MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

sabato 29 settembre 2012

Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele

 


Oggi la Chiesa ricorda i tre Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele. Sia il Nuovo che l'Antico Testamento sono pieni di riferimenti agli Angeli, protagonisti di eventi miracolosi, messaggeri di Dio recanti aiuto e protezione agli uomini.

Dalle 'Omelie sui Vangeli' di San Gregorio Magno
E' da sapere che il termine 'angelo' denota l'ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poichè solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli.
Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l'arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi.
Ad essi vengono attribuiti nomi particolari, perchè anche dal modo di chiamarli appaia quale tipo di ministero è loro affidato. Nella santa città del cielo, resa perfetta dalla piena conoscenza che scaturisce dalla visione di Dio Onnipotente, gli angeli non hanno nomi particolari, che contraddistinguano le loro persone. Ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall'ufficio che esercitano.
Così Michele, significa: chi è come Dio? Gabriele: Fortezza di Dio, e Raffaele: Medicina di Dio.
Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perchè si possa comprendere , dall'azione e dal nome che nessuno può agire come Dio. L'antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio, dicendo Salirò in cielo (Is 14, 13-14) sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all'Altissimo, alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all'estremo supplizio. Orbene egli viene rappresentato in atto di combattere con l'arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: " Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago " (Ap 12,7).
A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio; Egli veniva ad annunziare colui che si degnò di apparire nell'umiltà per debellare le potenze maligne dell'aria. Doveva dunque essere annunziato da "Fortezza di Dio" colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero. Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu dunque giusto che venisse chiamato "Medicina di Dio" colui che venne inviato a operare guarigioni.

Una breve preghiera: " O Padre, che chiami glia angeli e gli uomini a cooperare al tuo disegno di salvezza, concedi a noi, pellegrini sulla terra, la protezione degli spiriti beati, che in cielo stanno davanti a te per servirti e contemplano la gloria del tuo volto. Per Cristo Nostro Signore."Amen

venerdì 28 settembre 2012

San Venceslao

Venceslao, principe di Boemia, nasce a Stochow (Repubblica Ceca ) verso il 907 . Viene educato cristianamente dalla nonna Santa Ludmilla, morta martire per mano della nuora (madre di Venceslao).  Giovanissimo, succede al padre, seppur con la reggenza di sua madre Drahomira.Una volta assunto il potere effettivo, Venceslao si adopera per la cristianizzazione del Paese, chiamandovi missionari tedeschi, perché questo fa parte della sua linea generale di governo: avvicinare la Boemia all’Europa occidentale e alla sua cultura (anche se non mancano conflitti con regnanti germanici).  La sua giovane età e il suo stile ne fanno un modello per molti suoi sudditi, ma proprio la vasta popolarità mette contro di lui – per motivi religiosi e di potere – una parte della nobiltà, che obbedisce (o che si è imposta) al suo fratello minore Boleslao. La madre  preferisce questo figlio, il secondogenito Boleslao, e fomenta a tal punto la rivalità fra i due fratelli  tanto da indurre Boleslao ad ordire una congiura contro il fratello per ucciderlo. Questi, non osando aggredire Venceslao in Praga, lo invita nel suo castello di Stará Boleslav. Si pensa di ucciderlo durante il pranzo, ma certe parole di Venceslao fanno temere che abbia scoperto il complotto. Allora lo si aspetta quando va in chiesa (da solo, come sempre) per recitarvi la preghiera delle Ore. E qui viene assassinato (la data è incerta ma si pensa sia tra il 929 ed il 935). Dice una leggenda che Boleslao tentò per primo di colpirlo, ma Venceslao reagì buttandolo a terra e facendogli cadere la spada; poi generosamente la raccolse e la volle restituire al fratello in segno di perdono.
Questo fu il suo ultimo gesto di grandezza, troncato dai sicari di Boleslao che lo colpirono a morte tutti insieme. Il corpo fu portato a Praga e sepolto nella chiesa di San Vito. Già nel secolo X Venceslao fu oggetto di culto, e nel secolo successivo diventò il simbolo dello Stato boemo.Venceslao visse nel periodo in cui, in Boemia, il Cristianesimo era agli albori e l'attività apostolica e missionaria erano molto difficili e pericolose. Egli, profondamente religioso, contribuì alla diffusione del messaggio evangelico, promuovendo religiosamente e culturalmente il proprio popolo e, per la sua bontà e per la sua rettitudine, divenne il santo più popolare della Boemia.

giovedì 27 settembre 2012

San Vincenzo dè Paoli

Nato a Pouy in Guascogna il 24 aprile 1581, fino a quindici anni fece il guardiano di porci per poter pagarsi gli studi. Ordinato sacerdote a 19 anni. Nel 1605 mentre viaggiava da Marsiglia a Narbona fu fatto prigioniero dai pirati turchi e venduto come schiavo a Tunisi. Venne liberato dal suo stesso «padrone», che convertì. Da questa esperienza nacque in lui il desiderio di recare sollievo materiale e spirituale ai galeotti. Nel 1612 diventò parroco nei pressi di Parigi. Alla sua scuola si formarono sacerdoti, religiosi e laici che furono gli animatori della Chiesa di Francia, e la sua voce si rese interprete dei diritti degli umili presso i potenti. Promosse una forma semplice e popolare di evangelizzazione. Fondò i Preti della Missione (Lazzaristi) e insieme a santa Luisa de Marillac, le Figlie della Carità (1633). Diceva ai sacerdoti di S. Lazzaro: «Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore del nostro volto». Per lui la regina di Francia inventò il Ministero della Carità. E da insolito «ministro» organizzò gli aiuti ai poveri su scala nazionale. Morì a Parigi il 27 settembre 1660 e fu canonizzato nel 1737. (Avvenire)

