MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

lunedì 21 dicembre 2015

San Pietro Canisio, sacerdote e Dottore della Chiesa

 
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei parlarvi di san Pietro Kanis, Canisio nella forma latinizzata del suo cognome, una figura molto importante nel Cinquecento cattolico. Era nato l’8 maggio 1521 a Nimega, in Olanda. Suo padre era borgomastro della città. Mentre era studente all’Università di Colonia, frequentò i monaci Certosini di santa Barbara, un centro propulsivo di vita cattolica, e altri pii uomini che coltivavano la spiritualità della cosiddetta devotio moderna. Entrò nella Compagnia di Gesù l’8 maggio 1543 a Magonza (Renania – Palatinato), dopo aver seguito un corso di esercizi spirituali sotto la guida del beato Pierre Favre, Petrus Faber, uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola. Ordinato sacerdote nel giugno 1546 a Colonia, già l’anno seguente, come teologo del Vescovo di Augusta, il cardinale Otto Truchsess von Waldburg, fu presente al Concilio di Trento, dove collaborò con due confratelli, Diego Laínez e Alfonso Salmerón.
Nel 1548, sant’Ignazio gli fece completare a Roma la formazione spirituale e lo inviò poi nel Collegio di Messina a esercitarsi in umili servizi domestici. Conseguito a Bologna il dottorato in teologia il 4 ottobre 1549, fu destinato da sant'Ignazio all'apostolato in Germania. Il 2 settembre di quell'anno, il '49, visitò Papa Paolo III in Castel Gandolfo e poi si recò nella Basilica di San Pietro per pregare. Qui implorò l'aiuto dei grandi Santi Apostoli Pietro e Paolo, che dessero efficacia permanente alla Benedizione Apostolica per il suo grande destino, per la sua nuova missione. Nel suo diario annotò alcune parole di questa preghiera. Dice: “Là io ho sentito che una grande consolazione e la presenza della grazia mi erano concesse per mezzo di tali intercessori [Pietro e Paolo]. Essi confermavano la mia missione in Germania e sembravano trasmettermi, come ad apostolo della Germania, l’appoggio della loro benevolenza. Tu conosci, Signore, in quanti modi e quante volte in quello stesso giorno mi hai affidato la Germania per la quale in seguito avrei continuato ad essere sollecito, per la quale avrei desiderato vivere e morire”.
Dobbiamo tenere presente che ci troviamo nel tempo della Riforma luterana, nel momento in cui la fede cattolica nei Paesi di lingua germanica, davanti al fascino della Riforma, sembrava spegnersi. Era un compito quasi impossibile quello di Canisio, incaricato di rivitalizzare, di rinnovare la fede cattolica nei Paesi germanici. Era possibile solo in forza della preghiera. Era possibile solo dal centro, cioè da una profonda amicizia personale con Gesù Cristo; amicizia con Cristo nel suo Corpo, la Chiesa, che va nutrita nell'Eucaristia, Sua presenza reale.
Seguendo la missione ricevuta da Ignazio e da Papa Paolo III, Canisio partì per la Germania e partì innanzitutto per il Ducato di Baviera, che per parecchi anni fu il luogo del suo ministero. Come decano, rettore e vicecancelliere dell’Università di Ingolstadt, curò la vita accademica dell’Istituto e la riforma religiosa e morale del popolo. A Vienna, dove per breve tempo fu amministratore della Diocesi, svolse il ministero pastorale negli ospedali e nelle carceri, sia nella città sia nelle campagne, e preparò la pubblicazione del suo Catechismo. Nel 1556 fondò il Collegio di Praga e, fino al 1569, fu il primo superiore della provincia gesuita della Germania superiore.
In questo ufficio, stabilì nei Paesi germanici una fitta rete di comunità del suo Ordine, specialmente di Collegi, che furono punti di partenza per la riforma cattolica, per il rinnovamento della fede cattolica. In quel tempo partecipò anche al colloquio di Worms con i dirigenti protestanti, tra i quali Filippo Melantone (1557); svolse la funzione di Nunzio pontificio in Polonia (1558); partecipò alle due Diete di Augusta (1559 e 1565); accompagnò il Cardinale Stanislao Hozjusz, legato del Papa Pio IV presso l’Imperatore Ferdinando (1560); intervenne alla Sessione finale del Concilio di Trento dove parlò sulla questione della Comunione sotto le due specie e dell’Indice dei libri proibiti (1562).
Nel 1580 si ritirò a Friburgo in Svizzera, tutto dedito alla predicazione e alla composizione delle sue opere, e là morì il 21 dicembre 1597. Beatificato dal beato Pio IX nel 1864, fu proclamato nel 1897 secondo Apostolo della Germania dal Papa Leone XIII, e dal Papa Pio XI canonizzato e proclamato Dottore della Chiesa nel 1925.

