Perpetua e Felicita unite nello stesso destino di mamme e martiri. Siamo a Cartagine nel 203 d.C., Tibia Perpetua è una nobildonna di 22 anni, è sposa e madre di un bambino ancora in fasce. Felicita è la figlia dei servi di Perpetua, anch'ella in giovane età e in attesa di un bimbo. Entrambe vengono fatte prigioniere e condannate a morte dall'Imperatore Settimio Severo perchè cristiane. Descrive la storia del loro martirio Tertulliano ne la 'PASSIONE DELLE SANTE PERPETUA E FELICITA' riportando gli scritti di Perpetua che descrivono, appunto, le vicende del loro arresto e condanna ad essere sbranate dalle fiere. Ancora rinchiuse, Felicita mette al mondo una bambina. Il suo carceriere le dice: ‘O tu che ora patisci tanto strazio, che farai quando verrai gettata in pasto a quelle belve che disprezzasti rifiutando di sacrificare?’
E quella rispose: ‘Ora sono io che devo sopportare questi strazi; quivi invece vi sarà dentro di me un altro, il quale patirà per me, perché anch’io mi dispongo a patire per lui’.
Molte sono le pressioni dei parenti, in modo particolare del padre di Perpetua, affinchè abiurino la loro fede, ma le due giovani sono irremovibili, scrive Perpetua:
'Sopravvenne allora mio padre col mio bambino tra le braccia; mi trasse indietro supplichevole disse: ‘Abbi pietà di questo bambino’.
Il procuratore Ilariano, che esercitava allora il potere esecutivo in sostituzione del proconsole Minucio Timiniano che era morto, mi disse: ‘Abbi riguardo dei capelli bianchi di tuo padre, e di questo tenero fanciullo! Offri un sacrificio per la salute degli Imperatori’. Risposi: ‘Non lo faccio’. Ilariano disse: ‘Sei tu cristiana?’. Risposi: ‘Sono cristiana’.
Mio padre mi si faceva addosso per farmi rinnegare; Ilariano comandò di trascinarlo via e per di più lo fece cacciare a bastonate. Mi dolse il caso di mio padre, mi parve di sentire quei colpi sulle mie membra; mi piangeva il cuore per quella sua miseranda vecchiaia.
Frattanto il procuratore pronunziò la nostra sentenza condannandoci alle fiere.
Contenti ritornammo alla prigione.
Il mio bambino soleva starmi alle poppe e restare con me in carcere; onde io tosto mandai il diacono Pomponio perché chiedesse il piccino a mio padre. Questi non volle consegnarglielo. E come piacque a Dio, il bambino cessò di domandare la mammella, e io fui libera dall’infiammazione che ciò cagionava, né più fui oppressa dalla cura del fanciullo e dal dolore delle mammelle'.
Questa è la descrizione del martirio:
Per le giovani, il diavolo preparò una vacca ferocissima, cosa veramente inusitata, quasi volesse fare, anche con quella bestia, uno sfregio al loro sesso. Spogliate dunque, e ravviluppate nei reticoli, esse venivano condotte nell’arena. La folla fu presa da un senso di ribrezzo, vedendole tenera fanciulla una, l’altra ancora fresca di parto e con le poppe stillanti. Furono allora richiamate e rivestite con lunghe tuniche.
Perpetua, acciuffata per la prima e sbattuta, ricadde a terra supina. Messasi a sedere, raccolse i lembi della tunica lacerata sul fianco per coprirsi il femore, più ansiosa del proprio pudore che del proprio dolore. Indi raccolse le forcelle, si appuntò la scomposta capigliatura: non s’addiceva davvero a una martire soffrire la passione con le chiome disciolte, sì da sembrare far lutto nella sua gloria! Ciò fatto, s’alzò in piedi, e, veduta Felicita colpita, le si avvicinò porgendole la mano per rialzarla. Così stettero alquanto, fino a che, ammansita la ferocia della folla, furono richiamate e
atte uscire per la porta Sanavivaria.
La folla reclamava che fossero portati in vista, per seguire con i loro occhi omicidi l’entrar del coltello nelle carni di quelli; volevano por fine al martirio con il santo rito della pace. Gli altrii martiri si rizzarono spontaneamente e si trascinarono fin là dove la marmaglia voleva. Già s’erano dato fra loro il bacio, ché ben ricevettero il ferro raccolti in silenzio. Tosto rese lo spirito Sàturo, che era asceso per primo nella scala; egli perché il ferro le si impigliò tra le vertebre della golaattendeva Perpetua che gli tenesse dietro. A questa era ancora riserbato di gustare qualche tormento: Mandò un forte gemito, e prese essa stessa a guidare la incerta mano dell’inetto gladiatore, aggiustandosi la punta alle carni. Ma forse una donna di tanto valore, che incuteva spavento allo spirito immondo, non avrebbe altrimenti potuto essere uccisa se essa non l’avesse voluto!'.
da: P. VANNUTELLI – a cura di –, Atti dei Martiri 1, Città del Vaticano, ristampa 1962, 14-57
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