretorio con annessi altri edifici, in cui si svolgevano tutte le attività pubbliche della città.
Secondo la ‘Passio Sanctae Agathae’ risalente alla seconda metà del V secolo e di cui esistono due traduzioni, una latina e due greche, Agata apparteneva ad una ricca e nobile famiglia catanese, il padre Rao e la madre Apolla, proprietari di case e terreni coltivati, sia in città che nei dintorni, essendo cristiani, educarono Agata secondo la loro religione.
Cresciuta nella sua fanciullezza e adolescenza in bellezza, candore e purezza verginale, sin da piccola sentì nel suo cuore il desiderio di appartenere totalmente a Cristo e quando giunse sui 15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi a Dio. Nei primi tempi del cristianesimo le vergini consacrate, con il loro nuovissimo stile di vita, costituivano un’irruzione del divino in un mondo ancora pagano e in disfacimento.
Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e durante una cerimonia ufficiale chiamata ‘velatio’, le impose il ‘flammeum’, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate. 

Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l’occasione di vederla e se ne incapricciò, e in forza dell’editto di persecuzione dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di Stato, accusa comune a tutti i cristiani, quindi ordinò che la catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio.
Il proconsole quando la vede viene conquistato dalla sua bellezza e una passione ardente s’impadronisce di lui, ma i suoi tentativi di seduzione non vanno in porto, per la resistenza ferma della giovane Agata.
Egli allora mette in atto un programma di rieducazione della ragazza affidandola ad una cortigiana di facili costumi di nome Afrodisia, affinché la rendesse più disponibile. Trascorse un mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, con festini, divertimenti osceni, banchetti; ma lei resistette indomita nel proteggere la sua verginità consacrata al suo Sposo celeste, al quale volle rimanere fedele ad ogni costo. Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegna a Quinziano Agata dicendo: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”. Allora furioso, il proconsole imbastì un processo contro di lei, che si presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a Dio; “Se sei libera e nobile” le obiettò il proconsole, “perché ti comporti da schiava?” e lei risponde “Perché la nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo”.
Il giorno successivo altro interrogatorio accompagnato da torture. Ad Agata vengono stirate le membra, lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate, ma ogni tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova forza, allora Quinziano al colmo del furore le fece strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie.
Questo risvolto delle torture, costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio, infatti Agata viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata in cella sanguinante e ferita, soffriva molto per il bruciore e dolore, ma sopportava tutto per l’amore di Dio; verso la mezzanotte mentre era in preghiera nella cella, le appare s. Pietro apostolo, accompagnato da un bambino porta lanterna, che la risana le mammelle amputate. Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, viene riportata alla presenza del proconsole, il quale visto le ferite rimarginate, domanda incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine risponde: “Mi ha fatto guarire Cristo”. Ormai Agata costituiva una sconfitta bruciante per Quinziano, che non poteva sopportare oltre, intanto il suo amore si era tramutato in odio e allora ordina che venga bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate.
A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non brucia il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose; esso è stato portato più volte in processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, avendo il potere di fermarla.
Mentre Agata spinta nella fornace ardente brucia, un forte terremoto scuote la città di Catania e il Pretorio crolla parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano; la folla dei catanesi spaventata, si ribella all’atroce supplizio della giovane vergine, allora il proconsole fa togliere Agata dalla brace e la fa riportare agonizzante in cella, dove muore qualche ora dopo.
Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania, molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da allora s. Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli incendi.
(Antonio Borrelli)
Tratto da qui