domenica 23 settembre 2012

San Pio da Pietrelcina

Francesco Forgione nasce a Pietrelcina in prov. di Benevento il 25 maggio 1887. I suoi genitori Grazio e Giuseppa sono poveri contadini ma di grande fede e devozione: in famiglia si prega il Santo Rosario tutte le sere insieme in un clima di amore e filiale devozione alla Madonna. Ben presto la vita soprannaturale si manifesta al piccolo Francesco: egli riceve, infatti, di frequente la visita di Gesù e Maria, vede demoni e angeli. Il 22 gennaio 1993 entra nel Convento francescano cappuccino di Morcone dove gli viene imposto il nome di fra Pio. Il 7 agosto 1910 è ordinato sacerdote. Nei primi anni di sacerdozio spesso deve far ritorno a casa per le sue pessime condizioni di salute. Padre Pio ha continue sofferenze nel corpo e nello spirito per le continue vessazioni del demonio che lo percuote e lo tortura. Nel 1916 viene trasferito a San Giovanni Rotondo in prov. di Foggia, nel Convento di Santa Maria delle Grazie, dove rimarrà sino alla morte e da dove inizia per P. Pio la straodinaria vita della grazia che si manifesta con guarigioni e prodigi. P. Pio dal suo confessionale attira migliaia e migliaia di gente, opera guarigioni e soprattutto conversioni. Il 20 settembre 1918 riceve dal Signore il dono delle stimmate che resteranno aperte, dolorose e sanguinanti per 50 anni e a causa delle quali P. Pio subirà calunnie, persecuzioni, ispezioni canoniche, incomprensioni, visite mediche. P. Pio obbedisce, tace, accetta e sopporta con grande serenità, fede e abbandono alla Madre Celeste che è tutta la sua forza, la sua consolazione e ragione di vita. Il segreto della santità di P. Pio è proprio la Vergine Maria! A lei, nel maggio 1956, dedica la 'Casa sollievo della sofferenza' grande opera ospedaliera oggi molto accreditata presso la comunità nazionale ed internazionale. Negli anni quaranti avvia i gruppi di preghiera che oggi sono sparsi in tutto il mondo. Muore il 23 settembre 1968 a 81 anni dopo una vita spesa per guadagnare le anime a Dio mediante la direzione spirituale dei fedeli, la riconciliazione sacramentale dei penitenti e la celebrazione dell'Eucaristia. P. Pio è stato uomo di grande preghiera, passava la giornata e gran parte della notte in colloquio con Dio
Fu sempre immerso nelle realtà soprannaturali. Non solo egli era l'uomo della speranza e della fiducia totale in Dio, ma infondeva queste virtù in tutti quelli che lo avvicinavano, con le parole e con l'esempio.E' santo dal 16 giugno 2002.

biografia dal sito della Santa Sede
omelia del Santo Padre Giovanni Paolo II nel giorno della canonizzazione
 

venerdì 21 settembre 2012

San Matteo, apostolo

 
Matteo, detto anche Levi, vive a Cafarnao in Galilea, è un pubblicano, un esattore delle tasse e Gesù lo chiama a seguirlo per far parte dei Dodici. Pochissimo si sa della sua vita. Lo troviamo nominato nei Vangeli di Gesù e negli atti degli Apostoli. Ha scritto il primo dei Vangeli in lingua aramaica. La Santa Chiesa lo onora come martire.

martedì 18 settembre 2012

San Giuseppe da Copertino

 
Giuseppe Maria Desa, figlio di Felice Desa e di Franceschina, nasce il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese.
Il padre, maestro nella fabbricazione dei carri, era persona di fiducia dei signori locali, che a Copertino possedevano un castello; aveva sposato Franceschina di famiglia benestante, industriosa e pia, che aveva portato una discreta dote in ducati.
Felice, per fare un favore ad un amico gli fa da garante per un affare che lo porterà al tracollo finanziario. Felice viene denunciato, perde la casa ed il lavoro, finendo in miseria con tutta la famiglia.
Per questo motivo Giuseppe, il sesto figlio, nasce in una stalla dove Felice aveva portato l'intera famiglia per abitarvi. P
oco tempo dopo egli muore per il grande dispiacere e Franceschina rimane sola con sei figli senza l’aiuto di nessuno.
La povera vedova e i figli, vissero anni tristissimi e Giuseppe faceva il garzone in un negozio.
In paese lo chiamavano “Boccaperta” per la sua abituale distrazione; Il creditore del padre ottiene dal Supremo Tribunale di Napoli, che Giuseppe unico figlio maschio di Felice e Franceschina, una volta raggiunta la maggiore età, fosse obbligato a lavorare senza paga, fino a saldare il debito del defunto genitore.
In pratica gli si prospettava una vita senza speranza, da considerare una vera e propria schiavitù; l’unico modo per sfuggire a questa desolante prospettiva era farsi sacerdote o frate.
Sacerdote non era possibile, in quanto Giuseppe non sapeva niente di lettere e istruzione, forse frate andava bene, perché occorrevano braccia per lavorare e su questo non c’era difetto.
A quasi 17 anni, lascia la madre e bussa alla porta dei Frati Francescani Conventuali, ma dopo un periodo di prova viene mandato via, per la sua poca letteratura, per semplicità ed ignoranza.
Si rivolge ai Francescani Riformati, ma anche questi dopo un po’ lo rifiutano; allora chiede ai Cappuccini di Martina Franca, dove resta otto mesi, ma per la sua inettitudine Giuseppe procura continui disastri, aggravati da improvvise estasi durante le quali lascia cadere piatti e scodelle, i cui cocci vengono  attaccati alle sue vesti in segno di penitenza.
Nel marzo 1621 viene rimandato a casa, sostenendo che non era adatto alla vita spirituale né ai lavori manuali. Aveva una incapacità naturale e una preoccupazione soprannaturale, ma mentre la prima era evidente, la seconda sfuggiva a tutti.
Uscito dal convento rivestito con pochi stracci, perché aveva perso una parte del suo abito da laico, viene scambiato per un poco di buono, assalito dai cani di una vicina stalla e quasi bastonato dai pastori; viene respinto dallo zio paterno e persino la madre lo maltratta, rimproverandogli di essersi fatto cacciare dal convento e che per lui non c’è più posto.
Grazie all’interessamento dello zio materno, riesce, dopo molte insistenze, a farsi accettare di nuovo dai Conventuali della ‘Grottella’, esponendo il suo caso per sfuggire alla condanna del Tribunale; i frati prendono a cuore la sua situazione e lo ammettono nella comunità, prima come oblato, poi come terziario e finalmente come fratello laico.
Addetto ai lavori pesanti e alla cura della mula del convento, Giuseppe ben presto esprime il desiderio di diventare sacerdote, ma sa appena leggere e scrivere e nonostante intraprende gli studi con volontà e difficoltà; quando dovrà superare l’esame per il diaconato davanti al vescovo, accade che a Giuseppe, il quale non era mai riuscito a spiegare il Vangelo dell’anno liturgico tranne un brano, il vescovo, aprendo a caso il libro, domanda il commento delle frase: “Benedetto il grembo che ti ha portato”, è proprio l’unico brano che egli era riuscito a spiegare.
Quando trascorsi i tre anni di preparazione al sacerdozio, bisognava superare l’ultimo e più difficile esame, i postulanti conoscevano il programma alla perfezione, tranne Giuseppe; il vescovo ascolta i primi che risposero brillantemente all’interrogazione e convinto che anche gli altri fossero altrettanto preparati, li ammise tutti in massa, era il 4 marzo 1628.
Per la seconda volta fra Giuseppe, supera l’ostacolo degli esami in modo stupefacente e viene ordinato sacerdote per volere di Dio.