San Pietro Canisio trascorse buona parte della sua vita a contatto con le persone socialmente più importanti del suo tempo ed esercitò un influsso speciale con i suoi scritti. Fu editore delle opere complete di san Cirillo d’Alessandria e di san Leone Magno, delle Lettere di san Girolamo e delle Orazioni di san Nicola della Fluë. Pubblicò libri di devozione in varie lingue, le biografie di alcuni Santi svizzeri e molti testi di omiletica. Ma i suoi scritti più diffusi furono i tre Catechismi composti tra il 1555 e il 1558. Il primo Catechismo era destinato agli studenti in grado di comprendere nozioni elementari di teologia; il secondo ai ragazzi del popolo per una prima istruzione religiosa; il terzo ai ragazzi con una formazione scolastica a livello di scuole medie e superiori. La dottrina cattolica era esposta con domande e risposte, brevemente, in termini biblici, con molta chiarezza e senza accenni polemici. Solo nel tempo della sua vita sono state ben 200 le edizioni di questo Catechismo! E centinaia di edizioni si sono succedute fino al Novecento. Così in Germania, ancora nella generazione di mio padre, la gente chiamava il Catechismo semplicemente il Canisio: fu realmente il catechista della Germania, ha formato la fede di persone per secoli.
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 9 febbraio 2011
 
© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana
Il testo intero qui

giovedì 12 novembre 2015

San Giosafat, vescovo e martire

Ivan Kuncewicz nasce nel 1580 in Volinia (Ucraina) da genitori appartenenti alla nobiltà ucraina nonché ferventi ortodossi. Studiò a Vilnius (nell'odierna Lituania) in un periodo caratterizzato dall'intenso scontro tra ortodossi e uniati di rito greco, i quali, sulla scia del Concilio di Firenze (1451 - 1452), si erano ricongiunti alla Chiesa cattolica riconoscendo al Papa un ruolo di preminenza sugli altri vescovi.
Decidendo di aderire ai greco-cattolici, nel 1604 divenne monaco con il nome di Giosafat ed entrò nel monastero, retto dall'ordine di San Basilio, della Santa Trinità, sito in Vilnius, dove nel 1617 iniziò la riforma che portò alla nascita dell'Ordine Basiliano di San Giosafat.
Divenuto presbitero nel 1609, nonostante a detta dei suoi contemporanei avesse fino ad allora dimostrato un carattere riservato, si diede alla predicazione riscuotendo un così grande successo che nel 1617 divenne dapprima Archimandrita del suo monastero e, poco tempo dopo, fu nominato vescovo di Polatsk, sito nell'odierna Bielorussia.
Iniziò nella diocesi da lui retta una serie di riforme volte ad affermare il credo uniate, spinse con costante zelo il suo gregge all’unità cattolica, coltivò con amorevole devozione il rito bizantino-slavo, restaurò completamente la cattedrale, compose un catechismo per il popolo e compì innumerevoli visite pastorali. In una di queste, mentre si trovava a Vitebsk, fu circondato da un gruppo di ortodossi i quali lo percossero ripetutamente gettandolo infine, privo di sensi, in un corso d'acqua nel quale affogò.
Fu canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1867 ed è da questa ricordato il 12 novembre, giorno del suo martirio.
 

