Gennaro era nato a Napoli nella seconda metà del III secolo e fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani. La storia del suo martirio si inserisce nel contesto delle persecuzioni di Diocleziano. Gennaro conosceva il diacono Sosso che guidava la comunità cristiana di Miseno e quando ebbe saputo che questi venne incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania, volle recarsi insieme a due compagni, Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere. Dragonio, informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio. Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell'anfiteatro, ancora oggi esistente, sbranati dagli orsi. Ma durante i preparativi, il proconsole Dragonio si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi, prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 li fece decapitare nel Foro di Vulcano, presso la celebre Solfatara di Pozzuoli.
Si racconta che una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e conservarlo con molta venerazione. I cristiani di Pozzuoli, nottetempo seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che s. Gennaro avesse circa 35 anni, come pure giovani, erano i suoi compagni di martirio. Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie del solo s. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette poi “Catacombe di S. Gennaro”, per volontà dal vescovo di Napoli e sistemate vicino a quelle di s. Agrippino vescovo.
Durante il trasporto delle reliquie di s. Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla quale le aveva affidate prima di morire, consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire. Il culto per il santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba. Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto del martire era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini. Già nel V secolo il martire Gennaro era considerato ‘santo’ secondo l’antica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi confermata da papa Sisto V nel 1586. San Gennaro è patrono di Napoli e la sua provvidenziale assistenza ha salvato la città da tante calamità tra cui le eruzioni del Vesuvio. Il nome di san Gennaro è legato al prodigio della liquefazione del sangue, conservato nelle ampolle e che è avvenuto per la prima volta il 17 agosto 1389.
Detto prodigio avviene da allora tre volte l’anno; nel primo sabato di maggio, in ricordo della prima traslazione da Pozzuoli a Napoli; la seconda avviene il 19 settembre, ricorrenza della decapitazione, il sangue rimane sciolto per tutta l’ottava successiva e i fedeli sono ammessi a vedere da vicini la teca e baciarla con un prelato che la muove per far constatare la liquidità, dopo gli otto giorni viene di nuovo riposta nella nicchia e chiusa a chiave.
Una terza liquefazione avviene il 16 dicembre “festa del patrocinio di s. Gennaro”, in memoria della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al santo.
Si racconta che una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e conservarlo con molta venerazione. I cristiani di Pozzuoli, nottetempo seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che s. Gennaro avesse circa 35 anni, come pure giovani, erano i suoi compagni di martirio. Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie del solo s. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette poi “Catacombe di S. Gennaro”, per volontà dal vescovo di Napoli e sistemate vicino a quelle di s. Agrippino vescovo.
Durante il trasporto delle reliquie di s. Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla quale le aveva affidate prima di morire, consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire. Il culto per il santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba. Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto del martire era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini. Già nel V secolo il martire Gennaro era considerato ‘santo’ secondo l’antica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi confermata da papa Sisto V nel 1586. San Gennaro è patrono di Napoli e la sua provvidenziale assistenza ha salvato la città da tante calamità tra cui le eruzioni del Vesuvio. Il nome di san Gennaro è legato al prodigio della liquefazione del sangue, conservato nelle ampolle e che è avvenuto per la prima volta il 17 agosto 1389.
Detto prodigio avviene da allora tre volte l’anno; nel primo sabato di maggio, in ricordo della prima traslazione da Pozzuoli a Napoli; la seconda avviene il 19 settembre, ricorrenza della decapitazione, il sangue rimane sciolto per tutta l’ottava successiva e i fedeli sono ammessi a vedere da vicini la teca e baciarla con un prelato che la muove per far constatare la liquidità, dopo gli otto giorni viene di nuovo riposta nella nicchia e chiusa a chiave.
Una terza liquefazione avviene il 16 dicembre “festa del patrocinio di s. Gennaro”, in memoria della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al santo.
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