Si definiva fratel Asino, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare gli altri uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente, per il non sapere maneggiare gli oggetti, ciò nonostante nel corso della sua vita ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace.
Un professore dell’Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo”.

Possedeva il dono della scienza infusa, nonostante che si definisse “il frate più ignorante dell’Ordine Francescano”; amava i poveri, alzava la voce contro gli abusi dei potenti, ai compiti propri del sacerdote, univa i lavori manuali, aiutava il cuoco, faceva le pulizie del convento, coltivava l’orto e usciva umilmente per la questua.
Amabile, sapeva essere sapiente nel dare consigli ed era molto ricercato dentro e fuori del suo Ordine. Dopo due anni di terribile aridità spirituale, a frate Giuseppe si accentuarono i fenomeni delle estasi con levitazioni; dava improvvisamente un grido e si elevava da terra quando si pronunciavano i nomi di Gesù o di Maria, nel contemplare un quadro della Madonna, mentre pregava davanti al Tabernacolo; una volta volando andò a posarsi in ginocchio in cima ad un olivo, rimanendovi per una mezz’ora finché durò l’estasi.
In effetti volava nell’aria come un uccello, fenomeni che ancora oggi gli studiosi cercano di capire se erano di natura parapsicologica o mistica; il fatto storico è che questi fenomeni sono avvenuti e in presenza di tanta gente stupefatta, che s. Giuseppe da Copertino non era un ciarlatano né un mago, ma semplicemente un uomo di Dio, il quale opera prodigi e si rivela ai più umili e semplici.
Comunque frate Giuseppe costituì un problema per i suoi Superiori, che lo mandarono in vari conventi dell’Italia Centrale, per distogliere da lui l’attenzione del popolo, che sempre più numeroso accorreva a vedere il santo francescano.
Di lui si interessò l’Inquisizione di Napoli, che lo convocò per capire di che si trattasse e nel monastero napoletano di S. Gregorio Armeno, davanti ai giudici, Giuseppe ebbe un’estasi; la Congregazione romana del Santo Uffizio alla presenza del papa Urbano VIII, lo assolse dall’accusa di abuso della credulità popolare e lo confinò in un luogo isolato, lontano da Copertino e sotto sorveglianza del tribunale.

Aveva familiarità con gli animali, con cui conversava e come si era identificato in fratel Asino, così identificava gli altri uomini nelle sembianze dell’animale che meglio simboleggiava le sue caratteristiche di vita.
Nel 1656 papa Alessandro VII mise fine al suo peregrinare da un convento all’altro, destinandolo ad Osimo dove rimase per sette anni fino alla morte, continuando ad avere estasi, a sollevarsi da terra e ad operare prodigi miracolosi.
Muore il 18 settembre 1663 a 60 anni; viene beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII.
Riposa nella chiesa a lui dedicata ad Osimo.


Autore:
Antonio Borrelli


lunedì 17 settembre 2012

Santa Hildegarde di Bingen

Hildegarde nasce a Bermersheim vor der Höhe(Assia) nel Castello di Boeckenheim, nel 1098 ultima di dieci figli, da famiglia di nobili origini. Viene portata nel Monastero Benedettino di Disinbodenberg all'età di otto anni come scolara, ma vi resta prendendo i voti come monaca. Nel 1136 diventa Abbadessa. Nel 1147 fonda un Monastero a Bingen, dove si trasferisce, e nel 1165 ne fonda un altro ad Eibingen. Hildegarde è una monaca che ha esperienze mistiche, parla del Cielo e della terra, è colta, scrive musica, riceve messaggi dal Signore, discute con maestri di teologia, di dogmatica e di morale, è esperta di medicina e di scienze naturali, cosmologia, drammaturgia, linguistica, è scrittrice, naturalista, filosofa, poetessa, compositrice. Sono documentati i suoi incontri con Federico Barbarossa, Filippo d'Alsazia, san Bernardo (al quale scrive delle sue esperienze mistiche), Eugenio III. Nonostante sia delicata e di salute cagionevole, intraprende numerosi viaggi per visitare i monasteri, predicare nelle piazze, affrontando una lunga vita piena di lavoro, lotte, contrasti spirituali e di sacrifici. Il suo carattere e le sue capacità esprimono appieno il significato del suo nome 'colei che è audace in battaglia'. Il 17 settembre 1179 termina questa sua battaglia fatta nel nome del Signore. Il suo processo di canonozzazione iniziato tanti secoli fa non si è mai concluso, ma Hildegarde è sempre stata venerata come santa. Papa Benedetto XVI il 10 maggio 2012 l'ha ufficialmente elevata agli onori degli altari e il 7 ottobre la proclamerà Dottore della Chiesa.
Le sue reliquie si trovano nel Monastero Benedettino di Rüdesheim am Rhein (sito ufficiale) .
Oggi la Chiesa ricorda anche san Roberto Bellarmino (qui)   Federico Barbarossa, Filippo d'Alsazia, san Bernardo, Eugenio III 

San Roberto Bellarmino

Roberto nasce il 4 ottobre 1542 a Montepulciano da Vincenzo e Cinzia Cervini (sorella di papa Marcello II). Studia nel neo collegio cittadino dei Gesuiti. Il 20 settembre 1560 fa la sua professione religiosa. Comincia così il suo peregrinare in varie città d'Italia e nelle Fiandre per approndire gli studi umanistici. Nel 1570 a Gand in Belgio, viene ordinato sacerdote. La sua attività principale sarà quella di predicatore ed insegnante e nel 1576 papa Gregorio XIII lo chiama a Roma per affidargli la cattedra di Apologetica presso il Collegio Romano, dove svolse anche l'incarico di direttore spirituale. In questo periodo diede un grande contributo spirituale, teologico e culturale con la sua monumentale opera, all'ortodossia cattolica minacciata dalla devastante riforma protestante. Nel Collegio Romano ha la grazia di essere insegnante e padre spirituale di Luigi Gonzaga. Il 3 marzo 1599 è creato cardinale ed il 18 marzo 1602 arcivescovo di Capua. Muore il 17 settembre 1621. Il suo corpo si può venerare nella Chiesa di sant' Ignazio di Loyola a Roma. E' Dottore della Chiesa per i suoi numerosi scritti di natura polemica, esegetica, spirituale e catechetica. San Roberto Bellarmino è stato grande maestro e modello di virtù cristiana ed ha dedicato la sua vita a conservare e difendere l'integrità della fede cattolica.
Oggi la Santa Chiesa ricorda anche santa Hildegarde di Bingen (qui)     