giovedì 17 settembre 2015

San Francesco Maria da Camporosso, francescano

Giovanni nasce a Camporosso, un paesino in provincia di Imperia, sulla riviera ligure di Ponente, il 27 dicembre 1804. Sua madre Maria Antonia lo istruisce nelle fede e nella pietà.
Ancora ragazzo, si occupa del piccolo gregge paterno e, fattosi grandicello, aiuta il padre nel duro lavoro dei campi.
All'età di 17 anni, udita la voce di Dio, entra tra i frati Minori Conventuali in qualità di terziario. Ma dopo fervorose preghiere alla Beata Vergine e col consiglio di illuminati religiosi abbraccia la vita religiosa fra i Minori Cappuccini, entrandovi come novizio il 7 dicembre 1825 col nuovo nome di Francesco Maria.
Finito il noviziato viene mandato presso il convento della SS. Concezione di Genova, dapprima come aiuto nella cucina e come infermiere, poi come questuante, nel quale ufficio trascorre circa 40 anni cioè quasi tutta la sua vita di religioso. Qui si distingue per bontà, operosità, modestia, grazia, umiltà, dolcezza, tanto da esercitare un fascino straordinario su quanti l’avvicinavano, che ben presto iniziarono a chiamarlo 'Padre Santo'.
Nell'estate del 1866 scoppia a Genova la peste ed il Padre offre al Signore la sua vita in olocausto onde far cessare la furiosa epidemia. Il 17 settembre di quello stesso anno rende la sua anima santa a Dio.

giovedì 9 luglio 2015

Santa Veronica Giuliani, vergine

Orsola nasce il 27 dicembre del 1660 a Mercatello sul Metauro (Pesaro) da Francesco e Benedetta Mancini. E' una delle più grandi mistiche della storia. Ebbe numerose rivelazioni e ricevette le stimmate. Fin dalla più tenera età fu fatta oggetto di grandi doni da parte del Signore: a soli cinque mesi prese a camminare da sola per recarsi a venerare un quadro raffigurante la SS. Trinità. Non aveva ancora sette mesi quando ammonì un negoziante poco onesto. A due o tre anni cominciò a godere delle frequenti visioni di Gesù e Maria. 
Nella fanciullezza, sentendo leggere la vita dei martiri, la santa concepì grande desiderio di patire per amore di Gesù e, desiderosa di soffrire  tutto quello che aveva patito il Signore, che nella settimana santa  le appariva coperto di piaghe, si disciplinava con una grossa corda e si sottoponeva a grandissimi sacrifici.
Il 17 luglio 1677 entrò nel monastero delle Cappuccine di Città di Castello (Perugia).  Qui Dio le elargì un'innumerevole quantità di grazie, doni, privilegi, visioni, estasi, carismi singolari, fenomeni mistici, che in obbedienza al vescovo e confessore del monastero riportò in un diario. Scrisse 21.000 pagine raccolte in 44 volumi! Dopo che Gesù elevò Suor Veronica al suo mistico sposalizio, fu soddisfatta nella sua ardente brama di patire per Lui. In modo misterioso, ma reale e visibile, sperimentò a uno a uno tutti i martiri e gli oltraggi della sua Passione. Nel 1694 divenne maestra delle novizie e ricevette nel capo l'impressione delle spine. Dopo tre anni di digiuno a pane e acqua, il venerdì santo del 1697 le apparvero le stimmate e nel cuore ebbe impressi gli strumenti della Passione. Soffriva talmente, anche in modo visibile agli altri, che veniva chiamata la "sposa del crocifisso".
 
A causa dei fenomeni soprannaturali suor Veronica venne  controllata a lungo e severamente dalle autorità ecclesiastiche competenti e di proposito, fu trattata come una folle, una simulatrice e una bugiarda, fino a  chiuderla in una cella simile ad una prigione. A queste sofferenze suor Veronica univa di continuo indicibili penitenze, accesissime preghiere per la conversione dei peccatori. Sottomessa sempre in vita ai superiori, la santa volle morire il 9 luglio del 1727 dopo 33 giorni di malattia, appena il confessore, il P. Guelfi, le disse: "Suor Veronica, se è volontà di Dio che l'ordine del suo ministro intervenga in quest'ora suprema, vi comando di rendere lo spirito". Il suo corpo riposa sotto l'altare maggiore della chiesa delle Cappuccine in Città di Castello.  E' santa dal 1839.

martedì 28 aprile 2015

San Luigi Maria Grignion De Montfort, sacerdote

Luigi Grignion nasce in una famiglia profondamente cattolica, il 31 gennaio 1673 a Montfort-la-Cane, in Bretagna, nella Francia nordoccidentale. Fin da bambino  manifesta una grande attenzione alla vita interiore ed una tenera devozione alla Santa Vergine, tale da fargli aggiungere il nome di Maria a quello di Luigi in occasione della Santa Cresima. Compie gli studi umanistici e filosofici presso i Gesuiti dove matura la vocazione sacerdotale. Nel 1692 si trasferisce a Parigi per studiare teologia alla Sorbona ed entra nel seminario di Saint-Sulpice, vivaio del clero di Francia, ove si distinguerà per il rigore ascetico e per i gesti di carità. Il 5 giugno 1700, a ventisette anni, riceve l’ordinazione sacerdotale e comincia a dedicarsi al riscatto spirituale del popolo, rianimandone la fede e difendendone la pietà contro gli attacchi degli innovatori in un'epoca dove sono in fermento le idee dei razionalisti e dei libertini, del deismo e del giansenismo, contro la fede e le tradizioni cattoliche. Nel 1701 viene nominato cappellano dell’ospedale di Poitiers. In seguito, dopo un pellegrinaggio a Roma, su suggerimento del Santo Padre Clemente XI, si dedica maggiormente alla predicazione, soprattutto nella nativa Bretagna e nella Vandea, ponendo le basi spirituali per l'azione contro-rivoluzionaria di quelle popolazioni investite dalla furia giacobina della rivoluzione francese. Le sue missioni sono caratterizzate dalla predicazione del catechismo e da grandi manifestazioni pubbliche di culto, soprattutto da solenni processioni, che culminano nella rinnovazione da parte dei partecipanti delle promesse battesimali e nell’innalzamento, in luogo eminente, della croce della missione. Allo scopo di perpetuare la sua opera Luigi Montfort fonda la Compagnia di Maria, una congregazione di sacerdoti, detti monfortani, votati unicamente alle missioni al popolo. Consumato dalle fatiche e dalle sofferenze muore il 28 aprile 1716. San Luigi Maria lascia diversi scritti il più conosciuto ormai in tutto il mondo è il 'Trattato della vera devozione a Maria' un concentrato di teologia ed altissima spiritualità di facile fruizione e meditazione.

martedì 17 marzo 2015

San Patrizio, vescovo

Patrizio nasce nella Britannia Romana nel 385 circa da genitori cristiani appartenenti alla società romanizzata della provincia.
Il padre Calpurnio era diacono e possedeva un podere nel quale Patrizio da giovinetto trascorreva le sue giornate di fanciullo a pascolare il bestiame. A 16 anni venne fatto prigioniero insieme a migliaia di persone dai pirati irlandesi e portato sulle coste nordiche dell’Irlanda e venduto come schiavo.
Purtroppo la vita di Patrizio da schiavo fu triste e grama, si trovava in terra straniera a pascolare le pecore, tra sofferenze, solitudine e privazioni, tanto da tentare per due volte la fuga, ma inutilmente.
Dopo sei anni di servitù, aveva man mano conosciuto i costumi dei suoi padroni, imparato la lingua e conosciuto meglio i popoli Celti, che erano socialmente ben organizzati ma non erano cristiani e adoravano ancora gli idoli. Il terzo tentativo di fuga, nella primavera del 407, riuscì e Patrizio si imbarcò su una nave in partenza e, dopo tre giorni di navigazione, sbarcò su una costa deserta della Gallia per poi fare ritorno in Patria dai suoi familiari. Qui Patrizio sognò che gli Irlandesi lo chiamavano ed interpretando ciò come una vocazione all’apostolato fra quei pagani, decise di farsi chierico per convertirli. Tornò in Gallia, presso il santo vescovo di Auxerre Germano, per continuare gli studi, terminati i quali fu ordinato diacono e poi presbitero.
A Roma Patrizio fu consacrato vescovo e nominato successore di Palladio, primo vescovo d'Irlanda, intorno al 460. L'opera di evangelizzazione procedette con grande entusiasmo e senza che gli fossero risparmiate persecuzioni ed imboscate, soprattutto dai druidi e dagli anziani dei clan che erano restii a lasciare il paganesimo.  In tali territori il vescovo Patrizio introdusse il monachesimo che di recente era sorto in Occidente e un gran numero di giovani aderirono con entusiasmo facendo fiorire conventi di monaci e vergini. Inoltre stabilì delle diocesi territoriali con vescovi dotati di piena giurisdizione nel rispetto dell'organizzazione delle singole tribù. Benché il santo vescovo vivesse per carità di Cristo fra ‘stranieri e barbari’ da anni, in cuor suo si sentì sempre romano con il desiderio di rivedere la sua patria la Britannia e quella spirituale la Gallia; ma la sua vocazione missionaria non gli permise mai di lasciare la Chiesa d’Irlanda che Dio gli aveva affidato, in quella che fu la terra della sua schiavitù. L’infaticabile apostolo concluse la sua vita nel 461 nell’Ulster a Down.