sabato 15 settembre 2012

Vergine Addolorata

 
Dai "Discorsi" di San Bernardo, abate
Il martirio della Vergine viene celebrato tanto nella profezia di Simeone, quanto nella storia stessa della Passione del Signore. Egli è posto, dice del bambino Gesù il santo vegliardo, quale segno di contraddizione, e una spada, dice poi rivolgendosi a Maria, trapasserà la sua stessa anima (cfr. Lc 2,34-35).Una spada ha trapassato veramente la tua anima, o Santa Madre nostra! Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l'anima della Madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti, ma specialmente tuo, era spirato, la lancia crudele non potè arrivare alla sua anima. Quando, infatti non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te si. A te trapassò l'anima. L'anima di Lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza del dolore trapassò la tua anima, e così non senza ragione ti possiamo chiamare più che martire, perchè in te la partecipazione alla passione del Figlio , superò di molto, nell'intensità, le sofferenze fisiche del martirio.
(.....) Non meravigliatevi, o fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. (....) Qualcuno potrebbe forse obiettare: Ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo. Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia. E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente e in modo veramente terribile. Del resto chi sei mai tu, fratello, e quale genere strano di sapienza è il tuo, se ti meravigli della solidarietà nel dolore della Madre col Figlio, più che del dolore del Figlio stesso di Maria? Egli ha potuto morire anche nel corpo, e questa non ha potuto morire con lui nel suo cuore?
Nel Figlio operò l'amore superiore a ogni altro amore. Nella Madre operò l'amore, al quale dopo quello di Cristo nessun altro amore si può paragonare.
...............................................

Penso a tutte le mamme che hanno perso un figlio. Spero che il dolore di Maria sia loro di conforto.

venerdì 14 settembre 2012

Esaltazione della Croce



La festa in onore della croce di Cristo venne celebrata, per la prima volta, in Oriente. Fu Santa Elena a trovarla miracolosamente ed ora si trova nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a ROMA.
 (leggete qui)
La croce di Cristo è per noi l'albero della vita!
In Oriente la festa è celebrata come la Pasqua, la croce è il trono da dove Cristo regna vittorioso sulla morte e sul peccato, è segno di gloria, di trionfo, di gioia, di salvezza, per questo Cristo in croce viene raffigurato sempre trionfante.
 


Un libro che mi è piaciuto particolarmente è questo
una storia un pò romanzata, ma ricca di riferimenti storici, sulla vita di  Santa Elena e sul ritrovamento della Santa Croce.
Leggete questa recensione
 

'Adoramus Te Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.'

giovedì 13 settembre 2012

San Giovanni Crisostomo


Giovanni nasce ad Antiochia (Turchia) intorno al 349 d.C.Vive gli anni della giovinezza da monaco in casa propria. Viene ordinato sacerdote dal vescoco Fabiano e ne diventa collaboratore. Eletto vescovo di Costantinopoli nel 397, si rivela un grande pastore, mirabile per l'eloquenza (da qui il nome di 'crisostomo', bocca d'oro) e forte nelle persecuzioni che deve subire a causa dell'odio dei suoi nemici personali e della corte bizantina. Si prodiga assiduamente per la riforma dei costumi, per formare i fedeli alla vita cristiana ed illustrare la dottrina cattolica. Muore a Comana sul mar Nero il 14 settembre 407. Ci lascia numerosi e preziosi scritti. La Chiesa lo ha proclamato Dottore per la sua sapienza. 

BENEDETTO XVI
 
UDIENZA GENERALE



Piazza San Pietro
Mercoledì, 19 settembre 2007




San Giovanni Crisostomo


I: Gli anni di Antiochia


Cari fratelli e sorelle,


quest’anno ricorre il sedicesimo centenario della morte di san Giovanni Crisostomo (407-2007). Giovanni di Antiochia, detto Crisostomo, cioè «Bocca d’oro» per la sua eloquenza, può dirsi vivo ancora oggi, anche a motivo delle sue opere. Un anonimo copista lasciò scritto che esse «attraversano tutto l’orbe come fulmini guizzanti». I suoi scritti permettono anche a noi, come ai fedeli del suo tempo, che ripetutamente furono privati di lui a causa dei suoi esili, di vivere con i suoi libri, nonostante la sua assenza. E’ quanto egli stesso suggeriva dall’esilio in una sua lettera (cfr A Olimpiade, Lettera 8,45).


Nato intorno al 349 ad Antiochia di Siria (oggi Antakya, nel sud della Turchia), vi svolse il ministero presbiterale per circa undici anni, fino al 397, quando, nominato Vescovo di Costantinopoli, esercitò nella capitale dell’Impero il ministero episcopale prima dei due esili, seguiti a breve distanza l’uno dall’altro, fra il 403 e il 407. Ci limitiamo oggi a considerare gli anni antiocheni del Crisostomo.


Orfano di padre in tenera età, visse con la madre, Antusa, che trasfuse in lui una squisita sensibilità umana e una profonda fede cristiana. Frequentando gli studi superiori, coronati dai corsi di filosofia e di retorica, ebbe come maestro Libanio, pagano, il più celebre retore del tempo. Alla sua scuola, Giovanni divenne il più grande oratore della tarda antichità greca. Battezzato nel 368 e formato alla vita ecclesiastica dal Vescovo Melezio, fu da lui istituito lettore nel 371. Questo fatto segnò l’ingresso ufficiale del Crisostomo nel cursus ecclesiastico. Frequentò, dal 367 al 372, l’Asceterio, una sorta di seminario di Antiochia, insieme con un gruppo di giovani, alcuni dei quali divennero poi Vescovi, sotto la guida del famoso esegeta Diodoro di Tarso, che avviò Giovanni all'esegesi storico-letterale, caratteristica della tradizione antiochena.


Si ritirò poi per quattro anni tra gli eremiti sul vicino monte Silpio. Proseguì quel ritiro per altri due anni, vissuti da solo in una grotta sotto la guida di un «anziano». In quel periodo si dedicò totalmente a meditare «le leggi di Cristo», i Vangeli e specialmente le Lettere di Paolo. Ammalatosi, si trovò nell’impossibilità di curarsi da solo, e dovette perciò ritornare nella comunità cristiana di Antiochia (cfr Palladio, Vita 5). Il Signore – spiega il biografo – intervenne con l’infermità al momento giusto per permettere a Giovanni di seguire la sua vera vocazione. In effetti scriverà lui stesso che, posto nell’alternativa di scegliere tra le traversie del governo della Chiesa e la tranquillità della vita monastica, avrebbe preferito mille volte il servizio pastorale (cfr Il sacerdozio 6,7): proprio a questo il Crisostomo si sentiva chiamato. E qui si compie la svolta decisiva della sua storia vocazionale: Pastore d’anime a tempo pieno! L’intimità con la Parola di Dio, coltivata durante gli anni del romitaggio, aveva maturato in lui l’urgenza irresistibile di predicare il Vangelo, di donare agli altri quanto egli aveva ricevuto negli anni della meditazione. L’ideale missionario lo lanciò così, anima di fuoco, nella cura pastorale.


Fra il 378 e il 379 ritornò in città. Diacono nel 381 e presbitero nel 386, divenne celebre predicatore nelle chiese della sua città. Tenne omelie contro gli ariani, seguite da quelle commemorative dei martiri antiocheni e da altre sulle festività liturgiche principali: si tratta di un grande insegnamento della fede in Cristo, anche alla luce dei suoi Santi. Il 387 fu l’«anno eroico» di Giovanni, quello della cosiddetta «rivolta delle statue». Il popolo abbatté le statue imperiali, in segno di protesta contro l’aumento delle tasse. Si vede che alcune cose nella storia non cambiano! In quei giorni di Quaresima e di angoscia, a motivo delle incombenti punizioni da parte dell’imperatore, egli tenne le sue 22 vibranti Omelie sulle statue, finalizzate alla penitenza e alla conversione. Seguì il periodo della serena cura pastorale (387-397).


Il Crisostomo si colloca tra i Padri più prolifici: di lui ci sono giunti 17 trattati, più di 700 omelie autentiche, i commenti a Matteo e a Paolo (Lettere ai Romani, ai Corinti, agli Efesini e agli Ebrei), e 241 lettere. Non fu un teologo speculativo. Trasmise, però, la dottrina tradizionale e sicura della Chiesa in un’epoca di controversie teologiche suscitate soprattutto dall’arianesimo, cioè dalla negazione della divinità di Cristo. È pertanto un testimone attendibile dello sviluppo dogmatico raggiunto dalla Chiesa nel IV-V secolo. La sua è una teologia squisitamente pastorale, in cui è costante la preoccupazione della coerenza tra il pensiero espresso dalla parola e il vissuto esistenziale. È questo, in particolare, il filo conduttore delle splendide catechesi, con le quali egli preparava i catecumeni a ricevere il Battesimo. Prossimo alla morte, scrisse che il valore dell’uomo sta nella «conoscenza esatta della vera dottrina e nella rettitudine della vita» (Lettera dall’esilio). Le due cose, conoscenza della verità e rettitudine nella vita, vanno insieme: la conoscenza deve tradursi in vita. Ogni suo intervento mirò sempre a sviluppare nei fedeli l’esercizio dell’intelligenza, della vera ragione, per comprendere e tradurre in pratica le esigenze morali e spirituali della fede.


Giovanni Crisostomo si preoccupa di accompagnare con i suoi scritti lo sviluppo integrale della persona, nelle dimensioni fisica, intellettuale e religiosa. Le varie fasi della crescita sono paragonate ad altrettanti mari di un immenso oceano: «Il primo di questi mari è l’infanzia» (Omelia 81,5 sul Vangelo di Matteo). Infatti «proprio in questa prima età si manifestano le inclinazioni al vizio e alla virtù». Perciò la legge di Dio deve essere fin dall’inizio impressa nell’anima «come su una tavoletta di cera» (Omelia 3,1 sul Vangelo di Giovanni): di fatto è questa l’età più importante. Dobbiamo tener presente come è fondamentale che in questa prima fase della vita entrino realmente nell’uomo i grandi orientamenti che danno la prospettiva giusta all’esistenza. Crisostomo perciò raccomanda: «Fin dalla più tenera età premunite i bambini con armi spirituali, e insegnate loro a segnare la fronte con la mano» (Omelia 12,7 sulla prima Lettera ai Corinzi). Vengono poi l’adolescenza e la giovinezza: «All'infanzia segue il mare dell’adolescenza, dove i venti soffiano violenti..., perchè in noi cresce... la concupiscenza» (Omelia 81,5 sul Vangelo di Matteo). Giungono infine il fidanzamento e il matrimonio: «Alla giovinezza succede l’età della persona matura, nella quale sopraggiungono gli impegni di famiglia: è il tempo di cercare moglie” (ibid.). Del matrimonio egli ricorda i fini, arricchendoli – con il richiamo alla virtù della temperanza – di una ricca trama di rapporti personalizzati. Gli sposi ben preparati sbarrano così la via al divorzio: tutto si svolge con gioia e si possono educare i figli alla virtù. Quando poi nasce il primo bambino, questi è «come un ponte; i tre diventano una carne sola, poiché il figlio congiunge le due parti» (Omelia 12,5 sulla Lettera ai Colossesi), e i tre costituiscono «una famiglia, piccola Chiesa» (Omelia 20,6 sulla Lettera agli Efesini).


La predicazione del Crisostomo si svolgeva abitualmente nel corso della liturgia, «luogo» in cui la comunità si costruisce con la Parola e l’Eucaristia. Qui l’assemblea riunita esprime l’unica Chiesa (Omelia 8,7 sulla Lettera ai Romani), la stessa parola è rivolta in ogni luogo a tutti (Omelia 24,2 sulla prima Lettera ai Corinzi), e la comunione eucaristica si rende segno efficace di unità (Omelia 32,7 sul Vangelo di Matteo). Il suo progetto pastorale era inserito nella vita della Chiesa, in cui i fedeli laici col Battesimo assumono l’ufficio sacerdotale, regale e profetico. Al fedele laico egli dice: «Pure te il Battesimo fa re, sacerdote e profeta» (Omelia 3,5 sulla seconda Lettera ai Corinzi). Scaturisce di qui il dovere fondamentale della missione, perché ciascuno in qualche misura è responsabile della salvezza degli altri: «Questo è il principio della nostra vita sociale... non interessarci solo di noi!» (Omelia 9,2 sulla Genesi). Il tutto si svolge tra due poli: la grande Chiesa e la «piccola Chiesa», la famiglia, in reciproco rapporto.


Come potete vedere, cari fratelli e sorelle, questa lezione del Crisostomo sulla presenza autenticamente cristiana dei fedeli laici nella famiglia e nella società, rimane ancor oggi più che mai attuale. Preghiamo il Signore perché ci renda docili agli insegnamenti di questo grande Maestro della fede.