 

mercoledì 18 febbraio 2015

Beato Angelico, frate domenicano

Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, meglio conosciuto con il nome di beato Angelico, nasce a Vicchio di Mugello (Firenze) nel 1387. All'età di vent'anni, mentre ascoltava, in una notte di Natale, l'omelia del domenicano Fra Giovanni, decide di entrare nell'Ordine dei Predicatori a Fiesole. Era un giovane dotato di grande attitudine artistica, ma dal momento del suo ingresso in monastero decide di abbandonarla. I suoi confratelli però non sono dello stesso parere e lo incoraggiano a sviluppare i suoi talenti. Perciò, il priore gli ordina subito di ornare i ‘Libri delle ore’ della biblioteca conventuale. La sua vita, inizialmente tranquilla, viene alterata per tre volte dai trasferimenti di convento. Da buon domenicano, aveva un grande entusiasmo per l’opera di San Tommaso d’Aquino, la conosceva perfettamente, di essa nutriva la sua pietà e su di essa, inconsciamente, fondava le basi della sua opera futura. Nella 'Somma Teologica' scopriva la sua nuova ragion d’essere e il suo ideale artistico.
 
 'L’azione di santo e di artista del giovane si svolse mirabilmente nel clima di alta perfezione spirituale e intellettuale trovato nel chiostro. Le sante austerità, gli studi profondi, la perenne elevazione dell’anima a Dio, affinarono il suo spirito e gli aprirono orizzonti sconfinati. Così preparato, da buon Frate Predicatore, poté anch’egli dare agli altri il frutto della propria contemplazione e dar vita, col suo magico pennello, al più sacro dei poemi, narrando ai fratelli la divina storia della nostra salvezza. I suoi Crocifissi, le sue Madonne, i suoi Santi sono una predica che risuona nei secoli. Anima di una semplicità evangelica, seppe vivere col cuore in cielo, pur consacrandosi a un intenso lavoro'. (Franco Mariani).
 
'I frati trasbordavano di ammirazione. Uno di loro una volta disse: ‘Fra Giovanni non dipinge, prega’.
In effetti la sua arte era un cantico, una preghiera. Non prendeva mai i suoi pennelli senza invocare l’Onnipotente ed è in stato di grazia che collocava i suoi angeli nei giardini fioriti del Cielo. I suoi angeli musicanti erano così belli e talmente puri che la loro melodia sembrava diffondersi in note cristalline tra le arcate del convento, man mano che il pittore dava loro vita. Era allora che, ogni tanto, un anziano frate apriva la cella del pittore, guardava meravigliato e se ne andava senza fare rumore, nascosto dal suo cappuccio. E fu proprio questo ammiratore discreto e dimenticato che gli diede il nome glorioso: quello di Angelico. Un unico religioso, prima di lui, era stato degno di averlo: San Tommaso d’Aquino, la sua guida e il suo maestro. Da quel giorno in poi, Fra Angelico si meritò l’epiteto di "divino" e divenne il ‘San Tommaso’ della pittura'.(Plinio Correa de Oliveira)
Fra Giovanni ottenne da Roma la stima e l’amicizia del Santo Padre.  Recatosi a Roma, su invito di Papa Eugenio IV, dipinse nella Basilica di San Pietro e nei Palazzi Vaticani, e dal 1445 al 1449, per Papa Niccolò V la sua cappella privata e lo studio in Vaticano.
Era ancora a Roma quando l’ultima infermità lo sorprese nel convento dei Frati Predicatori di Santa Maria Sopra Minerva. La sera del 18 febbraio del 1485 i suoi occhi si chiusero al mondo per dischiudersi nella gloria di Dio capaci finalmente di ammirare la Bellezza che in terra aveva cercato ed immaginato. Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982 ha concesso il suo culto liturgico a tutto l’Ordine e il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.
 