Piazza San Pietro
Mercoledì, 26 settembre 2007

II: Gli anni di Costantinopoli


Cari fratelli e sorelle,


continuiamo oggi la nostra riflessione su san Giovanni Crisostomo. Dopo il periodo passato ad Antiochia, nel 397 egli fu nominato Vescovo di Costantinopoli, la capitale dell’Impero romano d’Oriente. Fin dall’inizio, Giovanni progettò la riforma della sua Chiesa: l’austerità del palazzo episcopale doveva essere di esempio per tutti – clero, vedove, monaci, persone della corte e ricchi. Purtroppo, non pochi di essi, toccati dai suoi giudizi, si allontanarono da lui. Sollecito per i poveri, Giovanni fu chiamato anche «l’Elemosiniere». Da attento amministratore, infatti, era riuscito a creare istituzioni caritative molto apprezzate. La sua intraprendenza nei vari campi ne fece per alcuni un pericoloso rivale. Egli, tuttavia, come vero Pastore, trattava tutti in modo cordiale e paterno. In particolare, riservava accenti sempre teneri per la donna e cure speciali per il matrimonio e la famiglia. Invitava i fedeli a partecipare alla vita liturgica, da lui resa splendida e attraente con geniale creatività.


Nonostante il suo cuore buono, non ebbe una vita tranquilla. Pastore della capitale dell’Impero, si trovò coinvolto spesso in questioni e intrighi politici, a motivo dei suoi continui rapporti con le autorità e le istituzioni civili. Sul piano ecclesiastico, poi, avendo deposto in Asia nel 401 sei Vescovi indegnamente eletti, fu accusato di aver varcato i confini della propria giurisdizione, e diventò così bersaglio di facili accuse. Un altro pretesto contro di lui fu la presenza di alcuni monaci egiziani, scomunicati dal patriarca Teofilo di Alessandria e rifugiatisi a Costantinopoli. Una vivace polemica fu poi originata dalle critiche mosse dal Crisostomo all’imperatrice Eudossia e alle sue cortigiane, che reagirono gettando su di lui discredito e insulti. Si giunse così alla sua deposizione, nel sinodo organizzato dallo stesso patriarca Teofilo nel 403, con la conseguente condanna al primo breve esilio. Dopo il suo rientro, l’ostilità suscitata contro di lui dalla protesta contro le feste in onore dell’imperatrice – che il Vescovo considerava come feste pagane, lussuose –, e la cacciata dei presbiteri incaricati dei Battesimi nella Veglia pasquale del 404 segnarono l’inizio della persecuzione di Crisostomo e dei suoi seguaci, i cosiddetti «Giovanniti».


Allora Giovanni denunciò per lettera i fatti al Vescovo di Roma, Innocenzo I. Ma era ormai troppo tardi. Nell’anno 406 dovette di nuovo recarsi in esilio, questa volta a Cucusa, in Armenia. Il Papa era convinto della sua innocenza, ma non aveva il potere di aiutarlo. Un Concilio, voluto da Roma per una pacificazione tra le due parti dell’Impero e tra le loro Chiese, non poté avere luogo. Lo spostamento logorante da Cucusa verso Pytius, mèta mai raggiunta, doveva impedire le visite dei fedeli e spezzare la resistenza dell’esule sfinito: la condanna all’esilio fu una vera condanna a morte! Sono commoventi le numerose lettere dall’esilio, in cui Giovanni manifesta le sue preoccupazioni pastorali con accenti di partecipazione e di dolore per le persecuzioni contro i suoi. La marcia verso la morte si arrestò a Comana nel Ponto. Qui Giovanni moribondo fu portato nella cappella del martire san Basilisco, dove esalò lo spirito a Dio e fu sepolto, martire accanto al martire (Palladio, Vita 119). Era il 14 settembre 407, festa dell’Esaltazione della santa Croce. La riabilitazione ebbe luogo nel 438 con Teodosio II. Le reliquie del santo Vescovo, deposte nella chiesa degli Apostoli a Costantinopoli, furono poi trasportate nel 1204 a Roma, nella primitiva Basilica costantiniana, e giacciono ora nella cappella del Coro dei Canonici della Basilica di San Pietro. Il 24 agosto 2004 una parte cospicua di esse fu donata dal Papa Giovanni Paolo II al Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli. La memoria liturgica del Santo si celebra il 13 settembre. Il beato Giovanni XXIII lo proclamò patrono del Concilio Vaticano II.


Di Giovanni Crisostomo si disse che, quando fu assiso sul trono della Nuova Roma, cioè di Costantinopoli, Dio fece vedere in lui un secondo Paolo, un dottore dell’Universo. In realtà, nel Crisostomo c’è un’unità sostanziale di pensiero e di azione ad Antiochia come a Costantinopoli. Cambiano solo il ruolo e le situazioni. Meditando sulle otto opere compiute da Dio nella sequenza dei sei giorni nel commento della Genesi, il Crisostomo vuole riportare i fedeli dalla creazione al Creatore: «È un gran bene», dice, «conoscere ciò che è la creatura e ciò che è il Creatore». Ci mostra la bellezza della creazione e la trasparenza di Dio nella sua creazione, la quale diventa così quasi una «scala» per salire a Dio, per conoscerlo. Ma a questo primo passo se ne aggiunge un secondo: questo Dio creatore è anche il Dio della condiscendenza (synkatábasis). Noi siamo deboli nel «salire», i nostri occhi sono deboli. E così Dio diventa il Dio della condiscendenza, che invia all’uomo caduto e straniero una lettera, la Sacra Scrittura, cosicché creazione e Scrittura si completano. Nella luce della Scrittura, della lettera che Dio ci ha dato, possiamo decifrare la creazione. Dio è chiamato «padre tenero» (philostórghios) (ibid.), medico delle anime (Omelia 40,3 sulla Genesi), madre (ibid.) e amico affettuoso (La provvidenza 8,11-12). Ma a questo secondo passo – prima la creazione come «scala» verso Dio e poi la condiscendenza di Dio tramite una lettera che ci ha dato, la Sacra Scrittura – si aggiunge un terzo passo. Dio non solo ci trasmette una lettera: in definitiva, scende Lui stesso, si incarna, diventa realmente «Dio con noi», nostro fratello fino alla morte sulla Croce. E a questi tre passi – Dio è visibile nella creazione, Dio ci dà una sua lettera, Dio scende e diventa uno di noi – si aggiunge alla fine un quarto passo. All’interno della vita e dell’azione del cristiano, il principio vitale e dinamico è lo Spirito Santo (Pneuma), che trasforma le realtà del mondo. Dio entra nella nostra stessa esistenza tramite lo Spirito Santo e ci trasforma dall’interno del nostro cuore.


Su questo sfondo, proprio a Costantinopoli Giovanni, nel commento continuato degli Atti degli Apostoli, propone l’esperienza della Chiesa primitiva (At 4,32-37) come modello per la società, sviluppando un’ «utopia» sociale (quasi una «città ideale»). Si trattava infatti di dare un’anima e un volto cristiano alla città. In altre parole, Crisostomo ha capito che non è sufficiente fare elemosina, aiutare i poveri di volta in volta, ma è necessario creare una nuova struttura, un nuovo modello di società: un modello basato sulla prospettiva del Nuovo Testamento. È la nuova società che si rivela nella Chiesa nascente. Quindi Giovanni Crisostomo diventa realmente così uno dei grandi Padri della Dottrina sociale della Chiesa: la vecchia idea della «polis» greca va sostituita da una nuova idea di città ispirata alla fede cristiana. Crisostomo sosteneva con Paolo (cfr 1 Cor 8,11) il primato del singolo cristiano, della persona in quanto tale, anche dello schiavo e del povero. Il suo progetto corregge così la tradizionale visione greca della «polis», della città, in cui larghi strati della popolazione erano esclusi dai diritti di cittadinanza, mentre nella città cristiana tutti sono fratelli e sorelle con uguali diritti. Il primato della persona è anche la conseguenza del fatto che realmente partendo da essa si costruisce la città, mentre nella «polis» greca la patria era al di sopra del singolo, il quale era totalmente subordinato alla città nel suo insieme. Così con Crisostomo comincia la visione di una società costruita dalla coscienza cristiana. Ed egli ci dice che la nostra «polis» è un’altra, «la nostra patria è nei cieli» (Fil 3,20) e questa nostra patria ci rende tutti uguali, fratelli e sorelle, anche su questa terra, e ci obbliga alla solidarietà.


Al termine della sua vita, dall’esilio ai confini dell’Armenia, «il luogo più remoto del mondo», Giovanni, ricongiungendosi alla sua prima predicazione del 386, riprese il tema a lui caro del piano che Dio persegue nei confronti dell’umanità: è un piano «indicibile e incomprensibile», ma sicuramente guidato da Lui con amore (cfr La provvidenza 2,6). Questa è la nostra certezza. Anche se non possiamo decifrare i dettagli della storia personale e collettiva, sappiamo che il piano di Dio è sempre ispirato dal suo amore. Così, nonostante le sue sofferenze, il Crisostomo riaffermava la scoperta che Dio ama ognuno di noi con un amore infinito, e perciò vuole la salvezza di tutti. Da parte sua, il santo Vescovo cooperò a questa salvezza generosamente, senza risparmiarsi, lungo tutta la sua vita. Considerava infatti ultimo fine della sua esistenza quella gloria di Dio, che – ormai morente – lasciò come estremo testamento: «Gloria a Dio per tutto!» (Palladio, Vita 11).


mercoledì 12 settembre 2012

Nome di Maria



La festa del Santissimo Nome di Maria fu concessa dal Papa nel 1513 a Cuenca una diocesi della Spagna. Nel 1671  essa fu estesa al Regno di Napoli e a Milano. Il 12 settembre 1683 il Re Giovanni III, vince l'armata turca che assediava la città di Vienna e minacciava l'intera Cristianità, in nome di Maria e pregando il santo Rosario. Così il Papa Innocenzo XI, in rendimento di grazie, estese la festa del Santo Nome di Maria, alla Chiesa Universale. Ecco cosa scrive don Alfredo Morselli a tal proposito: Vorrei fare alcune riflessioni con voi sul significato di questo nome: nella storia dell'esegesi ci sono state diverse interpretazioni del significato del nome di Maria:
 


1) "AMAREZZA"
questo significato è stato dato da alcuni rabbini: fanno derivare il nome MIRYAM dalla radice MRR = in ebraico "essere amaro". Questi rabbini sotengono che Maria, sorella di Mosè, fu chiamata così perché, quando nacque, il Faraone cominciò a rendere amara la vita degli Israeliti , e prese la decisione di uccidere i bambini ebrei.
Questa interpretazione può essere accettata da noi Cristiani pensando quanto dolore e quanta amarezza ha patito Maria nel corredimerci:
[Lam. 1,12] Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c'è un dolore simile al mio dolore...
Inoltre il diavolo, di cui il Faraone è figura, fa guerra alla stirpe della donna, rendendo amara la vita ai veri devoti di Maria, che, per altro, nulla temono, protetti dalla loro Regina.
 
2) "MAESTRA E SIGNORA DEL MARE"
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MOREH (ebr. Maestra-Signora) + YAM (= mare): come Maria, la sorella di Mosè, fu maestra delle donne ebree nel passaggio del Mar Rosso e Maestra nel canto di Vittoria (cf Es 15,20), così "Maria è la Maestra e la Signora del mare di questo secolo, che Ella ci fa attraversare conducendoci al cielo" (S.Ambrogio, Exhort. ad Virgines)
Altri autori antichi che suggeriscono questa interpretazione: Filone, S. Girolamo, S. Epifanio.
Questo parallelo tipologico tra Maria sorella di Mosè e Maria, madre di Dio, è ripreso da Ps. Agostino, che chiama Maria "tympanistria nostra" (Maria sorella di Mosè e la suonatrice di timpano degli Ebrei, Maria SS. è la tympanistria nostra, cioè dei Cristiani: il cantico di Mosè del N.T sarebbe il Magnificat, cantato appunto da Maria: questa interpretazione è sostenuta oggi dal P. Le Deaut, uno dei più grandi conoscitori delle letteratura tergumica ed ebraica in genere: secondo questo autore, S. Luca avrebbe fatto volontariamente questo parallelismo.
 
3) "ILLUMINATRICE, STELLA DEL MARE"
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da: prefisso nominale (o participiale) M + 'OR (ebr.= luce) + YAM (= mare): Così S. Gregorio Taumaturgo, S. Isidoro, S. Girolamo (insieme alla precedente)
Alcuni autori ritengono che S. Girolamo in realtà non abbia interpretato il nome come "stella del mare", ma come "stilla maris", cioè: goccia del mare.
La presenza della radice di "mare" nel nome di Maria, ha suggerito diverse interpretazioni e/paragoni di Maria con il "mare":
Pietro di Celles (+1183) Maria = "mare di grazie": di qui Montfort riprende: "Dio Padre ha radunato tutte le acque e le ha chiamate mare, ha radunato tutte le grazie e le ha chiamate Maria" (Vera Devozione, 23).
Qohelet 1,7: "tutti i fiumi entrano nel mare"; S. Bonaventura sostiene che tutte le grazie (= tutti i fiumi) che hanno avuto gli angeli, gli apostoli, i martiri, i confessori, le vergini, sono "confluite" in Maria, il mare di grazie.
S.Brigida: "ecco perchè il nome di Maria è soave per gli angeli e terribile per i demoni"
---------------
Ave maris stella, Dei Mater alma, atque semper virgo, felix coeli porta...
Questo inno sembra una meditazione sul nome di Maria, in rapporto a Maria sorella di Mosè:
"Ave maris stella" (cf significato 3); "Dei Mater ALMA atque semper virgo": Maria, sorella di Mosè, viene chiamata in Es 2,8, `ALMAH = "vergine" e, etimologicamente "nascosta"; "felix coeli porta", cioè "maestra del mare" di questo secolo che Ella ci fa attraversare (cf. significato 2)
 