La leggenda narra che, nel momento della morte, una lacrima scivolò sul viso di tutti gli angeli dei suoi quadri, quegli angeli che egli aveva dipinto senza sapere che gli avrebbero portato l’aureola del suo inimitabile genio e della sua santità.
(Plinio Correa de Oliveira)
   
 
 
 

 

martedì 10 febbraio 2015

Giovanni Palatucci, servo di Dio

 
Giovanni Palatucci nacque in Irpinia, a Montella in provincia di Avellino, il 31 maggio 1909 da Felice e Angelina Molinari. Laureato in Giurisprudenza e superati gli esami da procuratore legale, frequentò a Roma, presso la Scuola superiore di Polizia, un corso per vice commissario di pubblica sicurezza. Assegnato inizialmente a Genova, il 15 novembre 1937 fu trasferito alla Questura di Fiume, dove gli fu affidata la direzione dell'Ufficio stranieri con la qualifica di commissario. Dopo l'emanazione delle leggi razziali antisemitiche nel 1938, si impegnò nell'aiuto agli ebrei e a tutti coloro che, a causa dell'occupazione tedesca, si trovavano a transitare dal confine istriano verso luoghi più sicuri.

A migliaia furono i perseguitati da lui soccorsi, con ogni stratagemma possibile; in particolare li istradava verso il campo di raccolta di Campagna, in provincia di Salerno, dove era vescovo lo zio, mons. Giuseppe Maria Palatucci. La sua opera si fece ancor più intensa all'indomani dell'armistizio (8 settembre 1943) con l'occupazione militare tedesca, quando Fiume fu annessa al Terzo Reich. Nominato Questore reggente, intensificò l'aiuto, utilizzando la sua autorevolezza istituzionale. Oltre cinquemila furono gli ebrei ed i perseguitati politici salvati in quegli anni.
Malgrado i sospetti della polizia politica del Terzo Reich, Palatucci rimase al suo posto per continuare la sua preziosa opera, rifiutandosi fino all'ultimo di mettersi in salvo, nonostante i ripetuti inviti del Console svizzero a Trieste. Arrestato dalla Gestapo il 13 settembre 1944, fu condotto nel carcere di Trieste, dove venne condannato a morte; graziato, con la commutazione della pena, fu poi deportato il 22 settembre 1944 nel campo di sterminio di Dachau (Germania), con matricola 117826.
Il 10 febbraio 1945 morì di stenti, a poche settimane dalla liberazione e fu sepolto in una fossa comune.

Di quali nobili sentimenti fosse capace il giovane, si vide subito: deludendo il padre, che lo voleva avvocato in Irpinia, Giovanni entrò nella Polizia di Stato perché, disse, "mi è impossibile domandare soldi a chi ha bisogno del mio patrocinio per avere giustizia". Quando Mussolini pubblicò "Il manifesto della razza" che, tradotto in legge (17 novembre 1938), segnò la fine della relativa tolleranza precedentemente dimostrata verso gli ebrei, Palatucci pronunciò una frase emblematica: "Vogliono farci credere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano".
Una volta, sapendo che una donna ebrea era minacciata di imminente arresto, la affidò ad uno dei suoi colleghi dicendogli: "Questa è la signora Schwartz. Trattala, ti prego, come se fosse mia sorella. Anzi, no: trattala come se fosse tua sorella, perché in Cristo è tua sorella".
Il 16 febbraio 2004 si è concluso ufficialmente, presso il Tribunale diocesano, il processo di primo grado per la beatificazione di Giovanni Palatucci, già definito servo di Dio. Le fasi di canonizzazione erano iniziate il 9 ottobre del 2002 su richiesta dell'associazione "Giovanni Palatucci".