 
4) PIOGGIA STAGIONALE
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MOREH (ebr. PRIMA PIOGGIA STAGIONALE)
Maria è considerata come Colei che manda dal cielo una "pioggia di grazia" e "pioggia di grazia essa stessa".
Questa interpretazione, che C. A Lapide attribuisce a Pagninus, viene in parte ripresa da S. Luigi di Montfort nella Preghiera Infuocata: commentando Ps. 67:10 "pluviam voluntariam elevasti Deus, hereditatem tuam laborantem tu confortasti" (Una pioggia abbondante o Dio mettesti da parte per la tua eredità), il Montfort dice:
"[P.I. 20] Che cos'è, Signore, questa pioggia abbondante che hai separata e scelta per rinvigorire la tua eredità esausta? Non sono forse questi santi missionari, figli di Maria tua sposa, che tu devi scegliere e radunare per il bene della tua Chiesa così indebolita e macchiata dai peccati dei suoi figli?"
Maria, pioggia di grazie, formerà e manderà sulla terra una pioggia di missionari.
 
5) ALTEZZA
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MAROM (ebr. ALTEZZA, EXCELSIS): questa ipotesi è sostenuta, tra gli antichi dal Caninius, e, tra i moderni, da VOGT, soprattutto in base alle recenti scoperte dei testi ugaritici, che hanno permesso la comprensione di molte radici ebraiche.
Luca 1:78 per viscera misericordiae Dei nostri in quibus visitavit nos oriens EX ALTO
questo versetto, in base al testo greco e alla retroversione in ebraico, può essere tradotto:
ci ha visitati dall'alto un sole che sorge: Cristo è il sole che sorge che viene dall'alto (il Padre)
oppure
ci ha visitati un sole che sorge "dall'alto" = da Maria
***
Di tutti queste ipotesi, qual è quella giusta? forse la Provvidenza ci ha lasciato nel dubbio perché nel nome di Maria possiamo trovare nel contempo tutti i significati che l'analogia della fede ci suggerisce.
 

   



martedì 11 settembre 2012

San Jean-Gabriel Perboyre

Jean-Gabriel nasce a Montgesty (Francia) il 6 gennaio 1802, negli anni in cui imperversa la persecuzione napoleonica. Fin da giovanissimo Jean-Gabriel ha nel cuore l'amore per Gesù. Suo padre possiede un podere ed egli lo aiuta volentieri occupandosi di sorvegliare gli operai. Ancora quindicenne entra in seminario per fare compagnia al fratello minore, ma qui si appassiona alla vita religiosa e chiede di essere ammesso alla Congregazione della Missione fondata da san Vincenzo dè Paoli. Viene ordinato sacerdote a Parigi nella cappella della Casa Madre, il 23 settembre 1826 a 24 anni. Il 2 maggio 1831 muore suo fratello, Padre Louis Perboyre, mentre è in viaggio per raggiungere la Cina, così Padre Jean-Gabriel prende il suo posto. Il 29 agosto dello stesso anno approda a Macao dove si ferma qualche mese per intraprendere lo studio della lingua cinese, prima di essere inviato nella provincia centro-meridionale di Honan. Qualche tempo dopo, viene nominato primo vicario generale. Segue un anno e mezzo di appassionante lavoro apostolico nella provincia di 174 mila chilometri quadrati, in mezzo a fatiche e difficoltà di ogni genere, le prime persecuzioni comprese.
Nel gennaio 1838, è trasferito nella provincia di Hupeh, dove ancora più intensa si fa la sua attività missionaria. Quando s
coppia la persecuzione anti-cattolica P. Jean-Gabriel si vede costretto a cercare scampo nascondendosi, ma viene tradito da un cristiano che, sedotto dalla taglia posta sul missionario, rivela il suo nascondiglio.
Il Padre viene catturato a Tcha-yuen-keu, il 26 settembre 1839 e condotto a Kwang-Ytang, dove subisce un primo e lungo interrogatorio, accompagnato da crudeli torture. Trasferito il giorno seguente a Ku-gheng soffre altri interrogatori e torture, rinchiuso poi nelle malsane prigioni di Wuchang, dove rimane otto mesi tra atroci sevizie e sofferenze; in attesa che la sua condanna a morte, pronunciata contro di lui dal tribunale locale, sia ratificata dall’imperatore che giunge il mattino dell’11 settembre 1840. A mezzogiorno, il P. Jean-Gabriel Perboyre, 38 anni di età, veniva crocifisso come Gesù e finito a colpi di spada. Tutto si era compiuto, proprio come lui aveva desiderato, quando ancora si preparava al sacerdozio: la vita e il sangue per Gesù.
Le sue spoglie mortali, deposte sulla “Montagna rossa”, il cimitero della città dove era stato giustiziato, poterono essere traslate in Francia nel 1860 e deposte nella Casa-madre della sua Congregazione. Papa Gregorio XVI sin dal 1843 aveva iniziato la sua causa di beatificazione. Il 10 novembre 1889, Leone XIII lo iscrisse tra i beati. Giovanni Paolo II lo iscrisse tra i santi. 

 
    

sabato 8 settembre 2012

Natività di Maria


'La celebrazione odierna onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è l'incarnazione del Verbo. Infatti Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio. La beata Vergine Maria ci fa godere di un duplice beneficio: ci innalza alla conoscenza della verità, e ci libera dal dominio della lettera, esonerandoci dal suo servizio. In che modo e a quale condizione? L'ombra della notte si ritira all'appressarsi della luce del giorno, e la grazia ci reca la libertà in luogo della schiavitù della legge. La presente festa è come una pietra di confine fra il Nuovo e l'Antico Testamento. Mostra come ai simboli e alle figure succeda la verità, e come alla prima alleanza succeda la nuova. Tutta la creazione dunque canti di gioia, esulti e partecipi alla letizia di questo giorno. Angeli e uomini si uniscano insieme per prender parte all'odierna liturgia. Insieme la festeggino coloro che vivono sulla terra e quelli che si trovano nei cieli. Questo infatti è il giorno in cui il Creatore dell'universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore'. ( dai "DISCORSI" di sant'Andrea di Creta, vescovo)