giovedì 5 febbraio 2015

Santa Agata, vergine e martire

 
Agata, il cui nome in greco Agathé, significava buona, fu martirizzata verso la metà del III secolo, alcuni reperti archeologici risalenti a pochi decenni dalla morte, avvenuta secondo la tradizione il 5 febbraio 251, attestano il suo antichissimo culto.
Agata nacque nei primi decenni del III secolo (235?) a Catania; la Sicilia, come l’intero immenso Impero Romano era soggetta in quei tempi alle persecuzioni contro i cristiani, che erano cominciate, sia pure occasionalmente, intorno al 40 d.C. con Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate da una legge che vietava il culto cristiano.
Nel III secolo, l’editto dell’imperatore Settimio Severo, stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede. Se essi accettavano di ritornare al paganesimo, ricevevano un attestato (libellum), che confermava la loro appartenenza alla religione pagana, in caso contrario se essi rifiutavano di sacrificare agli dei, venivano prima torturati e poi uccisi.
Era un sistema spietato e calcolato, perché l’imperatore tendeva a fare più apostati possibile che martiri, i quali venivano considerati più pericolosi dei cristiani vivi. Nel 249 l’imperatore Decio, visto il diffondersi comunque del cristianesimo, fu ancora più drastico; tutti i cristiani denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.
In quel periodo Catania era una città fiorente e benestante, posta in ottima posizione geografica; il suo grande porto, costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo.
E come per tutte le città dell’Impero Romano, anche Catania aveva un proconsole o governatore, che rappresentava il potere decentrato dell’impero, ormai troppo vasto; il suo nome era Quinziano, uomo brusco, superbo e prepotente e circondato da una corte numerosa, con i familiari, un numero enorme di schiavi e con le guardie imperiali, dimorava nel ricco palazzo Pretorio con annessi altri edifici, in cui si svolgevano tutte le attività pubbliche della città.
Secondo la ‘Passio Sanctae Agathae’ risalente alla seconda metà del V secolo e di cui esistono due traduzioni, una latina e due greche, Agata apparteneva ad una ricca e nobile famiglia catanese, il padre Rao e la madre Apolla, proprietari di case e terreni coltivati, sia in città che nei dintorni, essendo cristiani, educarono Agata secondo la loro religione.
Cresciuta nella sua fanciullezza e adolescenza in bellezza, candore e purezza verginale, sin da piccola sentì nel suo cuore il desiderio di appartenere totalmente a Cristo e quando giunse sui 15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi a Dio. Nei primi tempi del cristianesimo le vergini consacrate, con il loro nuovissimo stile di vita, costituivano un’irruzione del divino in un mondo ancora pagano e in disfacimento.
Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e durante una cerimonia ufficiale chiamata ‘velatio’, le impose il ‘flammeum’, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate. 

Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l’occasione di vederla e se ne incapricciò, e in forza dell’editto di persecuzione dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di Stato, accusa comune a tutti i cristiani, quindi ordinò che la catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio.
Il proconsole quando la vede viene conquistato dalla sua bellezza e una passione ardente s’impadronisce di lui, ma i suoi tentativi di seduzione non vanno in porto, per la resistenza ferma della giovane Agata.
Egli allora mette in atto un programma di rieducazione della ragazza affidandola ad una cortigiana di facili costumi di nome Afrodisia, affinché la rendesse più disponibile. Trascorse un mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, con festini, divertimenti osceni, banchetti; ma lei resistette indomita nel proteggere la sua verginità consacrata al suo Sposo celeste, al quale volle rimanere fedele ad ogni costo. Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegna a Quinziano Agata dicendo: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”. Allora furioso, il proconsole imbastì un processo contro di lei, che si presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a Dio; “Se sei libera e nobile” le obiettò il proconsole, “perché ti comporti da schiava?” e lei risponde “Perché la nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo”.
Il giorno successivo altro interrogatorio accompagnato da torture. Ad Agata vengono stirate le membra, lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate, ma ogni tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova forza, allora Quinziano al colmo del furore le fece strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie.
Questo risvolto delle torture, costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio, infatti Agata viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata in cella sanguinante e ferita, soffriva molto per il bruciore e dolore, ma sopportava tutto per l’amore di Dio; verso la mezzanotte mentre era in preghiera nella cella, le appare s. Pietro apostolo, accompagnato da un bambino porta lanterna, che la risana le mammelle amputate. Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, viene riportata alla presenza del proconsole, il quale visto le ferite rimarginate, domanda incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine risponde: “Mi ha fatto guarire Cristo”. Ormai Agata costituiva una sconfitta bruciante per Quinziano, che non poteva sopportare oltre, intanto il suo amore si era tramutato in odio e allora ordina che venga bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate.
A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non brucia il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose; esso è stato portato più volte in processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, avendo il potere di fermarla.
Mentre Agata spinta nella fornace ardente brucia, un forte terremoto scuote la città di Catania e il Pretorio crolla parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano; la folla dei catanesi spaventata, si ribella all’atroce supplizio della giovane vergine, allora il proconsole fa togliere Agata dalla brace e la fa riportare agonizzante in cella, dove muore qualche ora dopo.
Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania, molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da allora s. Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli incendi.
(Antonio Borrelli)
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